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domenica 26 aprile 2009

Christopher Duggan - La forza del destino. Storia d'Italia dal 1796 ad oggi




Non sono della scuola di pensiero che il libro è per forza buono, bravo e bello - dopotutto sono libri anche quelli che gli editori scolastici cercano costantemente di rifilarci, per tacere dei manuali di didattica scritti dai docenti della SSIS; ma insomma, fatto questo necessario distinguo, sono di quelle che leggono volentieri e un po' di tutto.
Questo Natale, durante il consueto sopralluogo il libreria, sono rimasta colpita -anche perché me lo han sbattuto davanti in numerose e alte pile, corredate da grandi cartelli segnalatori: "NOVITA! APPENA USCITO!", insomma anche un cieco l'avrebbe notato - da un grosso tomo Laterza con quadro risorgimentale in copertina (un tale con l'aria indomita, la spada in mano e gran sfoggio di tricolore sullo sfondo) intitolato "La forza del destino. Storia d'Italia dal 1796 ad oggi".
Per tutta una serie di circostanze esterne (=non ci ho mai avuto voglia di approfondire) per me il Risorgimento è rimasto quello studiato ai tempi delle medie. Ogni tanto mi dicevo che sarebbe stato il caso di darmi un'aggiornatina in merito, ma non avevo mai trovato nulla di invitante. Quel tomo invece mi invitava abbastanza e per giunta era scritto da un'inglese, tal Christopher Duggan. In conclusione, è diventato il mio regalo di Natale insieme alle favole del Bardo Beda.
Si è rivelato una lettura molto interessante, storicamente aggiornata e ricca di dettagli a volte curiosi, a volte agghiaccianti ma molto utili da rivendere per un'insegnante delle medie. I due secoli della nostra sacra storia patria vengono esaminati con l'occhio a volte partecipe ma serenamente distaccato di chi in cuor suo è ben lieto che il complicato compito di essere italiani spetti ad altri e non a lui. Tale occhio straniero lo porta a volte a sottovalutare l'importanza di certi elementi (ad esempio la chiesa cattolica) ma anche a vedere aspetti che allo storico indigeno tendono a sfuggire. Lo stile è scorrevole ma denso, le fonti abbondanti e ben utilizzate, il taglio prospettico molto valido.
Oltre che una storia d'Italia, è soprattutto una storia dell'idea di Italia a partire dalla sua nascita (le invasioni napoleoniche); la maggior parte delle recensioni spiegano anzi che il libro ci racconta come mai l'idea di Italia non è mai stata molto popolare e non ha attecchito più di tanto. Ammetto che a me questo aspetto è sfuggito, forse perché a me l'Italia non è mai sembrata un collage malamente assemblato bensì uno stato assai unitario dotato di caratteristiche e perversioni sue proprie ma abbastanza uniformemente distribuite nella penisola. Sarà che la vedo dalla Toscana?
Per il mio personale aggiornamento e acculturamento sono stati venticinque euro spesi molto bene; tuttavia per me questo libro ha avuto un'altra funzione molto più importante: ha cambiato la prospettiva con cui guardo al presente e mi ha curato una depressione strisciante che mi trascinavo ormai da un anno ma che covava almeno da altri sette: da tempo ormai mi sentivo estranea al mio paese, ai miei concittadini e a tutto ciò che in teoria avrebbe dovuto rappresentarmi. I consueti rimedi contro la depressione - gli affetti, i piaceri di una vita senza grosse complicazioni, un lavoro che nonostante gli eroici sforzi del Ministero vivo con piacere e interesse, l'amore per la musica, i confort di una casa accogliente - non bastavano a cancellare il senso di disgusto che rimaneva in sottofondo e a volte neanche tanto in sottofondo. Mi guardavo intorno e mi domandavo cosa stavo a farci in un paese che sembra ben deciso a crogiolarsi nello squallore e in una retorica mortalmente noiosa.
Lo squallore e la retorica fioriscono tuttora rigogliosamente intorno a me e il paese non è cambiato, ma grazie a questo libro sono cambiata io, quel tanto che basta ad accettare la situazione. Non sono diventata più ottimista, ma ho visto e toccato con mano come la spirale che ci ha portato alla presente situazione è la stessa in cui l'Italia è avvolta da più di due secoli. Non siamo peggiorati: siamo così dalla notte dei tempi. Per cause esterne? Sì, certo, anche per cause esterne, ma soprattutto per la nostra intrinseca natura.
