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mercoledì 23 settembre 2009

Qual regina dall'alto soglio, col "posso" e "voglio" farsi ubbidir


La Giustizia amministra i suoi compiti con severità, equità... e qualche bambino tra i piedi; più o meno come noi, insomma

Un caro amico, che per un paio d'anni prima di diventare ricercatore aveva insegnato in un collegio svizzero, mi confidò una volta che cercava di evitare di usare la cosiddetta "autorità" in quanto nell'esercitarla si sentiva alquanto ridicolo. All'epoca per me l'insegnamento era ancora una questione che riguardava gli altri ma compresi benissimo cosa intendeva dire e non esitai a dichiararmi assolutamente d'accordo. E quando mi sono ritrovata dall'altra parte della cattedra, con il registro dalla parte del manico, ho continuato ad essere totalmente e incondizionatamente d'accordo.
Di norma cerco di scansare la cosa il più possibile - ad esempio limitando al minimo dei minimi la cosiddetta disciplina in classe. Qualche volta però mi tocca, volere o volare.
Qualche giorno fa avevo la prima uscita alla sesta ora con la mia seconda. Visto che avevamo finito la lezione con leggero anticipo (anche perché avevo manovrato a questo nobile scopo) e che era la prima settimana a orario pieno, povere stelle, ho fatto quel che faccio - voglio dire, che farei - abbastanza spesso, ovvero portarli nell'atrio un minuto o due prima del suono della campana. Certo, a St. Mary Mead avevo una classe di baronetti inglesi con cui la cosa, quando si presentava il caso, è stata possibile sin dalla prima senza creare problemi a nessuno. Certo, mi avevano avvisato che questa classe aveva dei rapporti interni piuttosto... ehm... problematici. Ma fino a quel momento li avevo trovati tutto sommato trattabili.
Bene, mi ritrovo in corridoio con una mezza dozzina (o più?) di gatte strette all'uscio che strillano a gran voce, ma hanno cura di farlo dietro al gruppo iniziale, formato dai maschi. Rientrare ormai era difficile.
Piantatela di strillare o d'ora in poi quando ci sono io all'ultima ora usciamo per ultimi.
Continuano a strillare.
Piantatela di strillare o domani piazzo una nota a tutte.
Continuano a strillare.
Nel frattempo la campana è suonata e stiamo pure bloccando il passaggio lungo le scale alla terza - che, poveretta, non ha fatto niente di male e vuole solo uscire.
Avvolta in una densa nuvola di fumo nero scendo le scale seguita dalla classe strillante e giurando a me stessa che mai più e mai poi.
La mattina dopo però, dopo accorta riflessione pomeridiana, sono addivenuta a più miti consigli e decido che, se mi viene dato un minimo di pretesto onorevole, sulla nota almeno si potrebbe anche soprassedere (sull'uscita in anticipo no, nel senso che se la classe non è pronta è inutile riprovarci almeno fino all'anno nuovo, vuoi solare e vuoi scolastico).
Nessun pretesto però mi viene fornito e nessuna strettomicina si presenta alla cattedra con fare contrito e orecchie abbassate, perciò intimo l'apertura dei famigerato quaderni scuola-famiglia, spiego che mi dispiace per le eventuali innocenti ma che, dal momento che nessuna si assume la responsabilità, allora la responsabilità diventa collettiva e detto ai genitori delle alunne una sobria nota del tipo "Si ricorda che durante l'uscita non è consentito strillare". Ho cura di precisare che non mi aspetto che qualcuno faccia la spia, ma che gradirei che chi ha strillato se ne assumesse la responsabilità.
Scrivono, sia pure con qualche protesta. Poi, nell'intervallo, arriva una delegazione alla cattedra. Non di colpevoli, ma di presunte innocenti. Che mi spiattellano la lista di chi ha strillato e chiedono che venga tolta loro la nota "visto che le altre ormai l'hanno presa".
Sospiro e provo a spiegare che non ho nessun elemento per credere loro. La nota ormai se la tengono tutte. Anche perché (ma questo non lo dico, perché parimenti non ho prove) il mio personale sospetto, giudicando dal volume e dal numero di strilli che ricordo, è che lì di innocenti ci siano solo le due che erano vicino a me e a cui la nota non l'ho messa.
Le presunte innocenti vanno via, scocciate e mormoranti. La frase dominante, si capisce, è "non è giusto".
Sospiro ancora. Mi avevano avvisato che in questa classe i rapporti interni non sono granché; il che non toglie che tutto l'insieme sia stato ridicolo, dall'inizio alla fine.
Unico lato positivo: né il giorno dopo né nei giorni seguenti è arrivata alcuna comitiva di genitori reclamanti: tutti hanno firmato, ma nessuno ha protestato.

mercoledì 16 settembre 2009

L'arte della copia (ovvero Come Si Fa Una Tesina)


