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mercoledì 31 luglio 2013

La Pizza dei Giovani, ovvero sul nonnismo

Un insegnante appena arrivato alla scuola media di St. Mary Mead presta il dovuto omaggio alla prof. De Rapacis (The Accolade di E. B. Leighton, 1901)

L'anno in cui per la prima volta approdai alla scuola di St. Mary Mead una buona metà delle cattedre era occupata dai cosiddetti precari. Oltre a svariati precari a contratto annuale, che avevano ricevuto l'incarico in quella sorta di ordalia nota col nome di "convocazione per le supplenze annuali" c'era pure un piccolo ma agguerrito drappello di supplenti di terza fascia - quelli senza abilitazione, insomma. I due più giovani erano stati addirittura scelti come mascotte del gruppo e se ne parlava come di due cuccioletti ancora da svezzare, nonostante Petite andasse per i 29 anni e Petit ne avesse ormai compiuti 31; quanto a me e alla De Angelis, avevamo ormai saldamente varcato la soglia dei 40, come Lucy.
Il fatto di essere nuovi della scuola e in buona parte pendolari da Firenze ci saldò in una specie di gruppo interno che era unito soprattutto da una forte simpatia reciproca. Sotto Natale ci venne spontaneo ritrovarci per una classica cena in pizzeria cui si unì la prof. Marzapane, che non solo era di ruolo da un'eternità, ma apparteneva di diritto al gruppo delle Anziane della scuola; né la sua presenza ci causò dispiacere o disagio alcuno, perché è sempre stata un'ottima compagnia.

Passarono le vacanze di Natale, poi tornammo a scuola. Mi ritrovai così un bel giorno di metà Gennaio a fare la mia consueta sorveglianza mensa con la prof. De Rapacis (responsabile di plesso nonché Eminenza Grigia della scuola), la Cleptomane (che come sempre era "salita a prendere un caffé" per non fare ritorno) e la prof. Casini che già da tempo aveva mostrato di essere sempre disposta a dir male di chiunque. D'abitudine le lasciavo parlare senza intervenire, vuoi perché non sempre sapevo di chi stavano sparlando, vuoi perché esporre opinioni di un qualsiasi tipo in loro presenza, specie riguardo ad un essere vivente, non mi sembrava affatto consigliabile. Ascoltarle però era spesso un'esperienza interessante e formativa.

Ad un certo punto (erano partite dall'indispensabilità del libriccino sulle regioni d'Italia allegato al manuale di prima, transitando tra l'altro da: malattie incurabili, depressione e voti dell'esame di terza) la De Rapacis disse che lei non aveva mai fatto distinzione alcuna tra insegnanti di ruolo, non di ruolo e supplenti, e che per lei i colleghi erano sempre stati tutti uguali*, però non si capacitava del fatto che alcuni degli insegnanti di quella scuola avessero organizzato una cena senza avvisare gli altri colleghi - e seguì un elenco di nomi che  comprendeva tutti i partecipanti della nostra innocua pizzata di Natale tranne me.
Siccome con me certe finezze sono del tutto sprecate, ne conclusi semplicemente che si fosse trattato di una seconda cena, che si era svolta in mia assenza. 
"Vabbe', non ci trovo niente di male" dissi "Ognuno va a cena con chi gli pare, giusto?".
No, assicurarono, non era giusto. La Casini  mi spiegò che all'inizio dell'anno aveva fatto anche lei non so che riunione di colleghi a casa sua e aveva impavidamente invitato anche gente che le faceva schifo. 
"Va bene, se mai mi inviterai, mi ricorderò di quanto affettuoso calore può esserci nei tuoi inviti"  assicurai.

Siccome non stavo reagendo nel modo giusto la procedura fu riavviata dall'inizio: prima l'elenco dei partecipanti alla cena, poi la data approssimativa dell'evento, e a quel punto, dato che era oggettivamente improbabile che a scuola fossero state fissate due serate con pizza nella stessa settimana, una con me e una senza di me, ma a parte quello con gli stessi identici partecipanti, realizzai di cosa stavano parlando - e addirittura venni sfiorata dal sospetto che sapessero perfettamente che a quella cena c'ero anch'io e stessero cercando di stanarmi senza aver l'aria.

"Veramente c'ero anch'io a quella cena" dissi conciliante "Non c'era nessun intenzione di escludere nessuno, volevamo andare a cena insieme e ci siamo andati, tutto qui".
No, non era tutto lì: i partecipanti erano stati selezionati in base all'età e questo non andava bene. Avevamo fatto la Pizza dei Giovani.
"Bah, per chiamare giovane me ci vuole una bella fantasia" dissi con un bel sorriso, ben consapevole che le altre due avevano rispettivamente cinque e dieci anni più di me "Eravamo solo persone che avevano voglia di cenare insieme. Persone, avete presente?".
No, non avevano presente. Era stata una grave mancanza verso i colleghi non estendere l'invito a tutti. Il Vecchio Preside avrebbe dovuto non chiamarci più per le supplenze, dopo questo (rischiando peraltro non pochi ricorsi - per tacere del fatto che dal Provveditorato avrebbero continuato a mandargli chi pareva a loro, in base alle graduatorie, senza consultarlo).
"Ma, scusate, come funziona? Se voglio andare a letto con un collega o una collega, devo per forza estendere l'offerta a tutti gli altri, compresi quelli che lavorano negli altri tre plessi?" (all'epoca al Collegio Docenti facevamo più di cento presenze).
Il paragone le lasciò alquanto sconcertate. Non c'entrava niente, mi dissero. Non era la stessa cosa.
E come no, ribattei, sul mio facevo quel che mi pareva; e, di sicuro, ero libera di andare a cena con chi mi pareva senza rendere conto a nessuno.