Da tempo, da ben prima di nascere, l'Italia cerca un Grandioso Riscatto alle umiliazioni passate. Lo cerca non in una serie di moderati e piccoli progressi compiuti dai singoli e dalla collettività, ma in Qualcosa dall'esterno che lavi le nostre colpe passate e permetta agli italiani di presentarsi rinnovati e puliti dinanzi al loro Grande Destino - perché è chiaro che dobbiamo avere un Grande Destino. Non un destino qualunque, da persone modeste e ragionevoli e disposte a costruirselo, ma un Destino Sublime, all'altezza del nostro Grande Passato (abbiamo sempre avuto un Grande Passato, noi italiani, accuratamente sepolto nelle brume del tempo e che difficilmente regge ad un'analisi storica condotta con un minimo di criterio; e forse questo è uno dei motivi per cui la Storia, quella vera, senza grandi certezze ma che richiede molta pazienza per studiarla, non è mai andata molto di moda qui da noi).
Per andare incontro a questo Grande Destino da sempre stiamo cercando qualche Grande Rito Purificatore dopo il quale, improvvisamente, tutto andrà spontaneamente per il verso giusto. Ci consideriamo da sempre una Grande Nazione che gira con il freno a mano tirato, e da sempre cerchiamo il freno per toglierlo. Basterà togliere il freno e tutto cambierà all'improvviso.
A questo Grande Freno sono stati dati nomi diversi in varie epoche e per toglierlo abbiamo innescato giganteschi meccanismi che ci hanno frenato vieppiù. Per molto tempo il freno è stata la divisione dell'Italia, poi, quando l'Italia è diventata un paese politicamente unito, si è cercato un Grande Riscatto Guerriero che lavasse il nostro vile passato di servitù e sottomissione allo straniero. Dopo due caldi bagni di sangue rigeneratore che ci hanno quasi annegato e una serie di sconfitte militari che non ha forse uguali nella storia d'Europa, per fortuna il mito eterno dell'eroismo in guerra è passato di moda e adesso attendiamo trepidi la Grande Stagione delle Riforme e la Messa a Riposo di una Classe Politica Corrotta )che a me, a dire il vero, sembra soprattutto molto incapace).
Strano ma vero, in pochi hanno provato ad applicare una buona amministrazione per rendere forte il Paese Che Infine Era Unito, a organizzare adeguatamente l'esercito per procurarci il Grande Trionfo Bellico o, in tempi più moderni, a studiare bene le strutture da riformare (quanto ai Vili Politici Corrotti, dal momento che ce li siamo eletti con le nostre sante manine in risposta a una serie di slogan singolarmente cretini, mi rifiuto di considerarli un male che si possa eliminare con l'aiuto di qualche Uomo della Provvidenza). Si tira avanti nell'attesa di un miracolo, dimenticando che i Paesi Meno Gloriosi Di Noi i miracoli se li sono costruiti a forza di tentativi, puntando su strumenti banali quali il buon senso e la determinazione, invece di passare il tempo a piangersi addosso.
Tutti i luoghi comuni e le lamentele perenni che infarciscono da sempre i nostri discorsi affondano le loro radici in un'atavica tendenza a piangerci addosso e a cercare un Grande Riscatto e buona parte dei nostri mali derivano dal rifiuto di affrontare le Grandi Disfunzioni con piccoli, banali e scialbi rimedi che richiedono pazienza, criterio e metodo ma soprattutto una gran fatica.
Ma non è un limite della nostra generazione, o delle ultime due, è qualcosa di intrinseco che ci portiamo dietro da molto tempo. Accettarlo per venirci a patti mi sembra l'unica ragionevole via d'uscita, dal momento che sperare di diventare Qualcosa di Grande da domani, dopo qualche Magnifico Rituale non mi sembra abbia portato a grossi risultati - e del resto, tra un lamento e l'altro, in questi due secoli e passa la vita è pur andata avanti. Sì, certo, probabilmente dovremmo cambiare; ma sarebbe il caso di accettare prima di tutto il fatto che, se siamo così, è perché così vogliamo essere, nel bene e nel male.

