Il mio blog preferito

venerdì 31 dicembre 2010

Il 2011 si avvicina a grandi passi....


...ma dedichiamoci intanto a festeggiare san Silvestro, patrono e protettore dei gatti.

Felice notte di bagordi a tutti da Murasaki, e possa il vostro champagne* essere di qualità eccelsa e quantità illimitata

* (o spumante: perché lo sappiamo tutti, che molti spumanti sono migliori di molti champagne)

giovedì 30 dicembre 2010

Il caso del burro fuori tessera


Era il Natale della seconda media e sotto l'albero trovai, tra l'altro, un bel librone rosso della collana Omnibus Mondadori. Si intitolava "Miss Marple: indagare è il mio peccato" e conteneva quattro romanzi e due racconti di Agatha Christe con protagonista Miss Marple.
L'introduzione mi stuzzicò piacevomente: un'investigatrice che conduce le inchieste a colpi di pettegolezzi, seduta in salotto a chiacchierare con le vicine mi sembrò interessante. Attaccai il primo romanzo, "Un delitto avrà luogo" e rimasi conquistata.
In quel romanzo Miss Marple fa una delle sue migliori entrate: prima discute su come sia sciocco cercare di falsificare l'assegno di una persona anziana, che fa sempre tanta attenzione ai conti (e per me Miss Marple ha sempre avuto l'aspetto della mia nonna paterna, pensionata non povera ma assai attenta ai conti per antica abitudine), poi si lancia in un paragone col garzone del pescivendolo di St. Mary Mead, che aggiungeva sempre uno scellino in più ai conti settimanali dei vari clienti, cui nessuno faceva mai caso perché "oggi si mangia così tanto pesce..." (nel mio mondo, all'epoca, di pesce se ne mangiava assai poco e tutto sotto forma di filetti di sogliola surgelata, che tra l'altro era in realtà platessa) - infine individua il problema base dei resoconti del primo delitto in un batter d'occhio: "Ispettore, nessuno ha visto un bel nulla, perché era buio".
Tutto il romanzo andava avanti a piccoli colpetti, tra paesani preoccupati di prendere il burro fuori tessera, alibi un po' casuali, le porte sempre aperte che rendevano inutili i tentativi dei poveri poliziotti di capire chi poteva entrare e dove, cardini oliati con una penna di pollo, lampade da tavola di porcellane con pastori e pastorelle, mazzolini di violette appassite, vecchie fotografie scomparse e il problema dei reduci di guerra che si erano sparpagliati per tutto il paese, così che nessuno sapeva più con certezza chi era chi - e infatti alla fine del libro un bel po' di persone avevano una storia diversa da quella che avevano raccontato all'inizio e molte frasi erano state fraintese.
La soluzione arrivava alla fine ed era bella lunga, con tonnellate di dettagli che andavano chiariti uno per uno e una storia che risaliva indietro di decenni implicando parecchie persone. In mezzo c'erano un sacco di conversazioni di varia quotidianità e un'adorabile chiacchierata tra vecchiette in pasticceria che verteva principalmente sul drammatico problema delle povere vecchie, o più esattamente delle vecchie povere, che mi lasciò molto, molto da pensare.
Da notare che lo lessi nella vecchia traduzione, pesantemente sforbiciata da quei cani della Mondadori per "togliere il superfluo" (la storia del burro fuori tessera ad esempio, era stata falciata senza pietà lasciando solo un paio di vaghe tracce); eppure, anche così smozzicato, il romanzo mi affascinò dalla prima all'ultima pagina e mi convinse che la mia più cara aspirazione per il futuro sarebbe stata quella di essere una vecchia zitella in un paesino inglese. Tale sogno, per arrivare a compimento, presentava qualche difficoltà che non mi sfuggiva - ad esempio dovevo imparare l'inglese molto bene, altrimenti non avrei potuto dedicarmi alla parte più piacevole di quel progetto, che era il pettegolezzo. Minor intralcio sarebbe stato costituito da una piacevole vita sentimentale, che ero ben intenzionata a godermi: amanti e mariti non sono eterni e del resto un uomo non è un vero e serio intralcio ad una serena vita da anziana zitella - tra l'altro la mia nonna materna, all'epoca, era ancora sposata e felicemente inconsapevole della sua futura vedovanza; molto più avanti nel tempo comunque scoprii che la campagna inglese era assai simile a quella di certe zone della Toscana, e che dunque il problema della lingua avrebbe potuto essere aggirato in modo soddisfacente.

I gialli della Christie li ho letti tutti, e più di una volta, quasi sempre con grande piacere. Non sono mai riuscita a capire però che accidenti potessero trovare i lettori in Poirot, che pure è così famoso. Per me Miss Marple è sempre stata incomparabilmente superiore, con le sue entrate e uscite discrete, il suo atteggiarsi a buona nonnina comprensiva e la sua candida mancanza di illusioni sulla natura umana e sulla vita quotidiana dei candidi, piccoli villaggetti dove - per forza di cose - avvengono meno delitti che in una grande metropoli, ma dove le proporzioni sono rigorosamente rispettate e dunque i delitti avvengono, proprio come nelle grandi città, e non certo meno cruenti.
Non m ha quindi sorpreso, nel corso degli anni, scoprire che le scuolette di provincia non racchiudono minor numero di casi problematici tra alunni, insegnanti e genitori, di quel che si trova nelle scuole delle Grandi Città, incluse quelle cosiddette "di frontiera"; perché si sa, la natura umana è la stessa in qualsiasi parte del mondo...

lunedì 27 dicembre 2010

I miei insegnanti - Mia madre


Gatta Madre e Gatta Figlia. Da notare come madre e figlia siano diversissime, ma non per questo la madre non ha gran cura della figlia

Sono una figlia d'arte, e mia madre è stata la prima insegnante che ho conosciuto a fondo - non perché mi abbia mai insegnato alcunché in veste professionale, ma perché ci vivevo insieme e ci parlavo, e certe cose si assorbono per osmosi, anche se non pensi affatto che farai il lavoro di tua madre. Semplicemente ci sei, e ascolti.