Era, con tutta evidenza, un caso di incomprensione reciproca: io non riuscivo assolutamente a capacitarmi del fatto che qualcuno, sul posto di lavoro, si azzardasse a sindacare su chi frequentavo una volta uscita da scuola, mentre loro erano altrettanto palesemente sbalordite dalla mia totale, completa e assoluta mancanza del sia pur minimo segno di contrizione.

Dissi che il loro era un modo di ragionare folle (e in effetti sbagliai, perché in quel contesto il verbo "ragionare" era del tutto fuor di luogo). Offesissima,  la Casini ribatté "Vedi di calmarti, qua nessuno ha offeso nessuno dicendogli che il suo modo di ragionare è folle". "Come no, l'ho detto io. Se volete lo ripeto anche, lo metto per iscritto e lo firmo davanti a testimoni".
Il problema di base era che io non potevo (letteralmente: non potevo. Non ne avevo la facoltà né il diritto) fare l'unica cosa sensata, cioè andarmene sbattendo la porta; non solo perché non c'era alcuna porta da sbattere (eravamo in un ampio cortile) ma anche perché eravamo già sotto il numero regolamentare per sorvegliare i cento e passa ragazzi che in quel momento saltellavano come canguri scorazzando intorno a noi - sorvegliandosi da soli, per nostra buona sorte - perché la Cleptomane era via da venti minuti a bersi il suo eterno caffé. Scelsi adunque l'unica possibilità che mi sembrava dignitosa, ovvero mi chiusi in un silenzio avvolto da dense nuvole di fumo nero, ed evitai di raccogliere ulteriori provocazioni; che, devo dire, continuarono numerose. Ad esempio venne stabilito che la prof. Marzapane doveva smettere di andarsene in giro scroccando cene (evidentemente il loro concetto di "scroccare" era un po' particolare, visto che la Marzapane aveva pagato la sua parte senza minimamente cercare di scaricare su di noi il prezzo della sua pizza). Poi la Casini osservò che Petite faceva tanto la giovane, ma aveva già trent'anni, e suo figlio (il figlio della Casini, che all'epoca aveva sei anni ancora da compiere) aveva una maestra della sua età e la considerava vecchia.
E andarino avanti su questo livello per un bel po'.
Finalmente l'intervallo di mensa si concluse e riportammo in classe i ragazzi.

Ero ben decisa a non riferire nulla di quella deplorevole conversazione ai diretti interessati, ovvero il manipolo dei Giovani e Similgiovani; disgraziatamente un'insegnante ci aveva sentito questionare ed era prontamente corsa dalla De Angelis, e da Petite e Petit dicendo che c'era stata una discussione e avevamo parlato anche di loro (l'arte di cucinarsi qualche teglia di cavoli propri è notoriamente poco praticata, ahimé). E così all'uscita di scuola me li ritrovai davanti, tutti e tre, debitamente preoccupati e ricolmi di domande. Sul momento, ahimé, non mi venne in mente una balla adeguata e non seppi fare di meglio che  scodellare un resoconto un po' addolcito di tutta la conversazione (che, per quanto ci provassi, si prestava ben poco ad essere addolcito).


Il saggio Petit trovò la storia divertente e si guardò bene dall'affrontare l'argomento con le due arpie; l'angelica De Angelis provò a mediare, senza sortire grandi risultati, e Petite, semplicemente, andò in crisi, ed essendo di gran lunga la più debole, anche psicologicamente (era alle sue prime supplenze) venne fatta oggetto di lì sino alla fine dell'anno di un moderato bullismo da parte della De Rapacis.

Quanto a me, dismisi ogni forma di rapporto con la De Rapacis (fino a quel momento l'avevo sempre trattata con grande rispetto, anche perché era una brava insegnante) e non contribuii al regalo per il suo pensionamento.

La Gran Tragedia della Pizza dei Giovani fa ormai parte della memoria collettiva ed è stata oggetto di gran divertimento per chi l'ha sentita raccontare; ma io, tuttora, quando ci ripenso sento i canini che si allungano e si aguzzano.