In alternativa al librone di Duggan è possibile (e richiede molto meno tempo) anche ripiegare sulla sintesi di Max Pezzali, che magari non è un grandissimo musicista ma ha dei testi talvolta piuttosto efficaci:


questo è il solo ed unico bicchiere che abbiamo
se si stava meglio quando si stava peggio
non lo so però io vivo adesso
(da notare che la canzone mi è sempre parsa assolutamente cristallina, ma quando ho scorso i 600 e passa commenti al video ho scoperto che la maggior parte del pubblico sembra averla completamente fraintesa. Chissà, forse era davvero troppo chiara?)

giovedì 9 aprile 2009

Casi Ciclici (così in cielo, così in terra)



Il 6 Aprile il tour teatrale di Max Gazzé "Casi ciclici" è approdato a Firenze, con mia grande gioia. La descrizione ufficiale parlava di "uno spettacolo audiovisivo dove le canzoni seguono un ordine preciso e sono accompagnate da immagini che rendono parole e musica visibili, ne dilatano il contenuto, le interpretano e le estendono. Un film sonoro in cui Max coinvolgerà il pubblico nel suo modo eclettico e originale", insomma una di quelle presentazioni che lasciano molto, molto perplessi gli spettatori che, come me, sono convinti che il musicista ha da suonare e basta - anche se poi il mio musicista preferito, Wagner, era quello che teorizzava l'Opera d'Arte Totale.
Comunque sia, l'anno scorso ai primi di Settembre ero stata deprivata all'ultimo momento del mio legittimo Concerto Convenzionale, per motivi mai ben chiariti, e poi in teatro sarebbe stato possibile eseguire certe canzoni dell'ultimo album che in un normale concerto erano piuttosto difficili da proporre (ad esempio la mia adorata Crisalide). Insomma ho preso il biglietto e sono andata, al termine di una giornata decisamente faticosa. Mentre viaggiavo verso la Grande Città mi sentivo assai desiderosa di un bel letto morbido e mi domandavo seriamente se, arrivata in teatro, avrei fatto la per me insolita esperienza di dormire durante uno spettacolo.

No, non mi sono addormentata; al contrario, ho avuto notevoli difficoltà a dormire una volta tornata a casa e l'adrenalina rimasta in circolo è stata tale da garantirmi un pronto risveglio alle prime luci dell'alba del giorno dopo e a mantenermi agevolmente sveglia durante la giornata decisamente complessa che è seguita. E' stato tutto assolutamente splendido, ho goduto fino in fondo ogni singola nota e parola e per le trenta ore successive sono rimasta immersa in una beata nuvola musicale che mi avvolgeva e circondava e attraversava ogni mia fibra. Si sa, una musica può fare.

Sulla scena, oltre a Gazzé al basso c'erano Megahertz (teremin e sintetizzatori) Sergio Carnevale (batteria), Silvia Catasta (flauto traverso e ottavino) e il Quartetto d'Archi EdoDea. L'insieme poteva magari sembrare un po' eterogeneo ma funzionava a meraviglia, e riascoltare una di quelle macchine anni 70 che fanno tutto compreso distorcere la voce (sì, il teremin) è stato un vero piacere per chi, come me, ha tanto amato i Kraftwerk. Però che proprio una canzone dei Kraftwerk (Computer World, che nemmeno conoscevo) potesse infilarsi così agevolmente in uno spettacolo di Gazzé, musicista caldo per eccellenza, e dare l'impressione che quello fosse il contesto a lei più adeguato, no, quello non era previsto. Allo stesso modo quegli strumenti elettronici si sono infilati alla perfezione nelle canzoni più viscerali dando loro una profondità più calda. Mi sono piaciute tutte, ma ho goduto in modo particolare Il mistero della polvere, in un'interpretazione particolarmente...ctonia, quasi misterica, e Camminando piano, brano che rimane ai miei occhi assolutamente misterioso (ma non sono mai stata tra quelli che vogliono chiarire tutti gli enigmi a tutti i costi). L'ultimo cielo ha avuto la sua brava interpretazione sognante (l'unica volta che l'ho sentita dal vivo, al Moontale, dovevano aver sbagliato qualcosa al mixer perché ricordava un volo di bombardieri carichi su una città, che non è esattamente l'impressione che vuol dare). Una musica può fare aveva una volta di più un'arrangiamento tutto nuovo, e non ne ho ancora sentito uno che non mi piacesse - e, a sorpresa, Il solito sesso non solo si inseriva perfettamente in mezzo a tutte quelle canzoni sui massimi sistemi, ma anzi aveva un'arrangiamento che funzionava perfino meglio di quello sanremese. Senza variazioni di apparente rilievo (almeno per quel che ricordo) Raduni ovali e l'Origine del mondo, che si sono incastrate nel migliore dei modi nel tappeto sonoro.