Mia madre cominciò a insegnare nel 1950, vincendo a vent'anni un concorso che le assegnò una cattedra per la scuola elementare in un paesello vicino a St. Mary Mead. Le strade all'epoca erano quel che erano, i mezzi di trasporto anche, quasi nessuno aveva la macchina, e insomma per raggiungere da Firenze quel paesello (oggi perfettamente inserito nelle vie di comunicazione e neanche tanto paesello) doveva cambiare ben quattro mezzi di trasporto: treno, corriera, altra corriera, bicicletta e usare pure i piedi. Dopo un po' di quell'odissea quotidiana prese un appartamento sul posto e si rassegnò a tornare a Firenze solo per i fine settimana - cosa assai seccante per lei, visto che ambiva a vedere con una certa regolarità il mio futuro padre, con cui già stava insieme.
Con gli anni e con i concorsi si avvicinò alla città e contemporaneamente i trasporti migliorarono; a trent'anni era comodamente installata in una scuola a pochi minuti da casa - molto più comodo, considerando che a quel punto aveva messo su famiglia.
Dai bambini ruspanti di campagna (all'epoca molto, molto ruspanti) passò prima ad un Rifugio Infanzia Abbandonata (perché non è che prima non ci fossero situazioni familiari assai particolari, semplicemente le tenevano nel ghetto) poi alla Classe dei Mongoloidi (che c'erano anche un tempo, ma li tenevano nel ghetto e "mongoloidi" non era termine gergale ma ufficiale e tecnico) fino ai ragazzi di buona famiglia della Scuola Prestigiosa del suo quartiere.
Visse poi la stagione eroica dell'avvio dei Decreti Delegati, tuffandosi con voluttà nel Consiglio di Circolo, fu una pioniera del tempo pieno, che approdò alla Scuola Prestigiosa solo con grandi malumori collettivi perché richiedeva un orario un po' elastico e "come si faceva a badare alla famiglia?" (la famiglia, devo dire, resse a meraviglia anche se due o tre volte a settimana mangiava il pranzo riscaldato) e prima di andare in pensione fece in tempo a votare per i Moduli. Fu una delle prime Eroiche Gemellatrici, con un'epica gita-scambio in Normandia fatta a dispetto del mondo intero, fu un'accanita sostenitrice delle Uscite Per Il Mondo: durante le elementari io ho fatto una sola uscita agli Uffizi, ma pochi anni dopo le sue classi costituirono uno dei tormentoni dei pullmini del Comune di Firenze, saltellando da un capo all'altro della città e del contado e imperversando per musei e tenute agricole. Io ricordavo le mie mattinate di lezione frontale e un po' invidiavo i suoi alunni, devo dire.
Passò dalle classi di quaranta bambini nei banchi a due a classi decisamente dinamiche, dove diciotto piccoli demoni saltellavano da un capo all'altro dell'aula e la chiamavano "Grazia" e non più "signora maestra" come usava quando ero piccola. Un po' rumoroso, pensai quando andai a trovarla una volta a pochi anni dalla pensione, ma certamente più piacevole per i ragazzi.
A tavola si parlava spesso di scuola: c'erano le Saghe Con i Genitori (che con l'arrivo dei decreti delegati cominciavano a imperversare), le Saghe con i Direttori (con cui mammà litigava serenamente, se il caso lo richiedeva) e le Saghe con i Colleghi (con cui litigava con maggior cautela, e solo se non si vedevano alternative valide, preferendo mediare fino allo sfinimento).
Il tempo pieno e le classi aperte implicavano un lavoro collegiale, e non sempre i colleghi erano di suo gusto, ma riusciva a destreggiarsi assai bene, o almeno così mi pareva.
Apprezzò molto il passaggio dai voti ai giudizi, apprezzò molto i decreti delegati (con il corredo relativo di genitori rompiballe ma anche partecipi, che si sobbarcavano spesso gran copia di lavoro organizzativo), lavorò con atti, pensieri e parole per la fine del Maestro Unico in base alla teoria che il rapporto con l'Unico Maestro rischiava di diventare morboso e che, con più insegnanti, c'era la possibilità di avere più punti di riferimento e magari anche trovare l'insegnante con cui davvero si era in sintonia.
Non credeva ai ragazzi negati per la matematica né all'utilità delle tabelline a memoria. Faceva costruire una tavola pitagorica da tenere in fondo al quaderno e i bambini imparavano a consultarla; ad un certo punto, com'è ovvio, la sapevano a memoria e smettevano di consultarla. Questo fatto di non "risentire le tabelline" faceva di lei un mostro singolare, che i colleghi guardavano con malcelato sospetto - ma, pare, alle medie i suoi alunni erano ben quotati soprattutto tra gli insegnanti di matematica.
Si teneva sempre aggiornata e faceva gran copia di corsi di formazione, che all'epoca venivano pagati dall'insegnante (ma davano, mi sembra di ricordare, anche un po' di punteggio). Cambiò vari metodi nel corso della sua carriera, adattandoli e integrandoli col suo.
Non l'ho mai sentita pronunciare le parole "vocazione" e "missione" - tra l'altro lei non aveva alcuna specifica vocazione per l'insegnamento alle elementari - e non ricordo che abbia mai cercato di incutere nei suoi alunni un particolare rispetto. Lei, comunque, li ha sempre molto rispettati. Tutti.

Da lei ho ereditato* una serie di principi mai detti a parole: che la scuola dovrebbe essere in funzione dei ragazzi e non viceversa, e che dai ragazzi è bene imparare, perché conoscono il mondo in cui vivono meglio di noi (perché lo stanno costruendo); che è opportuno evitare di annoiare l'utenza, perché l'utenza annoiata non ricorda quel che hai detto e nemmeno quel che ha studiato; che lezioni e percorsi vanno adattati alla classe; che gli alunni vanno tenuti in gran conto e assai rispettati, sempre e comunque.
E anche: che l'insegnante sensato evita di trasformare i sassolini in montagne e che la disciplina non è un totem cui convenga sacrificare la lezione. Soprattutto, che insegnare è un lavoro a volte faticoso, certamente impegnativo, ma comunque vario e soprattutto molto, molto divertente.