*e già dal fatto che le fosse venuto in mente di fare una precisazione del genere, persino una persona candida e sprovveduta quale mi pregio di essere dovette prendere atto definitivamente che di distinzioni gerarchiche era abituatissima a farne, eccome.

lunedì 29 luglio 2013

Manuale del Perfetto Insegnante - Gli Anticipatari



Chiamansi Anticipatari quelle creature che, nate dal 1 Gennaio al 30 Aprile, possono essere iscritte alla scuola primaria con un anno di anticipo. Fino a qualche anno fa le cose erano un po' più complicate, adesso il genitore riceve la sua brava richiesta di iscrizione anticipata automaticamente quando la creatura è nata in quei quattro fatidici mesi. 
A onore della categoria genitoriale, va detto che la gran maggioranza di loro straccia la lettera e non ci pensa più MA, certo, quando c'è di mezzo un Figlio Unigenito, la questione cambia.
Mettiamola così: non tutti gli Unigenitit, per loro buona sorte, vanno a scuola un anno avanti. Tuttavia non ho ancora incontrato un solo anticipatario che non fosse, ahilui/ahilei, un Figlio Unigenito.

Siccome, per fortuna, un minimo di pudore esiste ancora, quasi nessun genitore ammette apertamente "L'ho mandato a scuola un anno avanti perché era trooooppo superiore agli altri e in compagnia dei suoi scialbi e banali coetanei rischiava, poverino, di annoiarsi troppo". E allora saltano fuori le scuse più varie, non una delle quali si presta a rendere onore al senno di chi la pronuncia.
"Sai,  a quel punto, sapeva già leggere..." (e che leggesse, allora, se già sapeva leggere. Mica è proibito leggere, anche se non vai ancora a scuola. Compragli una bella edizione rilegata di Guerra e Pace e lascialo campare. Oppure compragli le storie di Fratel Coniglietto, o qualche Geronimo Stilton, o quello che gli pare. SE gli piace leggere. E lascialo giocare in pace un anno in più).
"Ci eravamo trasferiti, e il pediatra ci ha spiegato che l'inserimento al terzo anno della materna è difficilissimo, e che quindi era più comodo se lo mettevo direttamente in prima" (sì, certo, i pediatri sono notoriamente espertissimi nella gestione delle classi, e passano le loro giornate non tanto ad aggiornarsi o istruirsi su sciocchezze quali le infezioni, la celiachia o le dermatiti, bensì a scrivere saggi di didattica).
"Ce l'ha chiesto lui, ha detto che altrimenti si annoiava" (ditela tutta: alla settecentoventottesima volta che gli giravate intorno come avvoltoi chiedendogli se per caso non gli sarebbe piaciuto andare a scuola un anno prima, la creatura ha ceduto per sfinimento e ha mormorato un flebile "...forse")
"Il suo migliore amico andava in prima, lui aveva paura di restare solo" (massì, non aveva alcuna possibilità di farsi altre amicizie se non se le portava al seguito: la classe è un luogo che per sua natura predispone alla solitudine, e tra l'altro è noto che gli insegnanti elementari scoraggiano qualsiasi forma di contatto amichevole tra alunni, usando anche la frusta se necessario).
"Ce l'hanno consigliato le maestre" (sì, certo, le maestre, messe alle strette per settanta volte sette, hanno finito per mormorare un pallido "Mah, forse non è detto che si riveli un  disastro completo. Provate, se proprio ci tenete tanto". Ci saranno forse degli insegnanti favorevoli agli anticipi, ma se qualcuno ne ha mai conosciuto uno si faccia avanti e lo indichi, per favore).
Poi c'è il sempreverde "In fondo è di Gennaio, se va a scuola nel tempo stabilito perde un anno" (lo perde come, per strada, facendoselo scivolare di tasca? Gli viene sottratto nei Grandi Uffici della Morte? Gli si accorcia l'esistenza, se non lo mandate a scuola un anno prima?). 
E il celebre "In fondo ha poco meno di quelli che sono nati a Dicembre, non fa molta differenza" (ma quelli nati a Dicembre non avevano scelta, lui sì. Dividendo i ragazzi in annate c'è sempre qualcuno che resta dall'altra parte del margine e si ritrova fregato, per quanti sforzi faccia il legislatore. Ma perché fornire al vostro amato figlio un handicap supplementare, se non siete costretti a farlo?).

Spesso le difficoltà per il poveretto arrivano già alla prima classe elementare, anche quando effettivamente il suo cervello si dimostra in grado di seguire senza troppi problemi i programmi, e sono soprattutto difficoltà di concentrazione per i tempi richiesti, di adattamento a quel poco di autodisciplina che viene chiesto (poca per un adulto, ma per un bambino nemmeno tanto poca), di capacità di autocontrollo. In sintesi: gli anticipatari fanno più fatica fisicamente perché a scuola non ci si va solo col cervello, ma con tutto il corpo, e i tempi di crescita non sono legati solo alle capacità di apprendimento. Magari la creatura riesce effettivamente a fare tutto quello che gli viene chiesto, ma lo fa con più fatica. La scuola per lui/lei sarà sempre qualcosa che gli richiederà più fatica di quel che richiede ai compagni. 

