Il mio blog preferito

sabato 23 ottobre 2010

De arte removendae grammaticae


Da qualche tempo tutti si stracciano le vesti sulla deplorevole ignoranza ortogrammaticalsintattica delle giovani generazioni, dandone la colpa principalmente al deplorevole lassismo della scuola dell'obbligo, colpevole di disperdersi troppo in insulsi progettini sulla multicultura, il bullismo e la manualità.
Ora, fermo restando che, da insegnante figlia di insegnante*, proprio non riesco a capire in che modo un progettino sulla legalità o la tessitura ai tempi dei nostri bisnonni possa ostacolare un adeguato insegnamento delle strutture e delle particolarità della nostra bella lingua, e che se tutti questi sputasentenze dedicassero le loro energie a sporgere adeguate proteste contro la tendenza televisiva a mandare in onda solo persone incapaci di usare non solo il congiuntivo ma pure il condizionale (con in testa presidenti del consiglio e ministri dell'istruzione non più pubblica); scrivevo, fermo restando tutto ciò, di fondo sono d'accordissimo che il principale motivo per cui lo Stato mi versa ogni mese uno stipendio** in qualità di insegnante di Lettere è che io insegni alle nuove generazioni a ben parlare e scrivere l'italiano, e a ciò mi dedico industriosamente col massimo dell'impegno e attingendo a tutte le mie capacità***, ma con ben pochi aiuti esterni.
In effetti tutti sembrano d'accordo sull'importanza di fare la grammatica, ma quando si tratta di dirti come, tutti si defilano a gran velocità adducendo come scusa cumuli di impegni del tutto inderogabili, almeno qua in Toscana.
Da anni guardo speranzosa la lista dei corsi di aggiornamento. Si sono offerti di farmi corsi sulla multicultura, il rispetto reciproco, il disagio, il bullismo e financo sull'importanza di Pope nella letteratura inglese, ma mai un cane che organizzasse un bel corso in dieci lezioni su come far imparare alle creature un corretto uso dei pronomi personali e relativi.
Ho fatto due anni di SSIS, detta anche Scuola di Specializzazione, abilitazione per le medie.
D'accordo che lì le medie non esistevano, e al più veniva loro riconosciuta l'esistenza in qualità di superiores dimidiates, ovvero non-ancora-superiori, e a nessuno di tutta la banda dei pedagogisti didatticisti ed esistenzialisti sembrava essere mai venuto in mente che insegnare alle medie facendo finta che fossero superiori in piccolo non era poi necessariamente 'sta grande idea; resta il fatto che tutti si affannavano a spiegarmi come si insegnava Dante****, che alle medie è veramente l'ultimo dei problemi di un insegnante di Lettere, ma nessuno pareva interessato alle eventuali difficoltà nell'insegnamento della grammatica.
"Beh, queste sono cose che si fanno alle medie" mi spiegò una delle insegnanti quando chiesi se era prevista qualche lezione sull'insegnamento della grammatica.
Per l'appunto, ribattei, infatti io lavoravo alle medie.
Farfugliarono qualcosa sul fatto che alle superiori si dava per scontato...
Finii col lasciar perdere.
Come si insegna la grammatica?
Nessuno sembra preoccuparsene molto, a quel che ho visto. C'è il libro, basta seguire quello.
Si legge il libro di grammatica, si fanno fare gli esercizi e si risentono le regole. Poi ci si lamenta perché in terza i ragazzi scrivono ancora in modo sgrammaticato.
Con gli anni ho elaborato un sistema piuttosto complesso a base di esercizi pescati tra varie grammatiche, esercizi inventati da me ed esercizi apparentemente di scrittura creativa ma in realtà basati sulla grammatica. Combinato con la buona vecchia tecnica Black and Decker***** finisce per produrre dei risultati accettabili.
Le regole di solito non le risento: non mi interessa che sappiano le regole, voglio che le applichino nel modo giusto in modo istintivo, mentre scrivono un biglietto al compagno di classe durante la lezione o un appunto sul diario, come ho sempre fatto io (che vivevo però circondata da persone che parlavano un italiano impeccabile).
Il problema non sembra però molto sentito. In Sala Professori sento spesso gli insegnanti di Matematica lamentare carenze molto concrete - non sanno fare i conti, non sanno le tabelline, si scordano di cambiare segno dentro le parentesi, non sanno fare l'area di questo e di quello - mentre i colleghi di lettere deprecano magari la superficialità dei temi o il fatto che alcuni non fanno i compiti. La Crociata dei Pronomi e la Saga dei Verbi nelle Subordinate sembrano una mia esclusiva preoccupazione.
Eppure, qualsiasi sia il criterio con cui vengono formate le classi, dubito molto che, alla notizia del mio arrivo in una scuola, ci si preoccupi di infilare nella sezione che mi assegneranno tutti gli alunni con gravi carenze nell'uso dei pronomi e la tendenza a mescolare allegramente in un pastone unico indicativo, congiuntivo e condizionale. Non è possibile che sia solo un problema mio.
(...o almeno spero...)
* che amava molto i progettini sulla manualità, la legalità e via dicendo, ne ammaniva in quantità industriale ai suoi alunni ma non per questo gli alunni in questione uscivano analfabeti o sgrammaticati dalle sue mani
** se e quando se ne ricorda. Vero, signora Tesoreria dello Stato?
*** Il che non è detto che sia poi 'sto granché
**** che tra l'altro sarei perfettamente in grado di insegnare, e pure meglio di molti di loro
***** che consiste nel trapanargli il cervello fino allo sfinimento (loro e mio)