A futura memoria questa era la scaletta (non in quest'ordine):
Il mistero della polvere; L'origine del mondo; Vuoti a rendere; Camminando piano; Il solito sesso; L'ultimo cielo; Raduni ovali; Annina; Una musica può fare; Non era previsto; Favola di Adamo ed Eva; Vento d'estate; Il Timido ubriaco; Cara Valentina; L'uomo più furbo; Computer World (Kraftwerk).

"Mi farà un gran bene un giorno ricordarmene"

domenica 5 aprile 2009

La storia siamo noi - La rotta di Roncisvalle



Sulle vicende di Carlo Magno in Spagna ci ho fatto la tesi, e dunque sono diventata un'esperta in materia . Ho così appreso che la rotta di Roncisvalle non c'è mai stata per l'ottimo motivo che ai tempi di Carlo Roncisvalle non esisteva. Ci fu un attacco alle truppe franche in una gola dei Pirenei, ma lo fecero i baschi. Eginardo ci racconta anche che morirono alcuni personaggi importanti; molti manoscritti della Vita Karoli citano fra questi Hruodlandus (non conte, ma prefetto della marca di Bretagna) ma corre voce che quest'ultimo nome possa essere stato aggiunto in epoca parecchio posteriore. Il racconto dell'epica disfatta contro i Saraceni, dove Rolando morì eroicamente risale a non prima della fine del X secolo, duecento e passa anni dopo, quando già era stata avviata la Reconquista e Carlo era stato trasformato in un paladino della Guerra Santa contro gli infedeli.

In tutti i casi nessuno, a memoria d'uomo, ha mai preteso seriamente di spacciare la Chanson de Roland per una fonte storica attendibile. E' un bel componimento epico (di cui quasi tutte le antologie si ostinano a riportare solo la morte di Rolando, che è forse l'unico punto noioso) e come tale viene letto e citato, salvo che nei manuali di storia per le scuole medie - o meglio, vivaddio, in alcuni manuali di storia per le scuole medie.

Visto che il periodo carolingio lo conosco da diritto e da rovescio, di solito è la prima cosa che controllo in un manuale di storia, non fosse che per il piacere di indignarmi un po'. A volte trovo descrizioni sobrie e attendibili che mi spingono a sorvolare su eventuali citazioni sia di Rolando che di Roncisvalle - dopotutto forse Rolando c'era davvero e per quel che riguarda Roncisvalle non si può stare sempre a guardare il capello. Più spesso trovo cose decisamente fuorvianti, tipo la descrizione del feudalesimo e dell'investitura a cavaliere spostate indietro di tre secoli buoni, castelli con i merli, armigeri armati in stile duecentesco, belle fanciulle prese pari pari dalle miniature dei romanzi della tavola rotonda.