La fatica aumenta al momento dei passaggi, e degli stacchi. In prima media in particolare ci sono sia uno stacco che un passaggio. Il primo è il (faticosissimo, per quasi tutti) cambiamento dalle elementari alle medie, particolarmente faticoso per i maschi. Cambiano radicalmente la struttura della scuola, le aspettative degli insegnanti e anche il tipo di disciplina imposta. Le medie non sono certo dei lager, ma gli insegnanti si aspettano dai loro alunni un comportamento che, nelle prime settimane, è difficile anche per i ragazzi più maturi e disponibili: gli alunni devono stare fermi per più tempo, abituarsi a più insegnanti, stare più zitti, studiare di più e in modo diverso, imparare a gestire una quantità immane di materie, sottomaterie, quaderni, libri e ammennicoli vari, affrontare materie completamente nuove - senza contare che, per i primi mesi, tutti quei professori completamente nuovi non faranno che sospirare "Ma si può sapere che cosa vi hanno fatto alle elementari?", a torto o a ragione che sia.
Soprattutto il fatto di stare fermi più a lungo e concentrarsi più a lungo è particolarmente faticoso per i maschi (e, guarda un po' il caso, la maggior parte degli anticipatari sono maschi). E' uno strano gap fisico che nella seconda parte dell'anno si va equilibrando, ma per i primi mesi esiste. Gli insegnanti hanno una serie di formule per definirlo: i maschi sono "più immaturi", "più viziati", "più agitati", "più piccoli" - ma di fatto in quel periodo della loro vita sono leggermente indietro nella crescita rispetto alla loro controparte femminile.
L'anticipatario, per sua stessa natura, è "più piccolo", nel vero senso della parola. E' anche più apprensivo e un po' più sfiduciato dei suoi compagni, e a casa ha genitori più protettivi e più irragionevoli (se non lo fossero, non lo avrebbero messo in quell'impiccio); i primi mesi delle medie li passerà sentendosi una via di mezzo tra un cane alla catena e un ciuco che deve far girare la ruota della macina: farà sempre e comunque una gran fatica, quasi mai qualcuno sarà soddisfatto di lui (compresi, ahimé, i compagni) e si sentirà sempre stanco e inadeguato, con grande sua frustrazione e dispiacere: gli anticipatari piangono di più e più spesso dei loro compagni di classe, spesso anche solo per stanchezza. Naturalmente risulterà anche la vittima predestinata per i bulli di turno. A tutto ciò, dopo aver pianto tutte le sue lacrime, reagirà elaborando qualche strategia di difesa, spesso del tutto inadeguata - per esempio può provare a spostare la questione sul piano disciplinare, disturbando tutti in continuazione e portando l'intero gruppo-classe all'esasperazione più totale, oppure può provare ad attirare a tutti i costi l'attenzione dei compagni che tendono a "lasciarlo indietro" (spesso con effetti disastrosi), o magari passare il suo tempo a lamentarsi con gli insegnanti di questo e di quello, o anche una devastante miscela di tutte queste possibilità con qualche ulteriore ritocco. Ci sono consistenti probabilità che la classe lo sputi fuori dal gruppo, o che faccia fronte comune contro di lui.
A peggiorare le cose, verso metà dell'anno gli alunni di prima media subiscono una metamorfosi fisica che li avvia verso l'adolescenza - in pratica, smettono di essere bambini e il loro cervello cambia (anche l'organismo, ma quello risulta molto più evidente in seconda). L'anticipatario, per sua stessa natura, è qualcuno destinato a restare bambino per un anno più degli altri. I suoi scherzi, i suoi giochi, i suoi passatempi e i suoi argomenti di conversazione sono ancora quelli di un bambino, e per i compagni risultano spesso terribilmente noiosi e irritanti - come dire, "infantili". Per un triste paradosso, il ragazzo che non riesce a sintonizzarsi con il gruppo (e quindi non ne riceve più le sinergie) è destinato a crescere più tardi degli altri, proprio perché deve farlo da solo e senza l'aiuto che gli altri ricevono dai coetanei.

Per carità, si sopravvive a questo e anche a cose peggiori - e c'è perfino qualcuno che, magari aiutato da circostanze esterne favorevoli o da un gruppo che è comunque troppo abituato a far conto su di lui per prendere seriamente in considerazione la possibilità di lasciarlo indietro, riesce a mantenere la sintonia con i compagni nonostante tutto - cioè nonostante il fatto che fa comunque più fatica degli altri.
Eppurtuttavia, in un mondo così pieno di inevitabili difficoltà, quando la vita impone comunque sì gran mole di dure prove cui è impossibile sottrarsi, si fatica assai a comprendere il punto di vista del genitore che, per il solo e unico piacere di potteggiare un po' sulla spiaggia vantandosi del proprio figlio anticipatario con i vicini d'ombrellone o con i parenti di secondo e terzo grado (ai quali comunque importa davvero poco della cosa, essendo comprensibilmente assai più concentrati sulla vita dei propri figli che su quella dei figli di estranei), sottopone il suo Unigenito a una prova così complessa e così facilmente evitabile, incamminandosi in una strada che ha buone possibilità di richiedere gran dispendio di iperprotezione e autoinganno che senza alcuna spesa potrebbero risparmiarsi e risparmiare alla creatura.