sabato 16 ottobre 2010

L'Arte della Raccolta Differenziata


Quest'anno il consorzio che sovrintende la raccolta differenziata qui a Hogsmeade ci ha elargito gran copia di scatole (fabbricate con plastica riciclata) per raccogliere carta e plastica - ottima idea perché quaggiù abbiamo classi numerose, due intervalli con relative colazioni e soltanto un piccolo, miserabile cestino per i rifiuti che in ogni classe comincia già a traboccare a metà mattinata; e capisco i tagli ai finanziamenti, la priorità delle spese e tutto il resto, ma infilare in qualche bilancio l'acquisto di una decina di cestini supplementari non era forse del tutto impossibile anche senza scardinare i principi di un'oculata gestione finanziaria delle pubbliche risorse elargite alla scuola.
Passato qualche giorno - a Hogsmeade deve sempre passare qualche giorno, anche per portare una pila da telecomando dal primo al secondo piano; mai capito perché, visto che i bidelli sono piuttosto disponibili - nella mia terza hanno fatto il loro ingresso due scatoloni azzurri per la plastica e uno giallo per la carta, che solo con una certa difficoltà hanno trovato materialmente posto per terra; diciamo che i due ragazzi a destra della cattedra non sempre possono allungare le gambe, ecco.
Una volta installati i sacri oggetti mi dilungo sul vantaggio di non avere più uno stalletto da maiali intorno al cestino alla fine di ogni ricreazione, poi chiedo loro cosa si può gettare in ognuno dei due. Proclamo e ribadisco quella che è una delle mie convinzioni granitiche, cioè che per fare bene una raccolta riciclata ci vuole esattamente lo stesso tempo che a farla male. Vengono esaminati i singoli casi delle singole merende e bevande. Assicuro che non verranno tollerate infrazioni e che controllerò ogni giorno.
Vedo una certa ironia nei loro sguardi.
Me ne frego.

Due giorni dopo trovo un Estathé nello scatolone della carta.
Lo espongo alla classe chiedendo minacciosa chi è il colpevole dell'infame gesto.
Risulta che è un Estathé alla pesca, e tutti assicurano che, loro, l'Estathé, lo bevono soltanto al limone.
Domando sarcastica se, forse, quel singolo Estathé alla pesca è entrato in classe per proprio moto autonomo, bevendosi da solo per poi buttarsi sempre da solo nello scatolone della carta.
Non ottengo risposta.
Detto una nota collettiva alla classe perplessa: si ricorda che la raccolta differenziata deve essere eseguita in modo congruo etc. etc.
Il giorno dopo la classe mi mostra porta la nota firmata. Peccato non avere delle telecamere nelle singole case per vedere la faccia dei genitori mentre firmavano sì insolita reprimenda.
Passano i giorni, e la settimana dopo trovo una pallina di carta stagnola, sempre nella carta.
Anche stavolta la pallina di carta stagnola risulta essersi gettata da sola per moto autonomo nello scatolone della carta, dopo essersi appallottolata da sola in seguito allo spontaneo svolgimento dal panino che avvolgeva.
Detto una nuova e più vibrante nota insistendo sul fatto che la raccolta riciclata è gestita col pubblico denaro e dunque renderla inutilizzabile è uno spreco di pubbliche risorse, di nuovo rimpiangendo di non avere telecamere nelle singole famiglie, dove immagino si rotolino in terra dalle gran risate prima di firmare.
Qualche giorno dopo trovo della carta nella scatola riservata a plastica e metallo.
Di nuovo chiedo minacciosa chi è il colpevole.
Dal primo banco qualcuno - probabilmente del tutto estraneo alla vicenda - si alza e riposiziona la carta nel luogo apposito. E meno male perché, per quanto non tema il ridicolo, l'idea di dettare una terza nota sul''argomento comincia a sembrare financo a me eccessivo dispendio di tempo ed energie.
Ma da allora la raccolta prosegue senza intoppi.

Da notare che in Seconda, dove ho fatto la stessa identica trafila, non sono state necessarie note ma per lungo tempo le creature mi ha chiesto chiarimenti anche sui fogli di carta più cartosi e sugli involucri più apertamente plasticati.

Ieri sono arrivati due dipendenti del consorzio locale che, in due ore di conversazione, dibattito e chiacchiere, supportati da un micidiale filmato che si soffermava sul concetto di "rifiuto" e manca poco pure sull'origine del mondo, trattava la questione per il lungo e per il largo. Mi ci sono quasi addormentata, anche perché l'ho seguito sia con le seconde che con le terze.
Si spera che a questo punto il concetto sia stato recepito.

venerdì 15 ottobre 2010

La Classe dei Tordi non muore, né tantomeno pensa seppur vagamente di arrendersi


Nel corso dell'estate la Terza dei Tordi ha subito una profonda metamorfosi, tanto che adesso ci si fa lezione piuttosto agevolmente. Addirittura talvolta danno perfino l'impressione di ascoltare.
Qualche volta studiano, qualcuno con una certa regolarità. Corre voce che stiano cercando di costruire qualche frase di inglese con la nuova insegnante, e qualcuno li ha perfino visti sfogliare il libro di francese. E sono così terrorizzati dall'esame che non lo nominano mai né sopportano che qualcuno lo nomini.
Per quanto appaiano cambiati, comunque, sotto la nuova scorza in ognuno di loro continua a vivere e cinguettare un tordo giovane e vivace, convinto che sia suo preciso dovere trovare scorciatoie ma troppo sprovveduto per trovarne di efficaci.