*sì, è viva e anche piuttosto in salute. Ma le eredità si trasmettono anche da vivi,  per fortuna

venerdì 24 dicembre 2010

Buon Natale a tutti.... - 2010




...e possano le otto renne portarvi ciò che più vi sta a cuore

lunedì 20 dicembre 2010

Ad Hogsmeade c'era la neve (ma, per mia fortuna, il fumo non saliva lento)

La mia canzone preferita sulla neve è Snow, degli Red Hot Chili Pepper.
Qui una versione con il testo, che mi piace molto anche se non ci ho mai capito nulla

La neve, in inverno, non dovrebbe essere un fenomeno tanto insolito. Quando però vivi in una zona particolarmente pianeggiante della piana fiorentina, la neve finisci per vederla soprattutto in cartolina e in rete, quando accumuli sotto Natale mucchi di zuccherosissime immagini di case innevate, pendii innevati, boschi coperti di neve, turbini di fiocchi con bambini festanti...
Poi arriva la neve vera e ti ritrovi a pensare che la neve delle immagini zuccherose ha i suoi bei vantaggi, primo fra tutti quello di non bagnare.

Venerdì era annunciata neve su tutta la Toscana. A seconda delle zone, si sapeva anche quando arrivava.
A Hogsmeade, dalle dieci in poi, il comitato di accoglienza delle giovani generazioni guardava speranzoso dalle finestre.
Le aspirazioni dichiarate dai ragazzi erano modeste e del tutto ragionevoli: qualche corsa sugli slittini, qualche battaglia a palle di neve.
Alle undici è arrivato il sig. Nevischio.
"Tutto qui?" chiedevano i ragazzi delusi.
"Date tempo al tempo" esortavo io bonariamente. Tanto poi loro sarebbero rimasti a fare palle di neve mentre io mi sarei ritirata nella piana di Lungacque, dove qualche spruzzata candida avrebbe allietato un week-end consacrato soprattutto (ma non solo) alla Correzione dei Compiti.
All'una, quando sono scesa verso la piana, il nevischio stava attaccando con vigore.
Ammirando lo splendido paesaggio nevoso dal caldo del mio bello scompartimento ho pensato che nel pomeriggio avrei potuto fare un viaggetto supplementare in ferrovia, per gustarmi meglio quella gigantesca cartolina di Natale.
Tanto, si sa, con la neve i treni viaggiano.

Nella piana, a Lungacque, mi aspettava la tormenta.
Abbandono nel parcheggio della stazione il mio mezzo di trasporto, accantono ogni progetto pomeridiano di neve-tour perché fa un freddo allucinante e faticosamente zampetto verso casa. Poco più di un chilometro, niente di che; ma il freddo ha già ghiacciato tutto, la neve nevica all'impazzata, le auto viaggiano e sbandano a passo d'uomo e io per una volta tradisco la mia amata Coop e rinuncio anche alla megabusta di salmone in offerta speciale per soci per limitarmi a prendere un po' di pane in una bottega della concorrenza straniera. La Coop sono io, ma io ho fame e freddo e il pan mi manca mentre sono provvista di tutto il resto, e se non ho salmone pazienza, vorrà dire che mangeremo del caviale.
Mi tappo in casa in piena cartolina di Natale. La caldaia lavora a pieno ritmo ma la casa non è calda.
Le auto scompaiono, coperte da un fitto manto di neve.
Tanto durerà poco, domani piove e si alza la temperatura.
Dal computer arrivano notizie raggelanti - e i treni, ci dicono, sono completamente bloccati.
Come bloccati, mi dico, d'accordo che fa freddo, ma non certo da fermare i treni!
Comunque fuori nevica furiosamente. Nevica, nevica e nevica.
I miei più cari affetti rientrano a casa e lamentano scene e avventure allucinanti.
E fuori nevica, nevica e nevica.
Preparo una cena a menù invernale, mi dispiaccio di non avere ancora comprato nemmeno un dolce di Natale e correggo.
Fuori nevica, nevica e nevica.
Veramente avevo pensato di fare un salto a Firenze per un paio di acquisti...
Tutti mi assicurano che è molto meglio che Firenze mi limiti a pensarla stando al relativo calduccio a correggere.
Così correggo, mentre fuori nevica, nevica e nevica. Smette solo durante la notte.
Ma tanto domani piove e si alza la temperatura.

Passano due giorni e non rialza un accidente. Nella notte di domenica comincia a pioviscolare.
Provo a controllare se ad Hogsmeade le scuole saranno chiuse.
No, ad Hogsmeade le scuole sono aperte. Tanto in nottata piove e si rialza la temperatura.
Continua a pioviscolare.
Nessuno ha sparso il sale.
La strada si copre si una densa poltiglia... ghiacciata.
Le catene sferragliano gioiosamente.

Stamani, alle prime luci dell'alba, mi intabarro con i vestiti più caldi che ho (gli stessi che indosso da qualche giorno perché nella scuola di Hogsmeade il riscaldamento funziona se e quando gli pare, in questi giorni ha fatto troppo freddo perché gli paresse e nemmeno ventisette stufe umane nel pieno radiare della giovinezza bastano a scaldare la gelida aula - e infatti ho una tosse che non mi piace nemmeno un po').
Poi mi avventuro cautamente all'aperto, zampettando precariamente sulla poltiglia gelata, fino a raggiungere fortunosamente la fermata della corriera che passa quasi davanti a casa.
Viaggiare in corriera mi dà noia, ma quando c'è neve i treni per Hogsmeade riescono ad accumulare ritardi assurdi e comunque la stazione è quasi irraggiungibile a piedi: tutto è coperto da una bella poltiglia ghiacciata e nessuno ha sparso il sale.
Anche la corriera comunque ritarda. L'anno scorso, con le nevicate sotto Natale, fu puntuale; ma l'anno scorso avevano sparso il sale. Quest'anno l'autista avanza con cautela e non sarò io a insistere perché acceleri. Se non se la sente di andare veloce, mi dico, avrà ben i suoi motivi.
Arrivo a Hogsmeade con cinque minuti di ritardo sula campana di ingresso. Arranco faticosamente fino al cancello della scuola e poi scendo cautamente verso la scuola (due tratti di cinquanta e trenta metri, rispettivamente). Scuoto la poltiglia dagli stivali e cerco di riattivare la circolazione nelle mani.