Ecco, quello delle illustrazioni e dei documenti mi sembra un problema abbastanza serio. Oggi si ritiene indispensabile corredare il testo di storia con immagini e documenti per permettere agli alunni un rapporto più concreto con la storia. Tutto giustissimo, solo che va fatto con criterio.
I documenti medievali non sono facili da citare. Sono scritti in una lingua particolare e fatti per una società molto diversa dalla nostra. Citare quattro righe dalla Magna Charta tradotte in italiano moderno, smozzicate, interpolate e pesantemente riadattate non dà l'idea di cos'era la Magna Charta e non permette ai ragazzi di "lavorare con i documenti". Per far capire a un ragazzo di dodici anni cosa è un documento del X o del XII secolo non importa far miracoli, basta pigliare per il collo qualche medievista e chiedergli di fornire qualcosa di domestico e abbordabile. Un breve atto di vendita fotografato e ben tradotto fa capire un sacco di cose e ci puoi fare un laboratorio ottimo: per un paio di lezioni si lavora su notai, testimoni, chi vendeva e chi comprava, le varie condizioni, le postille, com'erano definiti i confini, la pergamena, il convento che comprava il terreno etc. etc. I ragazzi si divertono, fanno gli esercizi, domandano, osservano le illustrazioni e le fotografie e via dicendo. Un buon laboratorio ben organizzato è una benedizione e qualsiasi insegnante sano di mente lo usa senza ritegno.
Un esercizio stitico sulla Magna Charta dove prima ti spiegano (molto confusamente) cos'è la Magna Charta, poi ti danno i punti che devi evidenziare (molto confusi pure loro e magari in storichese stretto) poi ti citano tre righe della Magna Charta e infine ti fanno tre domande vero/falso è una perdita di tempo e basta. I ragazzi rispondono a casaccio, non avendo idea di che cosa si stia dicendo, si fanno un sacco di idee strane se provano a fare seriamente l'esercizio e l'insegnante, che non sempre ha passato due anni a studiare diplomatica, codicologia e diritto normanno, ne sa poco più di loro e non è nemmeno in grado di rispondere a buona parte delle domande.
Stesso discorso quando ti citano quattro righe della Vita Karoli completamente decontestualizzate. Se poi accompagnano il tutto con immagini ottocentesche di Carlo Magno e i suoi paladini, dove l'imperatore ha la barba fiorita e veste come un sovrano del Trecento, dire che si sta facendo storia mi sembra un po' troppo.
Si può fare anche di peggio, volendo: ho visto citare pure Wagner e Tacito per i popoli germanici (con l'aggiunta della Canzone dei Nibelunghi) e la Chanson de Roland per Carlo Magno. Al momento manca ancora il Nome della Rosa per i copisti irlandesi dell'VIII secolo ma non è detto che prima o poi non ci si arrivi. Dei castelli con i merli nell'alto medioevo ho già detto ma abbiamo anche raffigurazioni dell'Ottocento per i crociati, conventi benedettini del VII secolo illustrati con splendide planimetrie di monasteri cistercensi del XII secolo con tanto di abbazia gotica nonché graziose immagini ottocentesche dei longobardi dove Rosmunda è obbligata a bere dal teschio di suo padre. Inoltre quando arriviano all'Islam raramente manca qualche bella moschea del XIII secolo in tutto il suo splendore - e mi rendo conto anch'io che le moschee del VII secolo non si trovano a tutti gli usci, ma siccome per gli arabi l'alto medioevo non era affatto una dark age penso che qualche immagine un po' più pertinente si possa trovare con facilità chiedendo a qualche esperto del settore.
Ora, a me il medioevo ricostruito dai romantici piace moltissimo (a tratti sospetto che mi piaccia perfino più di quello vero), la Chanson l'ho letta una mezza dozzina di volte e Wagner è il mio musicista preferito senza se e senza ma, però ritengo che, se proprio vuoi insegnare la storia medievale a una giovane mente implume e totalmente digiuna, la strada più valida da percorrere non sia questa: le immagini devono essere coeve al periodo storico di cui si parla e illustrate in modo attendibile, le planimetrie degli edifici devono riguardare edifici del periodo citato e non qualche capolavoro dell'architettura posteriore e le fonti storiche devono essere fonti storiche e non poetiche, venire citate in modo esatto e non lasciate intravedere per speculum in aenigmate; il tutto infine deve essere rapportato alle competenze di un comune mortale di dodici anni che di studi nedievistici non sa nulla e che ha diritto di venire informato a riguardo in modo a lui comprensibile, visto che ha pagato a salatissimo prezzo un manuale di storia.
Per intendersi: divulgare è un conto, raccontare balle è un altro.