Sto cercando di dare loro un minimo di dimestichezza con l'italiano aulico, giusto per farli un po' uscire da un linguaggio decisamente standard. Così, per la prima volta in dieci anni di onorata carriera ho deciso di provare con la Vergine Cuccia di Parini. E' un brano brillante, ricco di piani di lettura e descrive bene un certo tipo di società settecentesca prerivoluzionaria. Visto che siamo arrivati in terza con la rivoluzione francese ancora da fare, ci stava a pennello.
La lettura è abbastanza gradita. Spiego le costruzioni, le varie parole sconosciute, il modo settecentesco di raccontare le cose e via dicendo. Si discute, si chiacchiera, si percorre il brano in lungo e in largo. Poi, per la prima volta in dieci anni eccetera eccetera chiedo la parafrasi. Scritta.

Sono contraria alla parafrasi scritta. Se si capisce cosa vuol dire un testo per me basta e avanza. Considero una gran perdita di tempo quella dedicata alla parafrasi scritta. So però per certo che, in quella classe, se chiedo la parafrasi scritta me la faranno quasi tutti, se la chiedo a voce me la faranno solo quei pochi eletti che fanno i compiti anche tra le macerie di un terremoto o precariamente accomodati su una zattera che galleggia sulle acque di un'alluvione (ce n'è un gruppetto in ogni classe, per fortuna). Così chiedo la parafrasi scritta, anche se l'idea di correggerla mi rivolta alquanto le budella.

Arriva il Gran Giorno. Consegnano la loro parafrasi, poi passiamo alle interrogazioni.
Faccio leggere a spizzico, faccio domande, a qualcuno mi attento anche a chiedere la traduzione di una parte del brano. I risultati sono piuttosto buoni. Mi rallegro con me stessa per il successo di quel primo esperimento.
Correggo le parafrasi. Chi l'ha fatta bene, chi maluccio, chi così-e-così... e chi l'ha fatta in uno stile che non è il suo, proprio no.
Si sa che Internet ha i suoi pro e i suoi contro, anche sul piano scolastico. E' facilissimo trovare una parafrasi della Vergine Cuccia, con Google; ma è altrettanto facile rintracciarla, sempre con Google, attraverso una stringa di testo, come spiego il giorno dopo.
Naturalmente sono cose che succedono: la scuola pullula di parafrasi copiate, sin dalla notte dei tempi. Avrei risolto la questione con un garbato richiamo in privato se i copiatori fossero stati nel gruppetto che naviga perigliosamente intorno alla sufficienza e che potevano sempre dichiarare che un confronto con l'italiano del Settecento gli era parso superiore alle loro deboli forze.
Invece no, loro hanno portato, tutti, parafrasi del tutto genuine e autonome, dove ogni errore testimoniava il lavoro che si erano sobbarcati.
La parafrasi l'avevano scaricata tre dei bravi: Sirius Black, De Rossi (che con ciò ha rivelato un aspetto del suo carattere che mai si era appalesato ai nostri professorali occhi) e Salice Piangente (specializzato soprattutto nel farsi scoprire; dopo di che piange, immagino per il dispiacere di essere così imbranato).
Così decido di esaminare pubblicamente il caso. Evito la prima domanda, quella che molti colleghi amano "Ragazzi, ma mi prendete per scemo/a?" perché è chiaro che la risposta è "Sì". D'altra parte sono stata educata secondo vecchi principi e ritengo che se qualcuno ti ritiene scemo vuol dire che gli hai dato qualche appiglio per pensarlo. Tra l'altro, l'ho pensato anch'io tante volte che i miei insegnanti erano scemi, e tuttora non credo di averlo pensato a torto.
Passo quindi alla seconda domanda. "Ragazzi, non era un lavoro difficile e nelle note del libro c'era quasi tutto. Scrivere la parafrasi vi avrebbe preso più o meno il tempo che avete impiegato a copiarla. Studiarla l'avete comunque studiata perché l'avete detta bene. Qual è stato il vantaggio?".
Non ho avuto una risposta comprensibile. In compenso li ho visti fare uno scaricabarile tra loro di quelli che colpisce veramente il cuore, anche se almeno mi hanno risparmiato l'autofustigazione e le scuse.