Entro in ghiacciaia, voglio dire in classe, alle otto e quindici.
Manca il gruppo che viene da fuori dal paese: i pulmini stamani non passano.
Come mi sembra di aver già scritto, nessuno ha sparso il sale.
"Avete fatto le corse sugli slittini e le battaglie a palle di neve?" mi informo.
Mi assicurano che si sono dati il loro da fare.

giovedì 16 dicembre 2010

Un luogo favorito dalla natura dove le bellezze naturali non sono alterate dal cattivo gusto


Pemberley, la villa della famiglia Darcy
(che contiene tra l'altro anche una ricca biblioteca)

Google ricorda che oggi è il 235° anniversario della nascita di Jane Austen, eccellente scrittrice inglese nonché Grande Madre del romanzo rosa.
Su Jane Austen pesano una serie di pregiudizi di cui non sono mai riuscita a capire l'origine: tutti i critici letterari spiegano sempre che i suoi romanzi sono molto graziosi, mirabilmente costruiti, di trama molto simile tra loro; poi fanno il paragone con le porcellane dipinte e le figurine di biscuit e lasciano intendere che, in quei graziosi romanzi ben dipinti e leziosi, non succede mai niente e tutto è molto manierato, zuccherato e convenzionale. E infatti la fascetta "un'epigona di Jane Austen" viene da sempre applicata a romanzi senza molto intreccio, dove, oltre a prendere una quantità incredibile di té, i personaggi in questione (tutti, rigorosamente, insulsi e manierati) non fanno molto altro, salvo poi fidanzarsi alla fine del libro con scarso entusiasmo loro e del lettore.
In realtà i sei romanzi di Jane Austen non sono affatto equivalenti tra loro come livello, si somigliano ben poco come trama e all'interno succedono un sacco di cose, per tacere del fatto che le protagoniste non sono affatto imbalsamate né manierate.
Si tratta di romanzi di formazione con protagoniste giovani fanciulle di animo non ignobile né debole, anche se di carattere molto diverso tra loro. Non sono in rivolta con il loro ambiente, non lo disapprovano e non lo trovano intrinsecamente falso se non in certe punte estreme. La vita che fanno non gli dispiace (e, visto che di solito sono benestanti e abitano in bei posti, non si capisce perché dovrebbero). Non sono mai troppo sole: anche le più isolate e incomprese, come Fanny o Anne, hanno chi le capisce e qualcuno cui voler bene. Aspirano, tutte, a sposarsi felicemente - desiderio assai sensato, a mio avviso, né penserei altrettanto del suo opposto, ovvero l'aspirazione a sposarsi in modo disastroso e improvvido - e, tutte, hanno una lodevole mancanza di meschinità e un senso morale piuttosto articolato.
Di sesso si parla poco, in effetti, come si parla poco di cucina o di sartoria - ma questo, naturalmente, non implica che i personaggi della Austen non si nutrano, vadano in giro nudi anche d'inverno, magari spettinati, o che non siano interessati a quei piaceri che gli esseri umani sanno scambiarsi tra loro; diciamo che su certi argomenti viene calato un velo di riservatezza e che vengono accortamente incapsulati all'interno di altri. A ben guardare, mancano anche le descrizioni fisiche dei personaggi - di alcuni ci viene spiegato che sono belli, e questo è quanto. L'archetipo del romanzo rosa non contiene descrizioni dettagliate delle sue eroine (né dei suoi eroi), delle loro pettinature o dei loro vestiti. Si punta su altri elementi: la scoperta dell'altrui carattere, la formazione dei principi morali su cui regolarsi, la difficoltà a capirsi o ad esprimersi, l'arte di vedere al di là delle apparenze, il rispetto delle regole sociali e il riguardo per i sentimenti altrui - tutti temi che qualcuno trova imperdibili ed essenziali, e che altri ritengono invece insulsi e del tutto privi di interesse, ma che la Austen tratta sempre con grande indifferenza alle convenzioni letterarie (non è che le rifiuta: proprio le ignora).
Così oggi, esattamente come due secoli fa, i libri di Jane Austen per alcuni sono un pozzo senza fondo di scoperte e un dolce passatempo dove dilettare l'anima, mentre per altri sono una penitenza di una noia mortale.
Chi fa parte della prima razza, come me, non può che rallietarsi quando apre uno di quei sei (ahimé, soltanto sei) romanzi senza tempo, dove i protagonisti non sono realistici ma reali, di quelli che trovi per strada, rigorosamente fuori dal tempo anche se descritti in modo così legato alla loro epoca, e del tutto fuori dalle regole del Buon Personaggio Romantico o Verista: semplicemente, sono.

mercoledì 15 dicembre 2010

Impercettibili indicatori introspettivi




L'insegnante di religione dell'anno scorso mi stava simpatico più o meno quanto un attacco di orticaria. Ho sempre evitato però di far trapelare tale mio sentire, perché vedevo che, a parte me, godeva dell'universale consenso. Sì, anche i ragazzi lo apprezzavano, tanto che parecchi, dopo aver sentito i racconti dei compagni, avevano chiesto di avvalersi dell'Insegnamento della Religione Cattolica, cosa che gli era stata prontamente concessa (com'è giusto).
Quest'anno l'insegnante è cambiato e, già dopo la prima lezione, un piccolo ma costante flusso di coloro che si avvalevano dell'Insegnamento etc. etc. ha cominciato ad andare in Segreteria col modulo in mano per chiedere di NON avvalersi più dell'Insegnamento di cui sopra.