Si chiamava Area Trasversale; è stata, almeno a Firenze, di gran lunga la parte più noiosa e inconcludente della SSIS ed era composta da venti lezioni che "attraversavano" (donde il nome) le materie delle singole abilitazioni. Tali lezioni erano divise equamente tra cinque materie: psicologia, didattica, pedagogia, legislazione e socio-antropologia. Al termine del primo anno andava presentata una tesina per ognuna delle materie, corredata di Unità Didattica.
Siccome molti degli allievi erano giovani e assai sprovveduti la domanda che quasi inevitabilmente veniva posta ai docenti era "Come dobbiamo fare le tesine?", e siccome un docente universitario non mancherà mai e poi mai di dare il suo parere su qualcosa ci vennero ammanite indicazioni in gran copia, spesso assai contrastanti tra loro, in particolare sugli standard bibliografici cui attenerci ma anche sulle unità didattiche, la scelta degli argomenti, lo specchio di stampa, il tipo di font. Molti di questi signori erano consulenti esterni, che passavano per la SSIS giusto il tempo necessario a fare la loro (spesso insulsa) lezione e compilare la scheda necessaria per il pagamento; della SSIS non sapevano niente e mai e poi mai avrebbero avuto a che fare con le nostre tesine, perciò i loro consigli ci erano utili quanto i frigoriferi lo sono per gli esquimesi. D'altro canto la sintetica brochure che ci avevano dato all'atto di iscrizione comprendeva poche ed essenziali istruzioni riguardanti appunto le tesine: lunghezza richiesta, standard bibliografici eccetera. A quelle indicazioni ci fu detto di attenerci, e chi lo fece non ebbe mai motivo di pentirsene (e d'altra parte, ora che ci penso, qualcuno dovrebbe scrivere prima o poi un trattatello sullo Studente Ansioso, quella terribile creatura che continua a chiedere a tutti cinquecento volte la stessa domanda sull'esame, la tesi, l'interrogazione, i voti, finché, soddisfatto di essere riuscito a collezionare non meno di dieci risposte contrastanti, va in giro a seminare stress tra i compagni cercando di insinuare in tutti loro i dubbi più assurdi).
Tutti gli insegnanti comunque furono concordi su un punto: non dovevamo copiare la tesina da Internet. Perché c'erano dei siti da cui si potevano copiare le tesine, ma loro li conoscevano e non si sarebbero fatti fregare, loro, perché loro non erano stupidi, loro, e quindi non gli potevamo rifilare una tesina copiata da Internet perché loro le riconoscevano subito, loro, e sapevano da dove si copiavano le tesine da Internet, loro.
Dopo la trentacinquesima tirata sull'argomento, naturalmente, anche i più integerrimi tra noi vennero infine colti da curiosità e intenso desiderio di copiare le tesine da Internet, o almeno di trovare questi fantomatici siti. In molti li trovarono e presero spunto, e qualcuno (arrossisco per lui/lei mentre scrivo) si fece perfino beccare perché l'aveva copiata pari pari; e mi auguro sinceramente che lo abbiano segato senza pietà perché di idioti in cattedra ne abbiamo anche troppi e andranno pur messi dei paletti, alla fine.
Io non feci niente di tutto questo: il mio computer arcaico e una connessione vecchio tipo rendevano abbastanza improbo il lavoro di ricerca. Questo comunque non mi impedì di pescare dalla rete ben due delle mie tesine senza che nessuno potesse trovarci da ridire.
La prima era sulla legislazione delle biblioteche scolastiche nelle scuole medie. Usai qualche stringa di ricerca del tipo "biblioteche scolastiche - legislazione". Poi andai a guardare i risultati. Anche considerando la connessione lenta, fu affare piuttosto rapido.
In un sito specializzato trovai una bella storia della legislazione sulle biblioteche scolastiche a partire dalla legge Casati; mi limitai a incollarla nel file, sforbiciarla un po' e a citarla in bibliografia. Sempre nello stesso sito trovai anche la relazione sui risultati di una ricerca sullo stato delle biblioteche scolastiche europee. Di nuovo tagliai, incollai, sistemai i paragrafi (e naturalmente deplorai la scarsità delle nostre biblioteche scolastiche in poche ma accorate righe che mi risultarono tutt'altro che difficili da scrivere).
Trovai anche un rapporto sulle biblioteche scolastiche dell'Associazione Nazionale Bibliotecari e un paio di leggi molto recenti. Dal catalogo delle biblioteche della provincia di Firenze raccattai un paio di titoli vagamente connessi alle biblioteche scolastiche di epoca non antidiluviana presenti nella biblioteca a pochi passi da casa mia, dai quali pescai un paio di frasi giusto per infilare qualcosa di vagamente libresco in bibliografia.
Riaggiustai il tutto, lo rilessi, compilai la bibliografia secondo le regole della brochure. Nessuno trovò niente da ridire. Naturalmente non sono sicura che qualcuno l'abbia letto, ma in tutti i casi si trattava di un buon lavoro perché le fonti erano di prima qualità.
L'altra tesina pescata dalla rete era sull'Orientamento alle scuole medie, tema assai caro ai nostri insegnanti anche se nessuno di loro si era mai degnato di dirci qualcosa di significativo in merito. Lì ricorsi ad una tecnica di copia più sofisticata.
Dalla rete pescai soltanto un po' di quegli sproloqui deliranti sull'orientamento che piacciono tanto ai nostri pedagogisti: che si tratta di un processo eterno di raffinamento interiore, che ci aiuta ad armonizzarci con noi stessi e col mondo, che un buon orientamento deve tenere conto di tutte le coordinate possibili comprese le correnti atmosferiche e gli influssi astrali dei transiti di Urano e Plutone e via e via. Non li presi da tesine sull'orientamento, bensì... dai POF di un paio di scuole superiori. Tagliai, incollai, aggiustai ma mi guardai bene dal citare le fonti, perché erano comunque le stesse vagaggini che ci avevano rifilato i docenti a lezione ed è noto che sulle piscine di acqua calda non c'è copyright - tra l'altro, una volta scremate le esagerazioni, l'enfasi e il gusto della parola rara, preziosa e prettamente alessandrina, non erano nemmeno discorsi privi di una certa validità: perché, sì, è senz'altro meglio se una persona fa un lavoro che le piace, non solo per lei ma per l'intera società, e certo riuscirà più facilmente a trovare la sua strada se è ben consapevevole di sé, fermo restando che non è possibile rifilare due anni di analisi freudiana a un ragazzo delle medie per scoprire se gli andrebbe meglio fare il Geometri o l'Alberghiero.
Seconda tappa: Feltrinelli, quella vicino alla stazione - una comoda libreria ben provvista di divanetti da consultazione e lettura e dove, nella sezione pedagogica, avevo visto una bella rastrelliera piena di libri recentissimi dei nostri amati insegnanti dell'Area Trasversale: ancora croccanti di rotatrice, a prezzi esorbitanti e non uno solo di essi era disponibile presso le biblioteche dell'Università, mentre tutti erano indicati nella bibliografia orientativa della brochure. Ne scorsi alcuni, scegliendoli secondo i due criteri basilari della posizione dell'autore nella gerarchia SSIS e della frequenza con cui avevano cercato di farcelo comprare, li sfogliai in cerca di qualche citazione pertinente, copiai citazione e numero di pagina. In seguito, dietro suggerimento di un compagno di corso, perfezionai la tecnica: se si voleva citare un libro di questi "obbligatori" bastava citare qualche concetto generico, indicare una pagina e aggiungere "e segg.". Questa tecnica è particolarmente utile quando non si vuole perdere tempo a cercare o ritrovare o trascrivere una citazione precisa ma si vuole comunque mettere un libro in bibliografia (tenendo però conto che era noto che chi leggeva le tesine andava talvolta a controllare le citazioni). In questo tipo di tecniche ero abbastanza alle prime armi perché, negli anni di università, l'ultimissimo dei miei problemi quando scrivevo su qualche argomento (e in particolare durante la tesi) era allungare il brodo o la bibliografia o infilare un alto numero di citazioni per fare scena. Va pur ricordato però che l'università me l'ero scelta, come l'indirizzo, il corso di laurea e perfino i vari argomenti di relazioni e tesi.
Una volta citati i Grandi Luminari della SSIS, e in particolar modo il terrificante libro di Dominici Manuale dell'orientamento e della didattica modulare (chi non l'ha mai sfogliato non ha idea di cos'è una scatola vuota e nemmeno di come si fa a scrivere in modo insieme complicato e trombonevole senza tuttavia dire nulla: ma non "nulla che valga la pena di essere scritto"; semplicemente "nulla", un vero caso di vuoto pneumatico), la tesina era praticamente fatta. Restavano solo da scrivere un paio di cartelle sull'orientamento che veniva fatto nel mondo normale. Alla biblioteca di Scienze della Formazione scovai un vero libro che parlava del vero orientamento e nel giro di una mezz'ora scrissi quel che bastava.
Una rilettura, un ritocco alle giunture qua e là ed ecco un'ottima tesina che non solo mi era costata poco tempo, ma per giunta era anche ruffiana quanto bastava, oltre che ben scritta (tranne nei punti dove ero stata costretta a citare Dominici e gli altri pedagogisti).
Ci si potrà domandare, a questo punto, se tali lavori hanno contribuito a fare di me una buona insegnante.
La risposta è "sì", perché mi hanno permesso di sviluppare competenze in un mondo a me piuttosto ignoto com'era quello della copia, ma soprattutto a farmi conoscere la piacevole sensazione che si prova quando si riesce a fregare un insegnante che si disprezza dal profondo del cuore per la sua inettitudine, incompetenza e rapacità.
A modo loro, sono lezioni utili anche queste.