Qualche giorno dopo assegno per casa una batteria di frasi con dentro una barcata di complementi - più complementi che frasi, così lavorano un po' alla costruzione di qualcosina di più complesso del classico "Il gatto è sulla tavola" - una piccola messa a punto in previsione del Compito Finale di Analisi Logica.
Sono anni che assegno batterie di frasi per casa - con i complementi, con determinati tempi di verbi, con determinate parole che devono abituarsi a scrivere giuste. Di solito funziona benissimo, e molti ragazzi si abituano a prendere un argomento e trattare soprattutto quello nelle frasi: può essere la Fiorentina, il Mondo di Patty, oppure fantasmi, yeti, vampiri, macchine che si muovono da sole; alcuni tormentoni, devo dire, sono davvero originali - mi ricordo ad esempio la saga dei Carciofi di Flavio, dal prezzo altissimo ma ricchi delle più incredibili virtù.
Stavolta, mentre leggo e correggo, avverto qualcosa di strano.
Mi ricordo improvvisamente che un paio avevano detto, consegnando, che "non avevano capito che le frasi erano 40 e ne avevano fatta quindi una per ogni complemento" (totale una sessantina).
Un rapido controllo mi permette di accertare che:
- Mercuzio e Marinaretta avevano preso pari pari le frasi dal libro di grammatica, andando al gruppo degli esercizi di ogni complemento;
- Contaballe e Copista si sono invece limitati a copiarne un gruppo, dopo averne fatte una buona metà per conto proprio.
Come ho spiegato in classe, nel caso di Marinaretta posso essere comprensiva perché dall'inizio dell'anno, quando ci è piovuta addosso dalla terza precedente, è assolutamente la prima volta che mi porta una qualche forma di compito a casa, e dunque forse era esagerato da parte mia pretendere che oltre a portarmelo lo facesse anche. Ma Mercuzio, in teoria, dovrebbe essere in grado di metterci più o meno lo stesso tempo per farle e per copiarle. Anche lui è tra quelli bravi. Forse. O forse era tra quelli bravi, la cosa magari andrebbe ponderata.

D'accordo: quando ho scelto di tornare in questa scuola e di conseguenza in quella classe, sapevo che quella classe era così.

giovedì 14 ottobre 2010

Questa classe non è un albergo


La Seconda Domandiera ha diciotto alunni - o meglio li avrebbe, perché uno è l'Assenteista e sulla sua presenza non possiamo mai fare gran conto; per giunta sono un po' più piccoli della media dei ragazzi alla loro età. Così quando il primo giorno sono entrata in classe ho pensato "Nella terza, in ventisette, stiamo come acciughe, ma almeno qui stanno comodi".
Macché. Nemmeno due giorni dopo le insegnanti di scienze si sono ricordate che, proprio nell'aula di quella seconda, un tempo c'era il laboratorio di scienze. Perché non rimettercelo?
Detto fatto, due mattine dopo trovo che la seconda è stata trasferita altrove... nella stanza più scomoda e malmessa di tutto l'edificio. L'anno scorso venne usata come aula in un momento d'emergenza, ed ebbi agio e occasione di esaminarne e contarne ogni singolo inconveniente, a cominciare dalla posizione che ne fa un forno d'estate e una ghiacciaia d'inverno, fino alle dimensioni, che la rendono una stanza stretta anche per diciotto alunni di piccolo taglio.
Non è nata per essere un'aula da lezione: le aule sono esposte sull'altro lato, hanno le tende e non le veneziane (particolarmente scomode in un'aula, specie quando si inceppano, il che avviene circa sette volte al giorno), un soffitto in cemento, finestre con un'apertura razionale e corredate da ampi e comodissimi davanzali - e sono più grandi.
Questa ha le veneziane, davanzali minuscoli e pannelli (mal fissati) al posto del soffitto.
Dall'anno scorso la situazione è peggiorata, anche per il logoramento cui la classe precedente l'ha sottoposta (classe davvero civile e garbata, ma infine composta da ventidue esseri umani): un pannello del soffitto è caduto, proprio l'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, e un altro paio danno l'impressione di voler cadere da un momento all'altro; c'era una finestra che si chiudeva male (ciò non succede più perché adesso la finestra non chiude affatto: un bel giorno la maniglia è rimasta in mano a chi cercava di aprirla, così adesso ci limitiamo ad accostarla); poi una delle veneziane è pericolante (lo era già l'anno scorso) e siccome l'aula è piccola alcuni banchi sono appiccicati alle finestre, dunque ci sono buone possibilità che tale veneziana finisca per cascare in testa a qualcuno; sempre in tema di finestre, i primi giorni c'era anche il problema di Scricciolo Rompino che cercava in tutti i modi di strozzarsi con i cordoni intrecciati delle veneziane. Adesso per fortuna ha smesso; non oso credere che sia stato per merito mio, che più volte gli ho solennemente promesso che avrei provveduto di persona ad impiccarlo, con quei cordoni, se non ci riusciva da solo - ad ogni modo ha smesso.
Tutti questi inconvenienti causano continua irritazione e fastidio ai ragazzi, che là dentro passano una trentina di ore a settimana; ma niente di tutto questo è paragonabile ai problemi che dà la porta.
Sia chiaro: le maniglie non sono mai state il punto di forza della scuola di Hogsmeade. Non so chi le abbia scelte, ma non ha fatto una scelta felice. Non ce n'è una sana in tutto l'edificio. Quella maniglia però funziona particolarmente male, tanto che più di una volta la porta è rimasta bloccata, con la classe dentro o fuori, a seconda dei casi.
Sembra però che il vero problema lì non sia la maniglia, bensì la porta che è fuori squadra. Scricciolo Rompino, che ha inaspettate competenze in moltissimi campi (non uno dei quali riguarda i programmi scolastici) ci ha spiegato che i cardini vanno registrati. Nessuno ha provveduto a farlo e così un giorno la porta, che da tempo si apriva e chiudeva stridendo e graffiando il pavimento e facendo una gran resistenza e solo dopo numerosi strattoni e spinte, è uscita dai cardini e scivolata addosso al suddetto Scricciolo - che è riuscita a fermarla con l'aiuto di un paio di compagni meno scriccioleschi di lui, e meno male.
Più volte Scricciolo ci ha spiegato che "non aveva fatto nulla, l'aveva solo toccata", ma anche se non l'avesse detto a nessuno sarebbe mai venuto in mente di attribuirgli una qualche responsabilità dell'evento, perché la creatura è davvero troppo minuta per sollevare la porta quanto basta per levarla dai cardini. Resta il fatto che, qualora qualcuno degli alunni si prendesse una porta in testa, sarà un bel problema spiegare ai genitori inferociti che è colpa del ragazzo che ha provocato la porta o roba del genere.
Sembra che, con un'accurata dose di pedate tirate nei punti giusti, la porta ritorni in sesto per qualche ora. Nessuno mi ha insegnato dove tirare i calci, e francamente preferirei che se ne occupasse un falegname - che sembra sia stato chiamato (dice, pare, si racconta che, tradunt).
Nel frattempo le lezioni sono diventate la parodia di un film dell'orrore: abbiamo diciotto ragazzi che entrano ed escono in continuazione per i più vari motivi, oltre a un visibilio di custodi e insegnanti che passano a portare circolari, lasciare avvisi e informarci sulle più varie questioni. E abbiamo scoperto che una porta che non stride e non ansima e non urla è una di quelle cose davvero importanti di cui si sente la mancanza solo quando non c'è più.