Manuale del Perfetto Insegnante - Tipologie di Genitori - 2. Il Figlio Unigenito

"Tu es filius meus dilectus; in te complacui". 
Secondo le Scritture queste parole vennero pronunciate nelle Alte Sfere in occasione del battesimo di Cristo (qui nella versione di Cima da Conegliano (1493-94), anche lui Figlio Unigenito; tuttavia, per tutta una serie di motivi, Gesù viene considerato un caso abbastanza particolare.

Il Figlio Unigenito non è necessariamente un figlio unico. Spesso ha una o più sorelle, talvolta addirittura dei fratelli - può essere, ad esempio il Primo Maschio o l'Ultimo Maschio; e si danno casi di Figli Unigeniti femmine, anche se non sono la maggioranza. 

Si tratta, sempre, di creature scese in terra a miracol mostrare. O meglio, si tratta di creature i cui genitori hanno stabilito che essi sono scesi in terra a miracol mostrare. Perché essere un Figlio Unigenito è sì una categoria dell'anima - ma dell'anima del genitore. La creatura si trova investita di questo titolo ma non l'ha chiesto, non ha fatto nulla per meritarlo e non è detto che tale investitura gli recherà mai il benché minimo piacere o beneficio, anche se alcuni individui particolarmente adattabili col tempo cercheranno di convincersi che gli va bene anche così.
Non ha senso cercare di categorizzare il Figlio Unigenito: ve ne sono di belli e di brutti, di  ogni tipo e grado di intelligenza, di tutti i temperamenti e caratteri. I genitori del Figlio Unigenito invece sembrano fatti con lo stampino - ma lo sono solo in qualità di genitori, nella vita di tutti i giorni anche loro non sono riconducibili a un preciso stereotipo. 
Sono, essenzialmente, persone che hanno vissuto una vita normale ma che hanno dismesso ogni filtro critico nel momento in cui sono diventati genitori di una specifica creatura. Magari sono eccellenti insegnanti, pessimi ferrovieri, cuochi di buon livello, mariti affettuosi, mogli passionali, fratelli solidali, uomini d'affari onesti, pessimi turisti e via dicendo - ma in qualità di genitori si assomigliano tutti, e sono micidiali.

Il Figlio Unigenito è, diciamo così, un genio per contratto: è stato stabilito che Egli è estremamente intelligente, che fa e ha sempre fatto moltissimi miracoli e che di molti e ben maggiori ne farà negli anni a venire. Tutto cià è del tutto slegato con l'essenza effettiva della creatura, e infatti qualche volta effettivamente capita che un Figlio Unigenito sia anche un genio o qualcosa che molto gli si avvicina; tuttavia, la maggior parte degli Unigeniti comincia ben presto a dare segni di insicurezza, ansia da prestazione e simili - e per elementari considerazioni di misericordia e compassione è meglio sorvolare sulla vita condotta da quegli sventuratissimi Unigeniti che sono senz'altro ottime e stimabilissime creature, ma che Madre Natura non ha fornito di un'intelligenza all'altezza delle aspettative dei suoi affettuosi genitori.
Perciò comincia, molto presto, la Terribile Processione degli Insegnanti Incompetenti. I genitori infatti si convincono che un disgraziatissimo caso li ha messi davanti al peggio del peggio di cui la classe insegnante dispone: tutta gente incapace, inadeguata, priva di intuito e sensibilità e insomma completamente inadatta alla circostanza, e tutti lì, ammassati come le api intorno ai fiori, occupati senza tregua ad intralciare il percorso scolastico del loro Unigenito. E in verità capita spesso che il percorso scolastico del Figlio Unigenito si trasformi in una via irta di spine, al cui confronto il Calvario era un ridente sentiero pianeggiante in una valletta fiorita.
Infiniti sono i patimenti del Figlio Unigenito a scuola, e assai spesso gli Inadeguati e Incapaci insegnanti si ritrovano tra loro a mormorare che quella povera creatura, se soltanto non fosse stata fornita da un caso maligno di due genitori invasati come quelli che si ritrova, avrebbe tutte le carte in regola per fare un percorso scolastico più che dignitoso e soprattutto per campare un po' meglio. Se soltanto in famiglia si rilassassero, e soprattutto lasciassero rilassare lui/lei...
Invero, le pretese scolastiche di un genitore di Figlio Unigenito sono spesso inarrivabili, e si sono visti genitori di Unigeniti storcere il naso persino davanti a pagelle ricolme di dieci (niente lode? Non è stato segnalato per la borsa di studio? Come mai questo nove in Inglese?). Convincerlo che otto è un voto rispettabile e i sette non sono spazzatura è un'impresa improba, e l'apparizione di un sei o (dio non voglia!) un cinque porta spesso diritti in presidenza, dove un Dirigente Scolastico in palese imbarazzo, dopo un ampio dispiegamento di registri scolastici e verifiche scritte, cerca invano di far capire che, laddove la media è tra il quattro e il cinque, un cinque o un sei sottolineato in rosso rappresentano un'opzione del tutto legittima, guardandosi bene altresì dal precisare che qualsiasi insegnante sano di mente (e anche molti un po' squilibrati), per puro istinto di sopravvivenza tende a ritoccare verso l'alto i voti dei Figli Unigeniti senza necessità di alcuna pressione esterna e che quindi assolutamente nessuno ha abbassato i voti "al loro bambino".