martedì 15 settembre 2009

Taglio del Nastro 2009 - Anno nuovo, scuola nuova.


Taglio del nastro al chiar di luna, con sveglia alle sei per prendere il treno della prima ora.
Nuovo treno, nuova scuola e nuove classi: il primo round sarà con la mia futura classe, ma dopo mi aspettano due di questi misteriori Approfondimenti sui quali, dopo avermi fumosamente introdotto fumosi progetti, nessuno ha più dato spiegazioni di sorta; né io ne chiederò ad alcuno, dopo aver dichiarato in lungo e in largo ai colleghi di Lettere la mia più totale disponibilità a fare qualsiasi cosa su loro richiesta, incluso dare il cencio per terra.
Il primo giorno di scuola metto sempre il vestito buono - stavolta un rutilante abito di seta con fantasia e colori vagamente ispirati alle ruote di pavone completato da giacca di seta cangiante.
Certamente qui non sono l'unica, e certamente questa non è una scuola dove la sciatteria degli insegnanti trasmette ai ragazzi messaggi di disinteresse e menefreghismo: stanno tutti tirati a quattro spilli, scintillanti e firmati da capo a pié. Non è inconsueto, nelle scuole di provincia.
Niente registri, e il boccone di tre classi nuove in un sol giorno mi ha spinto a interrompere la consueta routine che mi porta a entrare in classe senza borsa ma con libri e registri in una splendida (e un po' logora) tracolla decorata con un bel gatto. Stamani non ho libri, non ho registri... mi limito a portare le fotocopie del discorso di Obama agli studenti in una custodia azzurra.
"Si sa niente dei registri?" si informa qualcuno.
"Quelli di classe sono arrivati. Gli altri saranno ordinati in giornata".
Ci dichiariamo tutti commossi per avere almeno di che firmare e segnare le assenze.
Una decana avvicina il nostro gruppo degli incarichi annuali "Siete emozionate all'idea di incontrare i ragazzi?" ci chiede. Non è una domanda ironica.
Sì, rispondo in assoluta sincerità. Preferisco sorvolare sul fatto che la mia emozione dominante è la paura - ma apprezzo di sentire tradurre in parole quel che serpeggia nella Sala Professori.
E' una bella sala, larga e spaziosa, con molta luce. Vorrei soltanto che la bacheca non avesse una foto in primo piano di Brunetta (che, insomma, comunque abbia fatto carriera, non l'ha fatta con la bellezza o il fascino personale) e la scritta "Lui ti sorveglia!".
Passa la Preside, anche lei infiocchettata, a salutarci. La arpiono per una questione di fotocopie. Mi promette che avrò tutte le fotocopie che mi servono, e ciò mi racconforta molto (sono sempre affamatissima di fotocopie).