mercoledì 13 ottobre 2010

That is the question


Dopo un anno passato con la Classe dei Tordi, usi a subire la scuola con rassegnazione più o meno paziente, più tre anni con i baronetti inglesi di St. Mary Mead, troppo pratici per perdersi in dispute molto sottili, quest'anno, con la Piccola Seconda, ho riscoperto il piacere di una classe che non ha paura di fare domande. Sì, una di quelle classi pericolosissime in cui si comincia a parlare della pace di Lodi e ci si ritrova senza capire come in mezzo a un dedalo di questioni sui massimi sistemi che si fanno sempre più spinose mentre la malcapitata insegnante di turno, un tempo fiera della sua vasta, poliedrica e polittica preparazione, realizza infine tutta la vastevole vastità della sua profondissima ignoranza.
Un piccolo avviso l'avevo già avuto l'anno scorso, quando li vedevo un'ora alla settimana per l'Approfondimento, un giorno in cui gli risentivo i verbi all'indicativo. Nel bel mezzo di uno sgranarsi di passati prossimi e remoti, piucchepperfetti e futuri il Terribile Macedone* alzò la mano e, ottenuta l'autorizzazione a parlare, chiese:
"Mi scusi, professoressa, ma come mai il gerundio presente a volte ha valore passato? Per esempio nella frase "Stavo seduto, mangiando il mio panino", che vuol dire che "mangiavo" il mio panino. L'ho chiesto anche alla professoressa Caramella, e lei mi ha detto che al momento stavamo facendo l'indicativo ed era meglio occuparci dell'indicativo, e che del gerundio avremmo parlato più avanti. A me però è rimasta la curiosità".
Quanto a me, non nutrivo né avevo mai nutrito la benché minima curiosità nei confronti di nessuna delle abitudini del gerundio, ma sospettavo forte che la professoressa Caramella si fosse rifugiata dietro una scusa per non saper che dire. Del resto nemmeno io, onestamente, sapevo cosa rispondere. Ammisi di andare a tastoni, ma suggerii che il gerundio prendesse il colore, o meglio il tempo, della frase che lo accompagnava mettendosi sul suo stesso piano temporale - in pratica, era passato ma mentre stavo seduto a mangiare era presente. E mi raccomandai che prendesse per oro colato qualsiasi cosa gli dicesse la prof. Caramella anche se avesse contraddetto il mio tentativo di spiegazione (ma dubitavo assai che la professoressa Caramella avrebbe mai più risollevato la questione).
A quanto ho scoperto quest'anno, il Terribile Macedone è solo la punta più avanzata di un agguerrito drappello cui a volte si uniscono perfino la Mina Vagante e l'Assenteista (quando c'è).
In queste condizioni, le Grandi Scoperte Geografiche non sono state affar da poco.
"Quindi Colombo partì, con una spedizione finanziata dalla regina di Spagna...".
"Ma lui era genovese, no? Perché non si fece finanziare dalla Repubblica di Genova?".
Già, perché?
"L'Italia era in decadenza. I suoi stati non davano soldi a fondo perduto per improbabili esplorazioni".
Almeno mi sembrerebbe così, a occhio.
"Perciò i portoghesi cercarono una rotta per arrivare alle Indie..."
"Perché la cercarono?"
"Per commerciare. Dal Bosforo non si poteva più passare, cioè si passava ma i Turchi facevano pagare un tributo...".
"Ma potevano passare di lì!".
"C'è il deserto. Solo le carovane orientali conoscevano le strade con le oasi"
"Allora potevano passare di là!".
"C'erano i turchi".
"Aspetta, potevano passare da questa parte".
"Ehm... uhm... no, era troppo lunga".
"E per di qua?"
"Lì c'è la Siberia!".
"E potevano... Anzi, perché non venivano i mercanti indiani? Perché non lo cercavano loro, un modo per arrivare ai mercati occidentali?".
"Boh?... Non mi risulta che l'abbiano mai cercato. I mercanti orientali viaggiavano via terra, lungo la Via della Seta...".
"Gli indiani non navigavano?".
AIUTO, che ne so se gli indiani navigavano o no?
"No, non mi risulta che gli indiani si dessero alle esplorazioni navali. Nemmeno i cinesi. Proverò a informarmi".
Già, e da chi mi informo?
Provo con l'amica indianista. Esperta in lingue indiane, preciso, non di teoria e tecnica della navigazione indiana dei bei tempi andati.
"Perché gli indiani non cercavano di raggiungere i mercati europei via mare?" le chiedo minacciosa.
"Ecchennesò? Gli sarà stata fatica. C'è l'Oceano Indiano, intorno all'India, mica un laghetto come il Mediterraneo".
"Ma gli indiani hanno dei del mare?".
"Mah, boh, non mi sembra...".
"Hanno leggende legate alla navigazione?".
"Nnno, non mi risulta...".
Tormento la poveretta per un bel po', ma senza risultati. Mai il suo sonno sinora è stato turbato da angosciosi interrogativi sulle cause e concause della pigrizia navale degli indiani, e posso anche capirla; ma io ormai mi sento inadeguata, ignorante e nozionistica, oltre che vagamente in colpa perché la domanda non mi ha mai nemmeno lontanamente sfiorato. Mi sono sempre contentata di sapere che c'erano dei mercati cui accedere in oriente, ma mai una volta che mi sia chiesta perché i mercati non venivano da noi per commerciare.
Il colpo di grazia (per ora) me l'hanno dato con il Cantico delle creature - una poesia che mi ostino a rifilare ai miei sventurati alunni con la scusa che a me piace molto. Bieca vanità e nient'altro, per sfoderare la mia mirabile formazione medievale, che ormai risale ad anni remoti e che comunque un gruppo di dodicenni non ha nemmeno modo di apprezzare come si deve.
Ad ogni modo insisto a farlo, ed è un'abitudine che forse dovrei perdere.
Arrivata al "Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale / da la quale nullu homo vivente po' skappare", davanti al consueto brusio di disapprovazione all'idea di entusiasmarsi per nostra sorella morte corporale spiego compunta che, anche se nella nostra cultura la morte viene vista di solito in modo negativo, nel medioevo poteva avere anche un'accezione positiva perché permetteva di ricongiungersi a dio**.
Ed ecco il Terribile Macedone alzare la mano.
"Ma se la morte è una conseguenza del peccato originale, come fa lui a dire che è una cosa positiva? Non ha senso".
Panico. La coltellata è arrivata a tradimento, proprio dove mi sentivo più sicura.
Riesco a salvarmi in corner.
"Considera che la vera conseguenza negativa del peccato originale non è tanto la morte, quanto il fatto di non essere più in armonia con dio dopo avergli disobbedito. La morte anzi diventa il modo con cui congiungersi nuovamente a lui riconciliandosi".
Forse che il resto della classe si è contentato di questo, storditi da un testo quasi incomprensibile, dal fatto di essere alla quinta ora e, per due dei più domandieri, dall'essersi già sorbiti all'ora precedente un'altra spiegazione del Cantico delle creature, in un'altra classe dove sono stati ospitati nell'ora alternativa?
Nossignori, la classe comincia a discutere di cosa succede dopo la morte e a chiedermi informazioni dettagliate e chiarimenti sul Giudizio Finale, manco fossi io che lo organizzo.
Voglio un aumento di stipendio, un caffè caldo e una psicoterapia di sostegno.