La rotta di Roncispalle



Così la chiamava la mia compagna di banco delle medie - o meglio quella che cercavo sempre di avere come compagna di banco, ma i professori esasperati ci dividevano sempre dopo pochissimi giorni, chissà perché. E tutte le volte che i miei cari alunni risvegliano in me immagini di grigliate all'aperto, gatti a nove code, ghigliottine e patiboli vari cerco di ricordarmi com'ero io alle medie e di come nessuno dei miei insegnanti (sia onore alla loro pazienza) mi strozzò, e vedo di portare pazienza in memoria di loro.
E ricordo
- quando chiacchieravo (sempre, sempre, sempre)
- quando mi mettevo a discutere con i professori (abbastanza spesso)
- quando scoppiavo a ridere in piena spiegazione (spesso)
- quando mi drappeggiavo alla beduina con una sciarpa verde durante l'ora di narrativa scatenando irrefrenabili attacchi di ilarità nella classe
- quando sbadigliavo furiosamente perché mi addormentavo sempre tardi (no, non c'era Internet, e nemmeno SMS. Io leggevo)
- quando leggevo i miei amati romanzi durante le ore di lezione (e non sempre era letteratura di altissima qualità...)
- quando non facevo i compiti (spesso, in verità spesso)
- quando non studiavo (soprattutto storia, geografia e scienze)
- quando dimenticavo a casa libri, quaderni, righelli, compassi e quant'altro può essere dimenticato compresa la testa
- quando scambiavo bigliettini (sempre, sempre, sempre)
- quando facevo doppisensi di quelli che solo un adolescente riesce a inventare (spessissimo)
- quando mangiavo di nascosto, così di nascosto che solo un cieco avrebbe potuto non vedermi
- quando mi mettevo a cantare (no, non troppo spesso. Però l'ho fatto)
- quando giocavo a battaglia navale
- quando facevo i cruciverba o i test per scoprire se lui mi amava
- quando pensavo a lui (un'infinità di lui. Spessissimo, si capisce)
- quando prendevo in giro i professori (ed ero pure convinta di farlo a bassa voce)
- quando commentavo (ragazzi, da non crederci quanto commentavo. Ed ero anche convinta di essere spiritosa. Il peggio è che qualche volta lo ero davvero).
E non ero nemmeno l'elemento più pesante della classe. Però pesavo parecchio, devo dire. E avevo pure un certo effetto trascinante sugli altri (che, in verità, non chiedevano di meglio che essere trascinati).

Non ricordo di avere mai avuto un rapporto né una nota sul diario. Anzi, non ricordo che nessuno di noi abbia mai avuto note né rapporti, eppure non eravamo certo meglio di molte classi che mi sono passate tra le mani. Credo che non usasse. So con certezza di avere messo note (e di avere visto mettere note) per motivi per i quali a me non le hanno messe.
Niente note, solo qualche lamentela sul mio comportamento ai colloqui con i professori - e sospetto che non sempre i miei si siano mostrati particolarmente sottomessi a riguardo. Di sicuro, quando tornavano a casa, le parole di fuoco non erano riservate solo a me. Quando le lamentele riguardavano lo studio venivo aspramente rimproverata... beh, diciamo rimproverata. Non in modo molto aspro.
Eravamo una scuola di città, in un quartiere-bene, con molte pretese. Certe materie, notoriamente "non importava studiarle".
Non ricordo veri atti di bullismo ma ricordo un bel po' di cose che ci somigliavano davvero parecchio - compreso un gruppo di maschetti che mi apostrofava con titoli invero tutt'altro che educati. Ricordo anche le mie risposte, e la pessima reputazione di cui godevo presso di loro perché "io rispondevo". Ricordo anche che non mi sarebbe affatto dispiaciuto sprangarli a dovere.

In gita non ascoltavamo la musica con l'I-pod. Cantavamo. Ventotto adolescenti stonati convinti di poter cantare Baglioni e Cochi e Renato (e anche il mazzolin di fiori e l'elefante che si dondolava lungo il filo di una ragnatela). Chi non c'era non conosce il vero significato del verbo stonare, né sa cosa possa essere un mal di testa.
Ricordo Artistica, che ci contava mentre salivamo in pullmann. Arrivata a me si fermò e si voltò verso Matematica "Certo, noi ci preoccupiamo sempre che siano di meno. Ma metti che scopriamo che sono aumentati".
Matematica si mostrò terrorizzata all'idea.
"Ti immagini? Due Murasaki, tre Casini, due Cecchi..."
Matematica si associa all'orrore davanti a sì terrifica prospettiva.
Salii sul pullman immersa in profonda riflessione.