La prima ora se ne va in convenevoli con la mia classe principale - una classe invero piuttosto effervescente dove sarà opportuno rivedere al più presto la disposizione dei posti. Gli chiedo di consegnarmi i compiti delle vacanze. Mi guardano con dolorosa sorpresa: ma li vuole proprio?
Lascio scivolare con garbo che sono tendenzialmente contraria ai compiti delle vacanze, ma naturalmente laddove siano stati dati vanno corretti, se no che senso ha farli? E poi così vedrò come lavorano...
Arriva qualche libretto, con qualche vaga scusa "Sa, non ho fatto proprio tutto...". Prometto garbatamente di sorvolare.
La seconda ora scivola serenamente con una terza deliziosa che assai malvolentieri consegno alla sua legittima insegnante di Lettere. Il discorso di Obama ci ha tenuto buona compagnia, insieme a qualche excursus sulla conquista dei diritti dei neri negli USA.
Il discorso di Obama è bello e si presta bene a farsi leggere in classe, ma due volte in una mattina mi sembra troppo. Così esorto i ragazzi di prima (un po' frastornati dopo l'emozionante debutto) a tirare fuori carta e penna, chiudere gli occhi lasciando andare i pensieri e scrivermi il primo ricordo che gli viene in mente. Tutto andrebbe bene se non entrassero prima la custode con una circolare e poi la Preside a salutare la classe.
Diciamo che non ne viene fuori quell'esercizio rilassante e un po' catartico che avevo inteso farne, comunque i ricordi arrivano. Mi sdilinquisco davanti al foglio del ragazzo marocchino, che ha una quadrettatura particolarissima (provo a informarmi dove l'ha comprato ma, ahimé, l'ha proprio comprato in Marocco). Peccato che il caro ragazzo quella quadrettatura particolare la riempia con una scrittura microscopica, ma pazienza.
Scoprirò poi a casa che metà classe parla di scuadre, scuali e perfino di squola.
Credo che il prossimo approfondimento con loro sarà sul c/q. Non è un intervento invasivo, e alla titolare può solo far comodo.

lunedì 7 settembre 2009

Manuale del Perfetto Insegnante - Come NON si organizza un'uscita - 1


Quel che mi accingo a postare è un tranche de SSIS autenticissimo in ogni suo dettaglio.
Andò così: il primo anno di SSIS gli insegnanti di geografia decisero di chiudere il corso - in cui avevano peraltro in numerose occasioni dimostrato di non essere dotati di senno sovrabbondante - con un "sopralluogo esterno" che doveva spaziare dalle cave di Maiano ad altre località ai bordi della città di Firenze (ma questo si capì soltanto dopo) con lo scopo, mi sembra di ricordare, di fare un excursus su un'infinità di cose che nessuna persona sana di mente cercherebbe mai di ficcare tutte insieme in una lezione.
Conosco bene la zona, dove è possibile fare lunghe passeggiate tra le colline praticando un trekking dolce da asfalto particolarmente gradevole nelle belle giornate di primavera e inizio autunno, e posso garantire che i tempi erano completamente sballati anche solo per la passeggiata a piedi, lasciando perdere la lunga lezione divisa in più parti.
Il sopralluogo fu organizzato talmente male che non poté venire effettuato; del resto,  solo una serie di circostanze totalmente favorevoli avrebbe potuto permettere di effettuarne con parziale successo una metà scarsa.
Al termine di quella ignobile figura, i docenti insisterono per avere una nostra relazione.
"Ma siete proprio sicuri di volere la relazione?" chiesi io mentre i miei colleghi rumoreggiavano "Sicuri-sicuri-sicuri?"
Lo erano. Bastavano una cartella o due, mi dissero. Anche mezza cartella.
"Se proprio volete la relazione, la avrete" promisi. Molti non la portarono, ma io la scrissi e la consegnai con specchiata puntualità. Quando iniziai a scriverla ero arrabbiata al calor bianco, ma quando l'ebbi terminata ero solo molto divertita dalla situazione: come in molte altre circostanze sfogarmi era servito tra l'altro a riportare la faccenda alle sue giuste dimensioni.
"Sii in collera, ma non peccare" esorta san Paolo; e io non avevo peccato, mi ero limitata a dire la verità (con una certa collera e un lieve filo di sarcasmo).
All'esame presi 28/30 - un voto già di per sé spropositato rispetto alle mie modeste competenze e allo scarso impegno che avevo dedicato alla materia. I colleghi mi assicurarono però che era stato uno dei voti più alti e che molti che lo avevano preparato con gran cura si erano poi dovuti contentare di voti ben più bassi.

Quel che segue è il testo della relazione così come l'ha conservato il computer; ho solo tolto qualche refuso e aggiunto un po' di colori e di formattazione (le relazini che consegnavo per la SSIS erano sempre molto spartane sul piano grafico e stampate con una sobria stampante ad aghi, che d'altronde stampava benissimo e dalla quale mi sono separata solo due anni fa, per cause di forza maggiore, con grande dispiacere).

Manuale del Perfetto Insegnante - Come NON si organizza un'uscita - 2

Il “Sopralluogo” di Venerdì 7 Maggio come esempio di organizzazione di una esercitazione sul terreno


Il sopralluogo di Venerdì 7 Maggio 2004, nell’ambito del percorso formativo del V ciclo della SSIS dell’Università di Firenze per l’insegnamento di Geografia all’interno dell’indirizzo letterario, ha senz’altro costituito uno dei momenti culminanti di tutto l’anno di corso, sia dal punto di vista didattico che da quello relazionale e formativo. La metodologia prescelta, spregiudicata ma di notevole impatto, è stata quella della dimostrazione ex absurdo: l’esercitazione cioè, è stata concepita e organizzata come una dimostrazione concreta di tutti gli errori che si possono commettere nella preparazione di una lezione esterna.

I risultati sono stati senza dubbio notevoli, ma a titolo puramente personale confesso un po’ di dispiacere per non aver potuto usufruire anche della lezione vera e propria (che avrebbe dovuto consistere, mi è sembrato di capire, in un’analisi della topografia urbana ed extraurbana di Firenze, con relativa analisi storico-geografica e un excursus sull’escavazione e l’utilizzo della pietra serena): a parte la curiosità personale, che mi rende sempre disponibile anche verso gli argomenti più insoliti, una lezione del genere sarebbe stata anche assai spendibile in classe per chi lavora nelle scuole fiorentine, anche sotto forma di quelle annotazioni e curiosità che spesso risultano tanto gradite agli allievi. D’altra parte mi rendo conto che non si può avere tutto, nella vita, e del resto anche così l’esperienza si è rivelata oltremodo interessante.