Il Figlio Unigenito, oltre a dover andare benissimo a scuola per contratto, è anche tenuto a voler fare sin dalla più precoce età percorsi impegnativi: pianoforte o violino a quattro anni, corsi di lingue straniere a cinque o sei, attività politica o umanitaria sin dalla più tenera infanzia. Gli viene spiegato con molta chiarezza sin dai primi anni non solo cosa vuole fare, ma anche cosa deve pensare e quali opinioni e gusti è obbligato ad avere. Viene tenuto il più lontano possibile da amicizie e gruppi (quasi sempre gli amici che cerca di farsi risultano infatti cattive compagnie che lo traviano dal suo giusto cammino) e quando ha la ventura di innamorarsi, ivi è regolarmente pianto e stridor di denti perché il bene amato risulta sempre, ahimé, penosamente inadeguato a tal mirabolante creatura.
Quasi inevitabilmente, e in special modo se il Figlio Unigenito risulta munito di una forte personalità (ma anche per i più deboli e remissivi prima o poi scatta l'istinto di sopravvivenza) arriva il momento della Crisi, ovvero quando la creatura decide di voler pensare, esistere, vivere e sentire a modo suo, spesso senza riuscire a liberarsi del tutto ma conseguendo quasi sempre qualche risultato. I voti a scuola si abbassano paurosamente, pianoforte, danza e attività umanitarie vengono scaraventate nel bidone dei rifiuti, da rifondino che era la creatura diventa un fido militante di Ordine Nuovo e via dicendo.

Ognuno ha la sua storia, e il Figlio Unigenito può percorrere le più varie strade: qualcuno esce stroncato dalla sua coraggiosa lotta per la sopravvivenza, qualcuno si accomoda in onorevoli compromessi, qualcuno elabora brillanti strategie di sopravvivenza, alcuni perfino riescono, da adulti, ad instaurare un rapporto positivo con la famiglia. Dipende dalla fortuna, dal carattere, dalle circostanze.
In tutti i casi, chi nasce Figlio Unigenito parte con un grosso handicap nei confronti di quella strana lotteria che è la vita e soffre spesso di insistenti sensi di colpa.
Quanto al Genitore di Figlio Unigenito, nella maggior parte dei casi si infila in una sorta di labirinto inestricabile di bugie e autoinganni in cui conduce una vita miserabile ma che a lui sembra tutto sommato l'unica accettabile. Assai raramente diventa col tempo una persona felice.

Spesso e volentieri i Figli Unigeniti sono anche anticipatari... (to be continued)

venerdì 26 luglio 2013

Coraline - Neil Gaiman

Neil Gaiman è stato citato diverse volte ne I Venerdì del Libro, ma mi sembra che Coraline (scritto nel 2002, tradotto in italiano nel 2004) non sia mai stato recensito. 

Romanzo breve (o racconto lungo, a scelta), assai premiato e riverito, destinato in apparenza alla categoria "giovani adulti", funziona per tutte le età per quella specifica categoria di lettori che ama i temi trattati da Gaiman, ovvero essenzialmente la Vita, la Morte, l'Apparenza, la Realtà e soprattutto quanto siano sottili le porte che separano questi mondi.

La protagonista, Coraline, è una ragazzina di undici anni che da poco si è trasferita con i suoi genitori in una casa nuova, un po' isolata dalla città, con un grande giardino incolto e assai misterioso dove tra l'altro abita un bel gatto nero un po' scontroso.

E' estate, i genitori hanno parecchio da fare, non c'è scuola, la ragazza è curiosa e intraprendente. C'è una porta da non aprire, naturalmente. E' una porta che non dà su niente di particolare, solo un muro di mattoni, e la chiave sta non proprio nascosta, ma in alto su un armadietto della cucina, perché non c'è motivo di usarla, per aprire una porta che non dà su niente di particolare tranne un vecchio muro di mattoni di nessuna importanza.
E poi capita che, casualmente (Casualmente? Seeee...)  Coraline apra la porta, dopo aver casualmente recuperato la chiave, e, proprio quel giorno, casualmente, la porta non dia sul solito muro di mattoni bensì su un corridoio buio.

In fondo al corridoio* c'è la sua casa, identica a quella che si è lasciata alle spalle, con i suoi genitori - uguali in tutto e per tutto a quelli che abitano con lei nell'altra casa, salvo il piccolo particolare di avere i bottoni al posto degli occhi e di cucinare molto meglio dei suoi genitori. Coraline mangia molto volentieri una doppia porzione di pollo arrosto con patate, ma poi torna indietro, a casa sua, nonostante l'amorevole offerta dei genitori-con-i-bottoni di restare per sempre con loro.