Per l'occasione la scuola si è così inventata una regola per cui si puà decidere in ogni momento dell'anno di aggregarsi alle lezioni di religione, ma non di staccarsene: quello va stabilito una volta per tutte all'inizio dell'anno. Il che, a mio avviso, non è giusto e nemmeno legale*.

All'ultimo tema della Terza ho dato una traccia dove si chiedeva ai ragazzi di esporre la propria opinione su un qualsivoglia argomento a loro scelta.
Il primo tema che ho pescato nel pacco si proponeva di spiegare scientificamente (con diversi salti logici, in verità) come dio non avesse creato il mondo.
Il secondo tema titolava, semplicemente "Dio esiste?" e, in sei colonne piuttosto tirate, spiegava con abbondanza di argomenti (assai ben esposti, devo dire) di come la religione tutta sia un gigantesco inganno, particolarmente quella cattolica, e di quanto i dubbi sull'esistenza di dio siano più che leciti.
In dieci anni di insegnamento ho visto trattare nei temi a piacere una gamma ben vasta di argomenti, ma a nessuno era ancora venuto in mente finora di scomodare il Grande Architetto in persona.

Da questi impercettibili indicatori introspettivi e da tutta un'altra serie di segnali captati qua e là, ho concluso che il nuovo insegnante non è particolarmente apprezzato dal pubblico.
Modestamente, a me non sfugge nulla.



*Ho provato ad avanzare obiezioni in sede di Collegio, ma non mi han filato nimmanco di striscio. Si sono limitati a spiegarmi che "altrimenti sarebbe troppo complicato".

sabato 11 dicembre 2010

The Mysterious Affair Of Specification in Hogsmeade

Nella Seconda Domandiera è giunto il tempo di parlare dell'attributo.
Che è una roba molto semplice, gli spiego: gli attributi sono aggettivi. Quindi il feroce professore, il mostruoso ragno, l'affascinante gatto...
Alza la mano una gentil fanciulla "Mi scusi professoressa, ma l'affascinante gatto non è un complemento di specificazione?".
Intorno a lei fioccano i cenni di assenso. Sì, dovrebbe essere di specificazione.
Tramecolo e strabilio. Se ancora ancora il mio gatto capisco che al limite possa anche essere scambiato per un complemento di specificazione, l'affascinante gatto non mi sembra proprio che...
Però, ricordando che nella Terza dei Tordi il complemento di specificazione è stato e a volte è tuttora un bagno di sangue, decido di prendere le mie brave precauzioni.
"Ragazzi, andiamo orsù al complemento di specificazione onde chiarirvi le idee".
Ed eccoci al complemento di specificazione.
Che, come è noto, viene introdotto dalla preposizione di semplice o articolata....
"Ma non era la preposizione da?" chiede Cuorcontenta.
No, garantisco con un sorriso materno, è proprio la preposizione di.
Alza la mano Polemico "Alle elementari ci hanno dato, a fine anno, uno specchietto con tutti i complementi introdotti dalle varie preposizioni, e il complemento di specificazione era introdotto da da"
"Sicuro?" chiedo con un bel sorriso.
Altri confermano. Ragazzi studiosi, usi a far tesoro di quanto gli viene detto a scuola (e che forse farebbero meglio a distrarsi un po' più spesso, par di capire).
Spiego. Rispiego. Leggiamo il libro. Ci ricamiamo un po' su. Assegno gli esercizi.
Nel frattempo, nel fondo del mio cuoricino, comincio a costruirmi una serie di teorie sul come mai nell'attuale terza il complemento di specificazione venga tuttora appiccicato ad espressioni come "da casa" "da Roberto" e simili.

Un'ora dopo vado in terza. E lì mi informo.
"Alle elementari vi hanno fatto uno specchietto dei complementi?"
Sì, ricordano molti, glielo hanno fatto.
"E, ditemi, il complemento di specificazione, da cosa era introdotto?"
"Dalla preposizione di" mi assicurano.
"Non, per caso, dalla preposizione da?"
Ma no, assolutamente.

Boh?

domenica 5 dicembre 2010

Cupi a notte canti suonan


Il mio personalissimo corso di "alla scoperta dell'italiano letterario", impropriamente etichettato come "Letteratura" prosegue implacabile: dopo la Vergine Cuccia e due sonetti di Foscolo* ho sbolognato alla Terza dei Tordi una delle mie poesie preferite sin dai tempi delle elementari: La tomba nel Busento in traduzione di Carducci. Mooolto romantica e pittoresca.
Ho anche studiato una simpatica tecnica di interrogazione a carotaggio: li faccio leggere (e già dalla lettura si capiscono tante cose), se mi sembra il caso mi faccio anche tradurre un pezzo della poesia, o faccio qualche domandina sul significato.
E oggi si parte con Lunastorta, che prontamente attacca:
Cupi a notte canti suonan
da Cosenza sul Busento
Cupo il fiume li rimormora
nel suo grugno sonnolento

"Bene, basta così" stabilisco segnando Non Preparato sul registro**.
Poi passo a Mercuzio, che continua:
Su e giù pe'l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alàrico i Goti piangon...

"AlaCHE?" chiedo inferocita "Che modo di leggere è questo?"
"Perché, come dovevo leggere?"
"Alarìco! Ma non lo senti che non torna nemmeno il verso?".
La classe insorge al grido di "Si dice Alàrico! A noi hanno insegnato così!".
Provo ad andare a fondo della questione, ma tutti giurano che la prof. di due anni prima diceva "Alàrico".
Ora, lungi da me voler negare l'importanza di Alàrico nella storia tardoantica, ma è mai possibile che nel pochissimo che ricordano del programma dell'anno scorso e nel nulla che gli è rimasto della storia fatta in prima si stagli luminoso soltanto il ricordo di Alàrico? E quante volte glielo avrà nominato, Alàrico? Non è mica Napoleone, che ci ha un capitolo a parte!
Comunque di una cosa sono più che sicura: io, quando gli ho spiegato la poesia, avevo letto Alarìco.
Mercuzio si difende spiegando che, quando ho letto e spiegato la poesia, lui era assente, e dunque gli è stato negato il privilegio di sentire dalle mie labbra la magica parola "Alarìco".
Adesso legge l'Orfanella:
Ahi sì presto e da la patria
così lungi avrà il riposo,
mentre ancor bionda per gli oméri
va la chio..."