Ho pensato quindi di strutturare la relazione presentando per ogni punto relativo all’organizzazione una fedele (e abbastanza divertita) cronaca dei fatti, seguita dalle critiche che potevano essere mosse a chi aveva “organizzato” l’escursione, per fare infine riferimento alle reali ed effettive modalità con cui andrebbe progettata una lezione all’esterno, così come le ho ricavate dal materiale didattico che ci è stato distribuito (di cui mi rammarico di non aver potuto citare gli estremi bibliografici in nota).


1) Argomento e finalità didattiche

Ci è stato genericamente detto che avremmo fatto un “sopralluogo”, senza alcuna indicazione di modalità, tempi e luoghi. La comunicazione in effetti si limitava ad un invito a ritrovarsi in piazza San Marco ad una data ora (le 14.30 del venerdì 7 Maggio 2004), con la notazione che saremmo stati divisi in quattro gruppi.

E’ importante osservare come nessuno degli allievi avesse la benché minima idea del programma della lezione.


Questo ha indotto negli specializzandi quel particolare stato d’animo, noto come Sindrome del Parco Buoi (SPB) che un gruppo di allievi prova inevitabilmente quando viene coinvolto senza alcuna spiegazione in qualche Attività Non Meglio Definita (ANMD) da uno o più docenti verso i quali non ha imparato a sviluppare un rapporto di stima e di fiducia, e che si può riassumere nelle grandi domande “Chi siamo? Dove andiamo? E soprattutto, perché non siamo restati a casa a guardarci un buon film alla televisione?”.


A questo proposito le fotocopie che ci sono state distribuite nella lezione successiva sono piuttosto eloquenti. Vi si legge infatti :

“Risulta fondamentale, pertanto, una loro [delle uscite didattiche] accurata organizzazione, secondo un preciso schema metodologico” che prevederebbe addirittura il coinvolgimento dell’intero consiglio di classe.

Parte di questa organizzazione consiste in un’accurata preparazione degli allievi. Infatti:

“La preparazione in classe dell’uscita va programmata tenendo presente alcuni punti che sono essenziali nel processo di insegnamento-apprendimento, e che percorrono trasversalmente l’intera unità didattica. A tale proposito, è opportuno accertare e creare i prerequisiti comportamentali e spaziali su cui impostare il lavoro successivo; definire i contenuti in base ai quali si intendono perseguire determinati obiettivi; raccogliere, organizzare e discutere l’adeguato materiale iconografico e statistico; elaborare una serie di prove oggettive atte a valutare lo sviluppo dei progressi cognitivi <>, ed un test sommativo finale che accerti la conoscenza e la comprensione dei precedenti momenti preparativi all’escursione sul terreno [il corsivo è nostro]” (1)


Va da sé che non tutte le fasi di preparazione qui elencate sono sempre indispensabili. Ma, onde evitare la sopra citata SPB, ovvero Sindrome del Parco Buoi, è opportuno quantomeno dare agli allievi che ci vengono affidati (talvolta verrebbe da dire, manzonianamente: “che ci vengono dati in balia”) una sia pur minima consapevolezza delle modalità e dello scopo dell’escursione.


2) Organizzazione e preparazione; valutazione dei rischi

L’itinerario previsto per il mio gruppo (se ho capito bene) comprendeva una partenza da Settignano con sosta nel piazzale Desiderio, per poi proseguire verso Ponte a Mensola e le Cave di Maiano, con ritorno lungo l’Affrico - insomma, una camminata piuttosto lunga.

Le previsioni del tempo erano nettamente sfavorevoli. Inoltre era previsto uno sciopero dei mezzi pubblici a partire dalle 17.00. Da notare che una consistente quota degli specializzandi viene da fuori Firenze.


Nessun invito a munirsi di scarpe comode, e soprattutto nessuna descrizione di eventuali itinerari. In questo modo si è evitato che gli involontari escursionisti prendessero precauzioni legate alla salute (tachipirina e maglioni per chi aveva qualche influenza o malanno da raffreddamento in corso; analgesici per chi aveva le mestruazioni eccetera). Si è così efficacemente provveduto a fornire ogni allievo, sin dall’inizio, del Massimo Grado di Scontento (MGS) nonché del Minimo Grado di Disponibilità (MGD), oltre ad un grado di disagio variabile a seconda delle circostanze (ad esempio chi usa abitualmente scarpe comode e quel giorno indossava vestiti pratici, sufficientemente caldi e godeva di un buono stato di salute non ha provato all’inizio un personale disagio, anche se ha potuto efficacemente constatare quello provato dai suoi compagni).


Lo sciopero dei mezzi pubblici è stato semplicemente ignorato dagli organizzatori, nonostante alcuni specializzandi si fossero preoccupati di fare presente la questione inviando loro e-mail (che non hanno avuto risposta). I docenti hanno dunque applicato la TSO (Tecnica dello Struzzo Ottimista). Uno di loro l’ha anzi portata a notevoli livelli di virtuosismo augurandosi genericamente che “visto che era solo uno sciopero dei Cobas non fosse molto significativo” - il tutto in un’annata in cui il capitolo Scioperi dei Trasporti Pubblici si è rivelato erto di insidie un po’ in tutta Italia (peraltro, a quanto abbiamo potuto constatare a posteriori, i COmitati di BASe hanno goduto di un seguito abbastanza consistente per lo sciopero in questione).

Peraltro il problema Trasporti sarebbe stato facilmente aggirabile procurandosi un mezzo proprio, per esempio uno di quei pulmini che spesso il Comune di Firenze mette a disposizione delle scolaresche su richiesta delle scuole - oppure avendo cura di organizzarsi con mezzi propri (molti degli specializzandi dispongono di automobili o mezzi a due ruote). Questo avrebbe richiesto certamente molto dispendio di tempo e di telefonate... ma non si è detto che l’organizzazione è importante?

L’uso di un mezzo proprio sarebbe stato consigliabile, visto l’alto numero di partecipanti, anche in base a un’altra considerazione: l’autobus n. 10, l’unico che porta a Settignano, non ha una grossa capienza né corse frequenti.