Naturalmente non si può andare nell'Altro mondo, mangiarci e tornare a casa propria come se niente fosse. A casa infatti manca qualcosa: guarda caso proprio i suoi genitori, catturati dall'Altra Madre e imprigionati dentro uno specchio. Occorre andare a liberarli e l'impaurita Coraline, erede di una lunga serie di intrepide eroine che viaggiano con successo tra i vari mondi, andrà, portandosi dietro il migliore degli aiutanti: niente meno che il gatto nero (forse il gatto più splendidamente gattoso della storia della letteratura), che per sua natura è capace di coesistere in entrambi i mondi, e che rischierà davvero parecchio - come Coraline, del resto.

Liberare i genitori e tornare a casa non sarà né facile né impossibile, e anche l'ultima rappresaglia dell'Altra Madre, che varcherà a sua volta la porta, darà la sua parte di filo da torcere.
C'è una morale, al di là del fatto che un Gatto Nero è sempre un amico impagabile?
Ce ne sono diverse, ma per capirle occorre protendere l'Altra Anima - perché è una storia che parla dell'Altro Mondo, e dei suoi (frequenti, molto frequenti) rapporti col Nostro Mondo.

Se amate questo tipo di tematiche, potete leggerlo a qualsiasi età (se ancora non sapete leggere, o non vi diverte farlo, chiamate qualcuno che lo legga ad alta voce per voi) e vi piacerà moltissimo. Altrimenti la troverete una storia un po' esile e un po' fine a sé stessa, ma comunque non sgradevole.
Di tempo, comunque, ve ne ruberà poco: mezzo pomeriggio assolato, o un lungo dopocena. Non essendo narrativa dell'orrore, non presenta alcuna necessità di essere letto  in case vuote e buie nel pieno della notte: la sottile inquietudine che vi lascerà dentro sarà identica se lo leggerete nel bel mezzo di un cimitero notoriamente inquieto in una notte senza luna o sotto l'ombrellone in una spiaggia affollata.

Dalla storia è stato tratto anche un film, molto apprezzato: Coraline e la porta magica.

Con questo post partecipo ai Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e buone vacanze a chiunque passi di qua.

*in teoria una brava bambina obbediente si guarderebbe bene dal percorrere il corridoio buio. Ma - a parte che nessun bravo bambino obbediente ha mai fornito materia valida per una buona storia, se non come spalla di qualche bambino tutt'altro che bravo e obbediente - una brava bambina obbediente non sarebbe certo andata a cercare la chiave profittando del fatto di essere sola...

giovedì 18 luglio 2013

Quando Essi Ci Guardano - Incontro con l'assessore


Nel Collegio Docenti di metà Maggio, la nostra amata Preside ci scodella di punto in bianco* la notizia che di lì a pochi giorni le prime medie incontreranno un assessore. Per quel poco che siamo riusciti a capire attraverso caute domande, lo fanno anche le quinte elementari. Corre voce però che le quinte elementari abbiano avviato regolamentare progetto e lavorato vari mesi intorno alla questione.

Sempre difficile decidere come regolarsi in questi casi. Proviamo a suggerire che, così all'impronta, forse sarebbe meglio mandare le seconde, meglio ancora le terze, che ormai di istituzioni sentono parlare da un po'; ma nessuno ci fila, né tanto né poco.
Prendo seriamente in considerazione la possibilità di mandare la Prima d'Ogni Grazia Adorna, cresciuta per un anno a hobbit, anelli magici, mele d'oro e frutta candita, a fare da tappezzeria senza spendere nemmeno uno dei pochi preziosi minuti di lezione rimastimi per preparare l'incontro. Ma per quanto la Preside sia stata inopportuna, resta il fatto che questa è la classica opportunità che potrebbe non ripresentarsi mai più per loro - in fondo un sacco di scolaresche nascono vivono e muoiono senza fare alcun incontro con alcun assessore. Inoltre St. Mary Mead è quel tipo di paese piccolo ma partecipativo che ha un rapporto piuttosto stretto con i suoi rappresentanti.

Per farla breve butto alle ortiche una delle ultime lezioni di grammatica e provo a vedere se riusciamo a preparare qualche domanda, come ci è stato chiesto.
Prima di tutto controllo se conoscono la struttura delle istituzioni del territorio (stato, regioni, province, comuni, frazioni). La sanno, o almeno la intuiscono d'istinto. Un po' di spiegazioni se ne vanno per le frazioni**. Hanno anche abbastanza chiaro il rapporto tra elezioni, partiti politici e assessori.
Un po' meno sanno sulle cose di cui si occupa un Comune - il che mi sembra abbastanza scusabile.
Le domande prendono forma abbastanza in fretta e sono per lo più del tipo "Come mai a St. Mary Mead non c'è questo e non c'è quello?". In particolare si lamenta l'assenza di un cinema, o teatro-cinema, e di svariate attrezzature per la scuola. Arrivati a quota quindici li fermo: "Basta così, siete tre classi, il tempo per le domande dovrebbe essere di un'ora, non credo che riuscirete nemmeno a farle tutte".