"Gli oméri?"
Sì, gli oméri.
"Ma, scusa, l'anno scorso non avete fatto il corpo umano? Non hai mai sentito parlare di òmeri?"
"Sì, ma quello è un osso!"
"Ma, secondo te, la chioma..."
"La chioma non va certo giù per gli òmeri!"
"Ah no? E, di grazia, dove andrebbe la chioma in questione?"
"Giù per le spalle!" ribatte l'Orfanella indignata, prima di assicurarmi che lei la poesia l'ha letta e studiata con gran cura***.

Dopo un breve sunto di trico-anatomia comparata continuo col mio giro di lettura.
Il resto va meglio, per fortuna (o per fòrtuna?).

*di cui uno solo con parafrasi scritta; poi mi sono pentita e publicamente scusata con loro e soprattutto con Foscolo, che ha scritto sì belle poesie e non merita di essere vivisezionato in quel modo osceno solo perché l'insegnante ci ha le manie di rivalsa sugli scolari che copiano le parafrasi dalla rete.
**Come scrivevo prima, un'anima fine e sensibile come la mia capisce molto anche da come è letto un brano: segnali impercettibili, tenui sfumature, delicati accenni: nulla mi sfugge.
***Cosa di cui sono perfettamente convinta, peraltro.

sabato 4 dicembre 2010

Non mi era ancora capitato... (e adesso non lo dico più)

In dieci anni di insegnamento ho incontrato un buon numero di genitori stravaganti e teatrali, ma ancora non mi era capitato di avere a che fare con una Vera Madre, di quelle che popolano tanto spesso i blog di noi insegnanti. Adesso non lo dico più, perché il mio vasto carnet contiene anche quell'esperienza. Insomma, E' Capitato Anche A Me.

Marinaretta (che prende il suo nom de blog dalle forche che fa e non da un abbigliamento à la Sailermoon) è una ragazza ereditata dalla terza precedente, dove era stata fermata per manifesta incapacità di passare l'esame e dove faceva più o meno quel che fa nella classe dei Tordi, cioè nulla salvo socializzare (e, aggiungo da una serie di riscontri incrociati, raccontare balle a tutti e su tutti). Vista la situazione il Consiglio aveva convocato la famiglia.
La madre si è presentata in presidenza spiegando che gli orari che le erano stati indicati per lei non erano praticabili e La Preside ha rimediato in fretta pescandomi dalla Sala Professori, dove stavo felicemente cazzeggiando in un'ora buca.

Così io e la Madre ci confrontiamo davanti a lei.
Seguendo il mio consueto stile, evito di girare intorno alla questione e dichiaro apertamente che, stante che la ragazza non fa nulla, continuando così difficilmente verrò ammessa all'esame.
Normalmente, in questi casi, i genitori si attengono a una o due posizioni; ma una Vera Madre le assume tutte.
La prima: lei è una povera donna che lavora tutto il giorno e non è in grado di seguire la figlia, ma la figlia le assicura che studia.
Murasaki controbatte che no, non risulta proprio.
La seconda: che la povera bambina è stata respinta l'anno prima perché i professori ce l'avevano con lei, ma tutti i professori che l'hanno avuta quest'anno hanno detto che non era da fermare. Anzi, quando l'hanno incontrata gliel'hanno detto anche i professori dell'anno scorso (il fatto che qua e là in questa Seconda Posizione appaia qualche falla logica non frena la Vera Madre).
Murasaki ha fatto parte anche del consiglio della classe precedente, e garantisce che nessuno dei professori ha mai nutrito antipatia verso la ragazza*, ma tutti, l'anno scorso come questo, han dovuto prendere atto che la ragazza non faceva nulla per farsi promuovere, anzi non faceva nulla punto e basta.

Pausa: interviene la Preside con un pacato discorsetto sull'importanza di conseguire la licenza media.

La Vera Madre assume allora la Terza Posizione: ecchessaràmai questa licenza media? Non si dovrà mica essere addottoratissimi in tutte le materie per ottenerla, no? E' solo una licenza media. Perché non la diamo, punto e basta. invece di fare tante storie?
Qui ribatte la Preside con una tirata sul dovere della scuola di non regalare licenze medie.
Murasaki tace, risparmiando le forze.
La Quarta Posizione riprende la Seconda con qualche variante. In particolare, la professoressa Caramella l'anno scorso aveva garantito che la ragazza andava bene.
La Preside controbatte ripescando la scheda di fine anno di Marinaretta (che più che una scheda è un cimitero) e financo i registri di Lettere della prof. Caramella, dove non c'è traccia della valanga di sette che, a sentir la madre, la creatura prendeva sempre.

Altra pausa. La Madre ritorna sulla Prima Posizione: la ragazza studia indefessamente.
Murasaki ribatte che la ragazza non lavora né a casa né a scuola, dove del resto le sarebbe assai difficile seguire considerando che passa il suo tempo a chiacchierare.

E qui la Madre sfodera la Quinta Posizione, detta dell'Attacco Frontale: perché mai permettiamo alla ragazza di chiacchierare a scuola?
Provo a rispondere ma vengo sopraffatta da un accorato racconto di come, quando la Madre era giovane, la scuola era bella e buona e sapeva farsi rispettare, e nessuno di loro (studenti) osava parlare in classe, mentre oggi i ragazzi ballano sui banchi...
Qui Murasaki è senza parole, ma le viene risparmiato l'incomodo di rispondere perché la Preside dà in escandescenze una volta per tutte, urlando che lì a scuola nessuno balla su nessun banco**. La Madre urla, la Preside urla, Murasaki si appiattisce alla parete in cerca di una via di scampo.
La Madre infine assume la Sesta Posizione: proclama che deve andare al lavoro e sparisce a gran velocità.
Bofonchio qualcosa alla Preside e striscio via, con minor velocità ma con notevole sollievo.