Per recarsi sul luogo iniziale dell’escursione non è stato approntato alcun mezzo dall’Università. Il mio gruppo, composto da oltre cinquanta persone, è stato malamente stipato su un autobus della linea 10, con grave incomodo delle persone che lo componevano e dei disgraziati passeggeri abituali dell’autobus in questione: si tratta infatti di un tram a capienza piuttosto limitata.


Tra gli specializzandi corre voce che i docenti fossero stati avvisati via e-mail anche delle previsioni del tempo nettamente sfavorevoli, sempre senza ricevere risposta alcuna. Ignoro se tutto questo risponda a verità, ma di sicuro non occorrevano attrezzature satellitari o competenze meteorologiche fuor dall’ordinario per intuire che la situazione meteorologica era a rischio: a Firenze (come su buona parte dell’Italia) pioveva senza remissione da una settimana, con vaghe schiarite di durata variabile fra i tre e i trenta minuti, e tutto lasciava intendere che sarebbe continuato così. Non si trattava di una fine pioggerellina primaverile, del tipo che i giapponesi chiamano “rain kiss”, ma di una pioggia torrenziale, adattissima a favorire fenomeni di erosione e dilavazione, nonché a creare paludi urbane adattissime per l’allevamento di anguille e capitoni. Un tipo di pioggia, per intendersi, del tutto inadatto ad un’escursione.


Resta inteso che nella corretta organizzazione di una escursione esterna va fatto proprio l’opposto: prima di tutto la destinazione va comunicata con molta chiarezza, e va data anche qualche indicazione su tempi, modi e itinerari.

In una città con problemi di traffico come Firenze, dove i mezzi pubblici sono piuttosto scomodi, è opportuno cercare di procurarsi un mezzo proprio (p. es. un autobus del Comune) e utilizzare le linee ATAF solo quando si hanno ragionevoli probabilità di trovarle abbastanza sgombre. Naturalmente in caso di sciopero le gite vanno rimandate. Altrettanto naturalmente, per una gita all’aperto, occorre avere sempre a disposizione un cosiddetto Programma Alternativo in caso di pioggia torrenziale. Questo, prima ancora che dalla didattica è stabilito dal più elementare buon senso: se dedichiamo del tempo a fare qualcosa, tanto vale farla bene. Il sopralluogo esterno è bensì auspicato e caldeggiato, ma nessuna legge lo impone; e dunque, una volta che si decide di farne uno, è ragionevole e sensato adoperarsi con tutti i mezzi per farne un’occasione di piacere, oltre che di istruzione - o meglio, un occasione di piacere al fine di renderlo un’occasione di istruzione: com’è noto, infatti, un ADS (Allievo Divertito e Soddisfatto) apprende molto più facilmente di un AID (Allievo Irritato e Disorientato).


3) Il momento della spiegazione - parte I

Giunti a Settignano lo squarcio di cielo azzurro che ci aveva compassionevolmente accompagnato sin dall’adunata di piazza San Marco si è richiuso ed ha cominciato a tirare un vento gelido e molto forte.

Il gruppo si è diretto nella piazza Desiderio da Settignano e si è assiepato intorno al muretto del belvedere. Stando a quel che ci veniva dichiarato, la prima parte della lezione sarebbe consistita in un esame di Firenze dall’alto (una visuale, invero, assai suggestiva).

Ha cominciato a parlare uno dei docenti che ci accompagnava. Il forte vento che si stava levando (e che ha continuato ad aumentare di intensità fin quando ha cominciato a piovere) ha complicato molto la distribuzione del “materiale” (un po’ di fotocopie, una delle quali in A3, e una cartina di Firenze che era pura utopia cercare di aprire, non dico di consultare).

Non dico nulla della raccolta-firme (una costante piuttosto ossessiva della Scuola di Specializzazione), che pure ha dato luogo a numerosi intermezzi comici, alla pari della distribuzione di fotocopie che cercavano con tutte le loro forze di spiccare il volo, come nel celebre racconto di fantascienza di John Sladek.*

Sta di fatto che gli argomenti della lezione (per quel pochissimo che mi è arrivato alle orecchie) erano abbastanza nuovi, anche se ignoro se fosse stato effettivamente previsto il tentativo, fatto da alcuni coraggiosi allievi, di prendere appunti, pur essendo in piedi e senza base d’appoggio per il quaderno.

In realtà non c’erano appunti da prendere, perché la voce dell’insegnante arrivava soltanto a tratti, e solo alle persone aggruppate intorno a lei, in parte a causa del vento e in parte per la distanza proibitiva in un luogo completamente privo di ogni protezione per l’acustica.

Solo in apparenza il problema principale era il vento: in realtà anche senza vento la lezione non avrebbe potuto essere seguita dagli allievi a causa del numero dei partecipanti. Infatti la voce in ambiente esterno non ha la stessa portata che ha in un ambiente chiuso. D’altra parte per guardare Firenze dall’alto occorreva disporsi lungo il muretto del belvedere, e i circa cinquanta presenti, per disporsi, avrebbero dovuto occupare buona parte del muretto per una lunghezza di almeno dieci-dodici metri. Dunque, solo i sette-otto (a voler essere ottimisti) specializzandi più vicini agli insegnanti avrebbero avuto speranza di seguire la spiegazione e anche guardare la città dall’alto.

D’altra parte, ascoltare la spiegazione senza guardare la città dall’alto non soltanto non aveva molto senso, ma avrebbe reso la lezione all’aperto assai simile ad una normale lezione frontale al chiuso, solo molto più scomoda.


A meno che la lezione all’aperto non si limiti ad un ristretto gruppo di allievi (massimo massimo quindici) oppure che l’insegnante non disponga di corde vocali all’altezza della migliore tradizione canora del nostro bel Paese, per i docenti è consigliabile munirsi di un impianto di amplificazione della voce - un microfono senza fili, per intendersi.