*un ragazzino piccolo e minuto, arrivato qualche anno fa dalla Macedonia. L'attributo "Terribile" non si riferisce in alcun modo alla sua condotta: è esuberante ma nulla più 
**sì, d'accordo, anche dopo. Nel medioevo però ci insistono particolarmente.

sabato 9 ottobre 2010

Hortodoxa - Contro le prove d'ingresso (fatte con i piedi)

Sien dolci o sien salate, sempre palle son nomate
(queste nella foto sono di zucchero)

Non sono mai riuscita a capire l'utilità delle prove di ingresso di Italiano; non metto in dubbio che per Inglese, Matematica o Arte e Immagine siano utilissime, ma per Italiano mi sembrano solo una gran perdita di tempo: basta far scrivere ai ragazzi una decina di righe su un qualsivoglia argomento, anche a loro scelta, ed ecco lì già tutto scodellato: livello lessicale, livello ortografico e problemi di struttura della frase - con in più, spesso, qualche interesse o preferenza su cui si può far leva per cominciare a lavorare insieme.
Ad ogni modo sono una persona disciplinata e se mi danno da fare le prove d'ingresso le faccio prontamente eseguire alle creature e, armata di santa pazienza, provvedo a correggerle al più presto pur evocando per tutto il tempo il glorioso stemma dei Medici, ornato da ben sei palle una delle quali decorata dalla coroncina granducale. Poi trascrivo con gran cura il voto sul registro* e non gli do la minima importanza: spesso il risultato è fuorviante perché la prova è impostata male (non sempre, si capisce: solo "spesso"). Ho anche visto che i ragazzi, al contrario di me, le prendono sul serio e a volte un atto più formale è un buon modo per avviare l'anno scolastico.
Come ho scritto più sopra, considero fatte male e tutt'altro che oggettive la maggior parte delle prove d'ingresso di italiano - a volte però ne ho trovate di molto valide. Nessuna, comunque, può rivaleggiare per scervellaggine, arbitrio e pretenziosità con la prova d'ingresso che quest'anno, travolte da una una serie di sfortunati eventi, abbiamo rifilato alle classi terze.