mercoledì 1 aprile 2009

Oculis in manibus

Nella scelta di un libro di geografia è difficile orientarsi. 
Naturalmente è colpa della Moratti (è sempre colpa della Moratti, si sa) - ma non soltanto sua, a volere essere proprio sinceri.
La nostra Perfetta Letizia qualche anno fa avviò una specie di riforma che, tra l'altro, comprendeva anche una revisione del programma di geografia delle medie nella quale venne stabilito che in prima si sarebbe fatta l'Europa fisica, in seconda l'Europa politica e in terza il resto del pianeta. Naturalmente per l'Italia andava mantenuto un occhio di riguardo, ma non era più necessario fare le venti regioni una per una.
Davanti a questo mutamento si sono subito formate due fazioni nettamente contrapposte: da una parte c'ero io che plaudivo senza riserve perché lo studio delle venti regioni d'Italia mi aveva sempre fatto venire il latte alle ginocchia sin da quando le avevo fatte per la prima volta, in qualità di allieva; dall'altra tutto il resto degli insegnanti di Lettere che, altrettanto senza riserve, si trovava una volta tanto in totale accordo nel deprecare tale devastazione nel giovanile sapere.
Gli astuti editori di libri di geografia si uniformarono prontamente ai nuovi dettami ministeriali, com'era del resto loro preciso dovere, ma colsero l'occasione per inaugurare una serie di supplementi e libretti aggiuntivi che permettessero agli insegnanti di mantenere il vero pilastro dell'istruzione giovanile, ovvero lo studio delle regioni. Per l'occasione ogni libro di geografia venne sottoposto a totale e completa ristrutturazione (e ad un congruo aumento di prezzo) e ricostruito in base ai più aggiornati dettami didattici. Ne è venuta fuori una singolare collezione di orrori sempre più complessi, confusi e interattivi che hanno mandato a casa buona parte dei vecchi libri favoriti di tutti noi. Il processo deve essere sfuggito di mano anche agli editori, immagino, perché in fondo nulla gli impediva di fare dei libri validi senza per questo dover rinunciare al prezzo esorbitante.
Comunque sia, io e le mie due colleghe di terza ci siamo imbarcate nell'ardua impresa di scegliere per le future prime testi decorosi su cui le nuove leve di St. Mary Mead avessero la ragionevole possibilità di farsi una decente formazione di base sul nostro disastrato pianeta.
Il compito si presentava difficile perché, come tutte le insegnanti di Lettere, di geografia ne sappiamo il giusto, ma ci siamo comunque immerse nell'immane quantità di volumi in pesantissima carta patinata che i rappresentanti ci hanno rifilato.

"Ho trovato un criterio!" annuncia trionfante una delle due "Scartiamo quelli dove le cartine geografiche sono troppo piccole".
Ci avviciniamo. Effettivamente il testo che stava spulciando presentava carte geografiche degne di un miniaturista. Che in una cultura che ci descrivono sempre come dominata dall'immagine a qualcuno venga in mente di far studiare France e Brasili delle dimensioni di una carta da gioco sembra francamente un po' troppo idiota perfino per un libro scolastico.
"Ah già, questo libro aveva l'atlante allegato"
"Comodo, un occhio sul testo e uno sull'atlante, giusto per semplificare la vita alla gente"
Frugo alla ricerca dell'atlante, che non si presenta granché. In effetti anche quello ha delle cartine piuttosto piccole.
Conveniamo che proprio non è cosa e scartiamo il tutto.
Si tratta di Geoscuola, edito da Giunti insieme al Touring.
Ritorniamo alle nostre postazioni meditando sulle stravaganze di questo mondo. Poco dopo, sfogliando Punti cardinali della Loescher trovo di meglio.
"Qui le cartine non ci sono proprio"  annuncio.
Le colleghe si avvicinano. Sfogliamo e risfogliamo il libro ma no, le cartine non ci sono, tranne quelle dei continenti - ad esempio una pagina per le due Americhe, un'altra pagina per l'Asia. In compenso ci sono delle cartine mute negli esercizi, delle dimensioni di tavolette in avorio da miniature. Con (immagino) una lente di ingrandimento e un pennellino microscopico, i ragazzi ci dovrebbero inserire, stando al pazzo autore degli esercizi, non meno di venti diversi nomi, con un tasso di approssimazione di poche centinaia di chilometri ad andare bene.
Anche questo ha un atlantino a parte, ma anche in quel caso l'atlantino non ha nulla di entusiasmante.
Passo a Geoviaggi, della Mursia Scuola.
"Oh, adesso sì che si ragiona!"
Le carte sono belle e grandi, sia sul libro che sull'atlantino, ben colorate, chiare, facilmente consultabili. Ammiro l'insieme, ammiro gli approfondimenti su latitudine, longitudine, cartografia, le cartine mute...
Arrivo all'Africa. E mi accorgo che c'è qualche problema con la colorazione: l'Africa settentrionale sembra l'Irlanda in una delle sue primavere più rigogliose.
Certo, di solito la pianura viene indicata col verde, ma in caso di deserto i cartografi optano usualmente per un giallino pallido un po' deprimente.
Lì non c'è traccia di giallo. Sahara e Sahel verdeggiano lussureggianti. 
A malincuore scartiamo pure quello. Ci sembra fuorviante, anche se trasmette un'immagine molto verde del nostro pianeta.