Tutto questo a meno che gli allievi non sappiano già cosa devono guardare, cercare, osservare.

“Se si desidera, pertanto, che la visita di studio abbia un ruolo effettivo ed efficace nell’apprendimento, “bisogna costruire almeno due momenti didattici definiti: uno è la preparazione in classe, l’altro è l’indagine diretta sul terreno” secondo un’organizzazione del lavoro che attribuisca uguale importanza alla fase “della lavagna” e a quella del territorio” (2).

Insomma occorre evitare che la lezione esterna si riduca alla semplice manovra di prendere gli allievi, piazzarli senza preliminari di sorta in un punto X purché fuori da un’aula e parlare per un po’ senza preoccuparsi in alcun modo se gli allievi in questione ascoltano e comprendono quel che gli viene detto. Una lezione, al chiuso o all’aperto, ha senso solo se viene effettivamente percepita dagli allievi - a meno, si capisce, di ridurre l’insegnamento ad una mera trafila burocratica in cui il momento più saliente è l’accredito dello stipendio sul conto corrente.

(Va da sé che l’impostazione della SSIS rifugge totalmente da una concezione così avvilente del lavoro di insegnamento).**

4 - Il momento della spiegazione - parte II


Costretti alla fuga dalla pioggia ormai implacabile, i due gruppi di specializzandi e i due docenti si rifugiano al coperto, nella Casa del Popolo di Settignano, in attesa dell’ultimo autobus disponibile prima dell’inizio dello sciopero. Qui i due docenti impartiscono un supplemento di spiegazione assai difficile da seguire a causa del sottofondo di bicchieri, tazzine etc. del bar, e della radio che trasmette un ameno programma di canzoni. Quel pochissimo che arriva nonostante tutto alle nostre orecchie lascia capire che gli argomenti sarebbero stati probabilmente di grande interesse; peccato, ahimè, che ben pochi abbiano avuto modo di sentirne sia pure un breve cenno.


Con questo gustoso finale il Gruppo Vacanze “Fantozzi va alla SSIS” potrebbe aver finito la sua “lezione”, ma interviene il tocco finale: la Relazione. I due docenti infatti, recitando con indubbia abilità drammatica la parte dell’II (Insegnante Irragionevole), proclamano nuovamente l’intenzione già esternata sul piazzale del belvedere, e chiedono nuovamente una Relazione sulla Presunta Lezione, fatta anche in base a materiale che “verrà distribuito in seguito”.

Gli specializzandi, ormai perfettamente calati nel ruolo di SVADII (Studenti Vessati e Angariati da Insegnanti Irragionevoli) protestano a gran voce. I professori contrattano: una cartella, mezza cartella, dieci righe. Ovviamente (in quanto ben calati nel ruolo) ignorano ogni tipo di obiezione legata al fatto che la lezione non c’è stata, e risolvono il problema stabilendo che, se loro dicono che la lezione c’è stata, ciò sta evidentemente a significare che la lezione c’è stata.

In seguito un apposito comunicato ribadirà la richiesta della relazione, precisando che vale solo per chi era presente alla “lezione”.


L’abile manovra didattica ha lo scopo di farci comprendere lo stato d’animo degli studenti quando hanno la precisa convinzione che i loro insegnanti abbiano perso il lume della ragione, insegnandoci con ciò una lezione che, per quanto banale, non sarà mai ripetuta a sufficienza ad un gruppo di aspiranti docenti: reagire davanti a una classe in rivolta puntando i piedi serve solo a complicare ogni attività didattica presente e futura. Come sa chiunque abbia pratica di insegnamento, per poca che sia, l’unico modo di venire a capo di una classe veramente arrabbiata è praticare quello che in didattica si chiama “ascolto attivo” - in breve, starli a sentire. Nel senso di starli a sentire sul serio.

Negli insegnanti inesperti (e talvolta, ahimè, perfino in quelli esperti) c’è l’oscura paura che “se non gli faccio fare il compito, oppure se lo cancello, perderò autorità”. Naturalmente è vero l’opposto: l’insegnante che sa ascoltare le ragioni dei suoi allievi e all’occorrenza cancellare un compito, o ripetere una lezione che non è risultata chiara, non solo non perde autorevolezza né credibilità, ma al contrario la acquista.


La richiesta della relazione a posteriori, infine, ci ricorda che la diffidenza degli allievi è sempre all’erta e, laddove manchi un rapporto di stima e di fiducia con il docente, l’allievo applicherà sempre l’aurea massima “Nel dubbio, fai forca” - ovvero, un’assenza strategica può risparmiarti un sacco di grattacapi.


5 - Tirando le conclusioni


L’esperienza del sopralluogo esterno si è rivelata senza dubbio proficua e interessante, come ho già detto nell’introduzione.

Sarebbe però interessante (e qui sono sicura di non parlare solo a titolo puramente personale) vedere il rovescio della medaglia, cioè le modalità con cui va preparata una lezione all’aperto riuscita.



NOTE

(1) Purtroppo dalle fotocopie distribuite non è stato possibile risalire al testo e al suo autore. In alto sulle pagine di sinistra si legge “I - Geografia e didattica in Italia” e su quelle di destra “3. Le metodologie”. I brani citati sono presi da pag. 81.


(2) Stessa opera di cui sopra, stessa pagina. Parte del passo qui citato è attribuita a “Caldo, 1989, p. 42”.