Una prova di ingresso di italiano consiste, di solito, in una Comprensione del Testo (gli dai un brano da leggere, poi gli rifili un po' di domande per vedere se han capito di che si parla) e qualche esercizio di grammatica, il tutto di solito tarato a livelli molto bassi perché si tratta di verificare se i ragazzi hanno le competenze minime. Dopotutto la scuola media è scuola per tutti e tanto vale far cominciare le creature con un voto decente, così non si deprimono subito.
Quest'anno, a Hogsmeade, avevano una sola insegnante di lettere di ruolo, la Decana. Noi annuali siamo sciamate come cavallette il primo giorno di scuola, grazie all'accorto operare del Provveditorato di Firenze. Davamo quindi per scontato che della confezione delle prove di ingresso si fosse occupata lei, nei primi giorni di Settembre,
Così ha fatto, ahimé, ma solo dopo che siamo arrivate "perché non voleva farlo senza consultarci". Ovviamente noi, prese da circa 30.000 dversi impicci legati all'anno scolastico iniziato in modo così brusco non avevamo molto tempo per pensare alle prove di ingresso (o non l'abbiamo voluto trovare; di sicuro io non mi sono sforzata di trovarlo) e le abbiamo avallato tutto con un'unica, disastrosa eccezione che ha vieppiù peggiorato il tutto.
Per la seconda sono state riprese le prove dell'anno scorso - rispettabilissime, peccato che chi ripeteva l'anno le avesse già fatte e partisse quindi abbastanza avvantaggiato rispetto agli altri.
Per la terza... la base era un brano con relative domande preso dall'Addio alle Armi di Hemingway, ovvero la conversazione prima della battaglia. In un attacco di follia una collega ha chiesto un brano che parlasse della società nell'Ottocento - il perché non lo so, sinceramente, a me Hemingway sembrava andasse benissimo, e per giunta veniva dalla stessa serie che aveva partorito la prova delle seconde, dando all'insieme una certa continuità.
Chissà dove e chissà come la Decana ha pescato una roba sullo stato dell'agricoltura italiana nella seconda metà dell'Ottocento, abbastanza comprensibile anche se, magari, più adatto come prova di uscita che di ingresso - ma corredato con domande che comprendevano questioni di lana caprina, domande del tipo "Ah, saperlo, saperlo!" e... parti di testo libero, davvero ideali per una valutazione oggettiva. Per giunta, sempre la Decana, si è dimenticata di darci la griglia di correzione (o forse, può essere, non l'aveva neanche lei; anche se la signora ha mostrato diverse volte dei tratti malamente sopiti di nonnismo, l'anno scorso).
Seconda parte, quella grammaticale.
"Ci metto un po' di esercizi di analisi logica, che ne dite?".
"Sì, sì" abbiamo convenuto "Un po' di analisi logica".
"E qualche verbo dall'attivo al passivo e viceversa?"
"Sì, ottimo, qualche verbo all'attivo al passivo e viceversa".
E così è arrivata una prova di quattro fogli in A4 che conteneva una serie di esercizi... sui complementi di modo, di fine e di mezzo. Da sottolineare. Sì, proprio quegli esercizi buoni tutt'al più per un blando ripasso sabato nell'ultima mezz'ora, metti il pilota automatico e vai, di poco più utili di un congelatore in un igloo. Che poi i pilastri dell'analisi logica, insomma le famose competenze minime, non sono certo il complemento di mezzo e di modo e di fine, mi sembra. Di solito nelle prove d'ingresso si punta su soggetti, predicati verbali e simili. Di solito.
C'erano poi un paio di esercizi vero e falso su agente e causa efficiente: la frase "L'ornitorinco di mia nonna Teresa è stato colto da un forte raffreddore" contiene un complemento d'agente. Vero o Falso? E La risposta è "falso" perché il brutto raffreddore è un complemento di causa efficiente, non di agente. Tutte frasi incartate di questo tipo, dov'era quasi inevitabile che anche i più bravi una volta o due si confondessero, non perché non fossero capacissimi di riconoscere complementi di agente e di causa efficiente anche nel mezzo di una selva di complementi, ma perché avevano lasciato per strada uno o due cerchi della spirale.
Nell'ultima pagina viene chiesto al malcapitato di turno di indicare se in un tot di frasi i verbi sono attivi o passivi, intransitivi o intransitivi. Tutto ciò, finalmente, ha un senso perché non sempre le terze hanno le idee chiare su tali argomenti. Peccato che in conclusione ci sia una bordata finale dove viene richiesta l'analisi di più di venti forme verbali - lavoro tanto lungo quanto noioso sia da fare che da correggere.
Ne viene fuori una prova d'ingresso di nove fogli, nemmeno fotocopiati fronte-verso (e la foresta dell'Amazzonia ringrazia riconoscente). Colte da improvvisa viltà, né io né la mia collega annuale ce la siamo sentite di dire "Guarda che questa prova fa schifo al cassonetto della raccolta dei rifiuti generici e pure allo stoccaggio dei rifiuti pericolosi", anche perché la Decana avrebbe potuto risponderci (giustamente) che avevamo a svegliarci un po' prima della fase della fotocopiatura.
D'altra parte nessuna di noi aveva sospettato che una donna con quarant'anni di insegnamento alle spalle e ormai (vivaddio) alle soglie della pensione potesse raffazzonare un simile obbrobrio, tanto costoso quanto faticoso e buono al più come prova di resistenza fisica e mentale, vuoi per noi che per gli sventurati ragazzi datici in cura, o piuttosto in balia.
Anche lì, naturalmente, niente griglia di correzione. Ce la siamo dovuta fare da noi - senza contare che, con o senza griglia, la correzione di un simile elefante è lunga oltre ogni umano dire - che è cosa buona e giusta perché in certi casi l'idiozia è una colpa e come tale va scontata.