Rimane in sospeso un Grande Interrogativo: la Madre si è lasciata prendere la mano dall'istrionismo o è davvero convinta che questo tipo di performance siano di un qualche aiuto alla figlia?
Si accettano ipotesi.

*che, a questo punto, comincia a non essere nemmeno più del tutto vero; anche se la creatura non è responsabile della madre che si ritrova, certo.
**Cosa del resto verissima. Ci tengo inoltre a precisare che la Terza da cui proviene Marinaretta si è sempre distinta per una tranquillità che spesso sconfinava nell'apatia e l'unico modo per farli ballare sui banchi sarebbe stato minacciarli a mitra spianati.

lunedì 29 novembre 2010

La fiaccola dell'anarchia

La sera del 20 Novembre Francesco Guccini, dopo molti anni di assenza, tornava a Pistoia al Palasport. Per andare a sentirlo avrei dovuto sobbarcarmi un po' di incomodo, ma la compagnia degli amici mi avrebbe ampiamente risarcito di ciò.
Ero stata a vederlo a Firenze un anno e mezzo fa - un concerto rispettabile, allegro, quasi una rimpatriata di noi sinistri in crisi esistenziale. Lì l'atmosfera era stata festosa e familiare, e il concerto mi aveva lasciato una bella coda di entusiasmo.
A Firenze il PalaMandela era bello pieno, a Pistoia invece era stra-pieno già un'ora prima dell'inizio, ben oltre i limiti delle più lascive misure di sicurezza: qualsiasi uovo appena deposto al confronto era vuoto come un taxi con dentro l'on. Rotondi. Piene tutte le gradinate, anche le più improbabili, pieno il campetto da gioco, piene le ringhiere. Insomma, pieno. Tanto pieno che han preferito iniziare in perfetto orario, cosa da me mai vista se non a taluni concerti di gala al Comunale.
Guccini era in ottima forma vocale (molto più che a Firenze, dove pure non se l'era cavata male), gli strumentisti hanno suonato a meraviglia, la scaletta non poteva che essere eccellente... il pubblico, oltre che tanto e transgenerazionale, era inquietante. D'accordo, applaudica, cantava, rideva, faceva insomma la sua parte da pubblico di appassionati; ma era arrabbiato ai limiti dell'incandescenza. Gli applausi, le urla e soprattutto gli slogan quando Guccini infilava qualche frase sulla politica erano degni delle migliori cantine alternative degli anni 70. I più arrabbiati erano i ragazzi - una bella fetta, tra l'altro, ben al di là del prevedibile per un musicista che per radio non passa quasi più; ma anche le sezioni più stagionate non scherzavano. E giunti al gran finale con la tradizionale Locomotiva - dove il buon Francesco faticava alquanto per far sentire anche la sua voce tra tutte le altre, l'atmosfera era così carica che per la prima volta a un concerto ho avuto paura.
Io e i miei compagni siamo sgusciati fuori col primo flusso, mentre il pubblico in basso cantava a squarciagola "Bella Ciao" in totale improvvisazione.

A quanto sembra, c'è una parte di Italia che ha esaurito ogni riserva di pazienza, umorismo e distacco ed è soltanto esasperato oltre ogni limite.
Qualcuno farebbe bene a starci attento: piazzale Loreto è dietro l'angolo.

domenica 28 novembre 2010

I veri Tordi non muoiono mai

Stavo facendo serenamente lezione, con la Classe dei Tordi reduce dal primo compito di scienze, quando hanno bussato alla porta. Era l'insegnante di matematica (e scienze) in versione Tigre Ircana, con in mano un libro di testo. Di scienze.
Esordisce spiegando che in quella classe sono deficienti.
"Tordi, direi" provo a smorzare.
"No, se li chiami tordi possono offendersi. Deficiente è chi manca di qualcosa" puntualizza la collega.
A questo punto mi metto un tappo in bocca e lascio che la natura faccia il suo corso.
Il libro di testo, spiega la collega, è stato trovato in bagno da un custode pochi minuti prima. Sì, al bagno di quel piano. A quel punto lei dovrà considerare se annullare il compito o abbassare semplicemente i voti, ma né l'una né l'altra soluzione le sembrano soddisfacenti perché ci sono anche ragazzi che non sono usciti durante il compito*, solo che lei non ha pensato a farsi la lista. Poi esce, avvolta in una nuvola di comprensibile collera, dopo aver restituito il libro al suo legittimo proprietario. Lunastorta, guarda un po'.

Mi rifiuto di commentare perché mi mancano le parole, e la lezione prosegue il suo corso. Solo più avanti mi viene in mente l'aspetto più demenziale della vicenda.
Quando sono entrata il compito era appena finito, e alcuni ragazzi mi hanno chiesto di andare in bagno. Come sempre li ho mandati, anche a gruppi di due o tre, e non sono certo stata a controllare se avevano qualcosa in mano quando sono rientrati. Avrebbero potuto trascinarsi in classe la Treccani con tanto di supplementi, senza che ci facessi il minimo caso.
Ma a nessuno, a nessuno dico, è venuto in mente di andare a riprendersi il corpo del reato.

Ha ragione la collega, non sono tordi, sono deficienti.
Qualsiasi tordo avrebbe ben ragione di offendersi, se si vedesse paragonato a loro.