* Dubito molto che il riferimento al delizioso racconto "Rapporto sulla migrazione del materiale didattico" sia stato colto

** Sì, li stavo perculando. Ma senza che potessero rimproverarmi.

sabato 5 settembre 2009

La mia nuova scuola (con fantasmi annessi)


Ieri mattina, col Gruppo Vacanze Precari di Lungacque, sono andata a prendere servizio nella scuola di Hogsmeade.
Tale scuola si articola anch'essa su tre comuni, come quella di St. Mary Mead. E in uno di questi comuni abbiamo - nientemeno - una classe fantasma.
Non sono sicura di avere ben capito i termini della questione (dopotutto, una classe fantasma non si trova tutti i giorni) ma sembra che due anni fa si sia formata una classe troppo piccola per avere diritto ad esistere, così l'hanno accorpata nominalmente ad una classe del plesso principale, con il tacito assenso delle autorità.
Non so come abbiano fatto a procurarle degli insegnanti e tantomeno capisco perché fare le cose di nascosto - sta di fatto che una delle mie colleghe avrà il piacere di far loro, di soppiatto, un tot di ore che le verranno pagate "a progetto". Più avanti mi farò spiegare dalla collega se i ragazzi girano avvolti in bianche lenzuola trascinando catene arrugginite e se lei per entrare in quella classe dovrà adornarsi a sua volta in cotal guisa (il tutto sperando che la classe fantasma non si riconosca dalla sua fantomatica preparazione).
L'orario è strutturato su sei unità orarie, con dei recuperi - e questo è abbastanza normale. Un po' meno normale è che le unità orarie siano di 52, 53 e 57 minuti, con due intervalli uno di dieci e uno di nove minuti. Sono consapevole che dividere il viaggio del luminoso cocchio del Sole in ventiquattro unità ognuna composta di sessanta minuti è solo una convenzione inventata dagli uomini, esattamente come regalare dei confetti bianchi il giorno del proprio matrimonio, e che se esiste un sistema a base sessagesimale può benissimo esisterne uno a base cinquantasettesimale; ma, insomma, mi sento un po' perplessa.
Le segretarie sono state gentilissime. Anche la preside* e le colleghe, ma per i miei gusti parlano un po' troppo didattichese. Capisco che lo fanno anche per impressionare i nuovi arrivati, ma una riunione di venti minuti e passa per illustrarci il POF... o meglio, non il POF bensì la struttura del POF, diviso in otto volumetti ognuno con una rilegatura diversa... uno con il regolamento d'Istituto, poi i vari regolamenti dei plessi, poi il POF vero e proprio, poi il regolamento disciplinare, poi non so che altro perché a quel punto ero già persa in un limbo mio personale che non manca mai di accogliermi in questi casi. Da notare che il POF viene stampato solo occasionalmente, onde non mandare la scuola in bancarotta, ma è sul sito della scuola medesima - ma, in questo momento, non accessibile (non ho capito perché). In pratica, l'unico modo per leggerlo sarebbe rubare quello della preside.
Siccome c'era stata questa essenziale riunione, dopo è rimasto poco tempo per parlare di cose banali quali l'assegnazione delle classi e dunque sappiamo solo chi farà seconde e terze e chi farà una prima e le nove ore di Approfondimento Didattico (sì, sono io la fortunata) ma non in quale sezione. All'uscita del colloquio con la Preside gli addetti all'orario ci sono piombati addosso come falchi, e resisi conto che non sappiamo ancora con precisione DOVE saremo "perché la Preside doveva ancora pensarci" hanno lanciato lunghi ululati. Posso capirli, perché fare l'orario è sempre un'impresa epica.
C'è un rientro al mese (che è un peccato perché mi avevano garantito che la mensa è ottima); ma il peggio è che questo rientro mensile è dedicato a tre vaghi progetti incentrati sugli originalissimi temi del Riutilizzo, della Multiculturalità e del Volontariato. Ora, io non ho niente contro i rientri pomeridiani, però diffido moltissimo delle ore pomeridiane quando fai mangiare i ragazzi alle due e dopo li piazzi a seguire improbabili Progetti Sui Massimi Sistemi.
Peggio ancora, questi nobili progetti andrebbero sviluppati anche durante l'ora di Approfondimento. Ho provato a suggerire che, molto banalmente, le insegnanti di Lettere delle varie classi potrebbero darmi qualche consegna, del tipo "falli leggere", "risentigli i verbi irregolari" e roba del genere - ma si sono precipitate a dirmi che nonono, non è un'ora di recupero (cosa ci sia di male poi a fare recupero proprio non lo so. Che poi se proprio non c'è niente da recuperare si può sempre potenziarli, no?) ma è un'ora in cui si cerca di sviluppare le Quattro Abilità, in accordo con l'insegnante di Lettere.... il tutto in un didattichese molto stretto ma prolisso come solo il didattichese sa essere; e infatti quest'ora di Approfondimento avrà "un momento valutativo importante nonché integrativo della valutazione di Lettere".

Vabbe', l'importante è capirsi.

*ho poi saputo che costei è nota anche come Lady Mappa perché ad ogni incontro o discussione si presenta con la sua brava mappa cognitiva e/o concettuale.

giovedì 3 settembre 2009

Come un nikuman nella sua pentola...



I nikuman sono delle specie di gnocchi di pasta con ripieno di carne, tipici della cucina cinese ma molto amati anche dai giapponesi, che cuociono a vapore in un'apposita pentola a tre strati.
Ne ho già parlato all'incirca un anno fa, in occasione delle convocazioni per le supplenze annuali. Quest'anno abbiamo cambiato scuola e il provvido CSU ci ha selezionato un edificio forse ancor più caldo di quello dell'anno scorso, ma di sicuro molto più piccolo. In teoria eravamo molti meno dell'anno scorso, ma a guardarci non si sarebbe detto - forse l'effetto sardina in scatola contribuiva, non so.
In compenso non mi spiego come mai, se le cattedre da assegnarci erano molte meno e io avevo risalito qualche posizione, i tempi sono stati all'incirca gli stessi. Tra l'altro non abbiamo avuto nemmeno cattedre che apparivano e scomparivano - almeno sembra, per adesso.
A St. Mary Mead quest'anno c'era una sola cattedra, che è sparita abbastanza presto. Così ho ripiegato su Hogsmeade, un altro paesello di provincia facilmente raggiungibile da casa mia. Questo mi priverà di molti piacevoli colleghi e del mio amato NuovoPreside (che aveva sì chiesto il trasferimento, ma per fortuna degli altri non l'ha ottenuto) ma tanto ormai la classe che avevo l'ho portata in terza e quindi non ho lasciato niente di incompiuto.