Prove d'ingresso: se le conosci le eviti
(in particolar modo quelle fatte dalla Decana e avallate da noi).

*quando dispongo di un registro su cui trascriverlo, si capisce.

venerdì 8 ottobre 2010

Haeretica - Contro L'Insegnamento della Religione Cattolica a scuola


Martin Luther a Worms, quando faceva la dieta


Nonostante sia atea e pure non battezzata, non sono contraria per principio al fatto che la chiesa cattolica, al pari di ogni setta religiosa, cerchi di istruire i suoi fedeli - anzi, a dirla tutta vorrei che riuscisse a farlo un po' meglio.
Com'è noto ai più, nel 1870 l'Italia si annesse a forza lo stato pontificio, che all'epoca prese molto male la cosa e pretese per tal sopruso gran copia di risarcimenti, che in parte durano tuttora. Tra questi c'è anche un intrusione nelle scuole del regno, poi diventato repubblica, regolamentata da Mussolini prima e da Craxi poi - due persone che non si potevano certo definire baciapile, ma che assicurarono alla Chiesa un massiccio accesso alle scuole pubbliche onde fornire alle italiche menti un'adeguata istruzione cattolica.

Sia come sia, a tutt'oggi i giovani italici cittadini (e anche i giovani ospiti non italici) si vedono regolarmente proporre una o due ore di Insegnamento della Religione Cattolica, somministrata da personale grato alla Curia ma pagato dallo stato italiano.
I giovani cittadini, o i loro genitori, possono comunque rifiutare questo insegnamento se per un qualsiasi motivo riceverlo non gli aggrada; e quelli che scelgono di "non avvalersene" fanno gran bene, a mio personale avviso, perché davvero non si riesce a capire l'utilità dell'insegnamento in questione.

Voglio precisare che tale mia idea non si basa sulla convinzione che l'insegnamento dei fondamenti della religione cattolica debba necessariamente risultare inutile o dannoso alle giovani menti in formazione; di fatto alle menti in formazione piace interrogarsi sui massimi sistemi e sui Grandi Temi della vita, e la religione cristiana, anche nella sua variante cattolica, offre risposte non banali né superficiali e porge il destro per sempre nuove domande cui anche i massimi teologi ammettono che la mente umana fatica o non riesce a rispondere. Inoltre, sempre a mio avviso, il senso di appartenenza ad un più vasto creato non ostacola necessariamente lo sviluppo di una mente fertile e ansiosa di indagare, e può anzi nutrirla con cibo di qualità non vile.
Peccato che niente di tutto questo pare avvenga nelle ore di Insegnamento della Religione Cattolica, durante le quali non mi risulta insegnarsi alcunché che riguardi né la religione cattolica né qualsivoglia altra religione. Lo strano è che tale insegnamento non risulta impartito nemmeno nelle ore di insegnamento che i preti organizzano presso le parrocchie (il cosiddetto catechismo).
Dopo aver ricevuto numerose ore di Insegnamento alla Religione Cattolica ed essere stati catechizzati e comunicati e cresimati e magari essersi pure fatti un corso prematrimoniale, i giovani cattolici ne sanno, di religione cattolica, né più né meno del primo cane infedele che passeggia per strada al guinzaglio o viaggia in auto nel bagagliaio abbiaiando alle altre macchine che passano.

Ogni insegnante di storia lo sa: spiegare la cosmogonia dantesca è come arare un terreno vergine e pieno di spine, spiegare la Riforma protestante è un'autentica via crucis, il Libero Arbitrio (spesso trasformato in Libero Arbitro in nome di una direzione delle partite di calcio o basket che non risenta di condizionamenti esterni) è un concetto di cui spesso si rinuncia a venire a capo, non parliamo delle eresie medievali o degli ordini mendicanti - e spesso le risposte più campate in aria non vengono dai giovani musulmani o animisti che popolano i nostri banchi, ma proprio dalle italiche creature cui fin dalle materne viene impartito, amministrato, somministrato, rifilato o come diavolo si dice, il fatidico Insegnamento della Religione Cattolica.

Ora, uno è perfettamente disponibile a spiegare e rispiegare le cose al giovane musulmano (che alla fine, con il Libero Arbitro, se la cava né meglio né peggio dei suoi coetanei formalmente cristiani); ma quando un gruppo di catecumeni freschi di cresima risponde con sguardo vuoto e perplesso alla domanda "Cos'è la Trinità?"* dopo aver passato l'ultimo fine settimana in ritiro appunto per la cresima, l'insegnante si domanda seriamente quale sia l'utilità, il vantaggio, l'accrescimento culturale di tutte queste ore di Insegnamento della Religione Cattolica, e se il denaro e il tempo impiegato a tal apparentemente nobile scopo non potrebbe essere meglio utilizzato dallo Stato e dalla Chiesa mettendo su qualche Laboratorio Didattico per l'Insegnamento del Gioco delle Biglie sulla Sabbia o un bel Torneo di Carte di Magic.

*realmente successo. Ci volle del bello e del buono per spiegargli che la Trinità non era una roba così misteriosa, e che la chiamavano in causa ogni volta che si facevano il segno della croce. Naturalmente la domanda era stata posta da un'allieva - l'insegnante di turno, che poi ero io, non aveva il benché minimo desiderio di rivedere le bucce alla loro preparazione teologica.