*Sì, lei è di quelli che mandano gli alunni in bagno durante le verifiche scritte. Anch'io.
Non smetteremo per questo. Ma temo che, sfidando apertamente il ridicolo, dovremo chiedere a qualche custode di buon cuore di ispezionare i bagni in occasione delle suddette verifiche.
Eccheppalle!

mercoledì 17 novembre 2010

17 Novembre 2010 - Festa del Gatto Nero

Sia chiaro: festeggiare i bellissimi, nagici, misteriosi e affettuosi gatti neri che allietano le nostre case non vuol dire intendere sia pure alla lontana che gli altri gatti valgano meno o dispongano di minori qualità positive - che sarebbe un assurdo, perché ogni gatto è perfetto così com'è, per definizione.
I gatti neri però hanno un quid in più che ne rende più apprezzabili le sagome su fondo arancione per i disegni dedicati ad Halloween... e che li rende oggetto di strane superstizioni e rituali.
Sì, lo so, nessuna persona sensata potrebbe mai pensare che un gatto nero porti meno fortuna di un gatto grigio e rosa; eppure la balzana superstizione sui gatti neri maligni e apportatori di malasorte esiste ancora, annidata nelle pieghe della provincia.
Perché insomma ci sono diversi gradi di provincialità, e ad Hogsmeade, che è provincia molto più degli altri paesi da me visitati nel mio scolastico peregrinare per supplenze, per la prima volta ho avuto più scolari che mi hanno - seriamente - segnalato che il gatto nero portava sfortuna e che davanti alla mia reazione compassionevole hanno insistito.

D'accordo, noi italiani siamo gente strana, ci ostiniamo a votare strani partiti e a tenerci stretti strani governi. Ma lì ad Hogsmeade, per quel che sento dire, lo strano governo attuale non l'ha votato praticamente nessuno. Si sa, qui siamo in Toscana. Siamo evoluti e illuminati, e a suo tempo siamo stati i primi in Europa a sperimentare le riforme illuministe.
Ma, forse, i Lorena dimenticarono qualche paesino un po' fuori mano.

Comunque auguri a Ninphadora, a Sybille e a tutti i bellissimi gatti neri che ci allietano benignamente con la loro presenza, portandoci sempre molta, molta fortuna.
Anche se poi, si dice, nelle notti di Halloween siamo noi a non portare gran fortuna a loro.

domenica 14 novembre 2010

I folletti sono tra noi (ordinarie cronache di informatica)


Sirius Black in versione silvana

Non ho nessuna particolare paura o reverenza della LIM che sta in classe mia: semplicemente, sono stata costretta a prendere atto che quella specifica LIM mi odia, le altre con cui ho avuto a che fare no.
A St. Mary Mead avevamo due LIM, e una era nella stanzuccia pomposamente chiamata "aula multimediale". Era di un tipo molto amichevole: un giorno i ragazzi del laboratorio di storia mi insegnarono a usarla e nel giro di pochi minuti ne avevo imparato quanto bastava - soprattutto a storia, immagini e cartine sono utilissime.
La LIM di Hogsmeade è molto più complicata (soprattutto più economica, mi vien da dire) e richiede una manutenzione regolare di cui non sono certo capace. Nelle intenzioni se ne dovrebbe occupare l'insegnante di matematica, ma entrambe le insegnanti di matematica che si sono avvicendate in questi due anni nella Classe dei Tordi si sono rivelate ahimé piuttosto inadeguate a tale compito. L'insegnante del piano terra, invece, se la cava benissimo e la sua LIM funziona d'incanto. Con la sua LIM, aggiungo, non ho mai avuto problemi ogni volta che mi è venuto in mente di usarla.

La LIM della Classe dei Tordi, dicevo, mi odia. Ha rifiutato di accendersi, ha rifiutato di spegnersi, ha rifiutato qualunque cosa da parte mia. In una classe normale sarebbe stato un problema relativo perché avrei passato la palla a uno qualunque dei ragazzi come faccio quasi sempre*, ma a quella cara classettina fare i giochi con la LIM piaceva moltissimo, anche perché creava una notevole azione di disturbo. Badare alla classe e controllare che non giocassero con la LIM mi sembrò troppo superiore alle mie forze, e lasciai perdere.

Quest'anno, vuoi perché la classe lavora con spirito diverso**, vuoi perché la LIM è ormai vista come una sorta di castigamatti in versione elettronica, nessuno prova più a fare scherzi.
Esatto, tranne la LIM.
Ieri, in un impeto di spirito autonomistico (insomma, mi sono guadagnata il pane per anni come data entry, perché non dovevo riuscire a maneggiare una modesta e innocua LIM?) ho deciso di accenderla.
E l'ho accesa, ma il problema è arrivato al momento di inserire la chiavetta. Non solo non ci sono riuscita***, ma devo aver forzato qualcosa perché dopo non solo non sono riusciti ad inserirla nemmeno i ragazzi, ma anzi la chiavetta non veniva più letta dalla perfida LIM.
Nessuno ne veniva a capo. Infine Sirius ha detto che voleva fare un ultimo tentativo. L'ho autorizzato, avendo una cieca e totale fiducia nelle sue capacità informatiche.
Ha ha eseguito qualche rituale esoterico, ha spento e ha riavviato. La chiavetta è stata letta senza problemi. L'ho ringraziato e ho infine iniziato la lezione.

All'uscita mi lamentavo con i colleghi "Tutto questo succede perché la scuola non ci ha provvisto di un buon folletto da computer in classe!".
"Ma non ti servono i folletti" ha osservato una collega "Hai Sirius, che funziona meglio di qualunque folletto".
Gli ho dato ragione e ho nominato in cuor mio Sirius Folletto Ufficiale della LIM.

*ho imparato durante le supplenze brevi che i ragazzi sanno sempre maneggiare le attrezzature della loro scuola: gli insegnanti occasionali, ovviamente, ne sanno molto meno e rischiano di fare pasticci. Insomma, lasciare il tutto in mano alle creature è la cosa più sicura.
**o meglio, semplicemente, lavora
***cioè, dico, non sono riuscita a infilare una chiavetta. Qualsiasi idiota riesce a inserire una chiavetta in un computer, dico bene?