Due giorni dopo arrivo in classe dopo l'Incontro.
"Allora, com'è andata?" chiedo festosa.
"...'nsomma....".
Hanno il muso. Si sono sentiti scarsamente considerati e piuttosto meleggiati.
Mi spiegano che l'assessore gli ha fatto un discorsetto, ha guardato i video fatti dalla scuola ma ha piuttosto latitato sulle domande.
"Ha risposto soltanto alle nostre. Le altre due prime avevano due belle liste di domande, gliele ha fatte leggere ma non ha risposto. Anche a noi ha risposto solo alle prime sette. Anzi, non ha quasi risposto. Anche quando ci rispondeva non è che ci diceva molto. Parlava un po', e spostava il discorso. A volte ci diceva che non c'erano soldi, a volte era chiaro che non sapeva che dire. A volte non ci stava a sentire perché parlava con gli altri".
Nel complesso, è stato per loro un incontro deludente: la Prima d'Ogni Grazia Adorna è composta da ragazzi gentili e ben educati, ma non meno polemici e suscettibili dei loro coetanei.

L'occasione di incontro con l'assessore non era inevitabile. Non c'erano feste nazionali, ricorrenze europee, giornate mondiali dell'Armadillo Candito o del Cormorano Verde a imporla. Si poteva comodamente non fare, nessuno ne avrebbe sofferto e non per questo i ragazzi si sarebbero vista preclusa la possibilità di un proficuo e fecondo contatto con le Istituzioni.
MA, signori del Comune,
se proprio volete incaponirvi a fare certe cose,
allora, cazzo, fatele per bene. 
QUELLI sono i vostri elettori. Tra sei anni ve li troverete nella cabina con la matita copiativa in mano. E si ricorderanno che li avete fatti andare in Comune per cazzeggiarci un po' senza ascoltarli.
Era un'ottima occasione. Dovevate corteggiarli, blandirli, inzuccherarli, farli sentire partecipi e importanti. Dargli l'aria di prenderli totalmente e completamente sul serio. E non girare intorno alle domande. Dovevate trasmettergli l'idea che VOI siete persone pragmatiche e accorte, perfettamente consapevoli di quel che fate, dotati di grandi orizzonti ahimé tarpati dalla triste realtà dei tagli agli enti pubblici.
Insomma, avreste dovuto fare i politici.

*com'è abituata a fare. Credo che per lei il concetto di "programmazione" sia legato esclusivamente ai palinsesti televisivi (o forse anche radiofonici).
**del resto, qualsiasi insegnante di matematica può confermatlo: le frazioni possono rivelarsi un argomento critico, che necessita di spiegazioni molto accurate...

martedì 16 luglio 2013

Prove Invalsi: il punto di vista dell'Amazzonia

Questa meraviglia in verde è chiamata anche "il polmone del mondo". E' interesse di tutti noi proteggerla.

Parlando delle Prove Invalsi e di coloro che le preparano* desidero soffermarmi sul Questionario, analizzandolo da un punto di vista principalmente forestale.
In un'epoca in cui un pallido barlume di consapevolezza ci spinge (giustamente) a mettere contenitori per il riciclaggio della carta usata anche al cesso, quando perfino lo Stato, amante degli sprechi per definizione, è diventato pitocco con la carta e non ci stampa più né le buste paga né il CUD e nemmeno il modulo per il 730, all'Invalsi sono rimasti dei gran signori (oltre che dei grandissimi cornuti) che, quando si tratta del questionario, non badano a spese.

Quello che vado ad analizzare nello specifico è il Questionario distribuito agli alunni di prima media e da loro compilato al termine delle due prove di Italiano e Matematica. Si tratta di un quaderno propriamente detto, ovvero quattro fogli in formato A3 spillati al centro, che formano un fascicoletto di sedici facciate in formato A4. La carta è di una delicata nuance di grigio perla - il che potrebbe magari significare che si tratta di carta riciclata, ma non è detto.

La prima facciata è la copertina. E facciamo conto che una copertina sia indispensabile.
La seconda facciata fa da risguardo ed è completamente vuota.
La terza facciata è piena e contiene le istruzioni. Si potrebbe forse discutere se era necessaria un'intera paginata di istruzioni per la maggior parte già ripetute due volte nelle due prove precedenti, insieme alla raccomandazione di rispondere in modo accurato, ma insomma all'Invalsi le han trovate indispensabili e messe lì.
La quarta e la quinta facciata sono riempite per circa 3/5, e contengono affermazioni sull'italiano e la matematica a scuola. Lo studente deve indicare in che misura è d'accordo con quanto detto.
In pratica, invece di domandare "Vorresti fare più matematica a scuola?" con risposta a scelta tra "Piuttosto mi impicco" "Francamente preferirei di no" "Potrebbe essere un'idea" e "Volentieri, grazie" scrivono"Mi piacerebbe fare più matematica a scuola" con possibilità di scelta per lo studente fra "Per niente d'accordo" "Poco d'accordo" "Abbastanza d'accordo" e "Molto d'accordo".
Immagino che dietro questa scelta strutturale ci siano profonde e valide motivazioni psicologiche; comunque nessuno me le ha spiegate e in me permane il sospetto che se mi avessero messo davanti una roba così a undici anni avrei pensato qualcosa di molto scortese sulle loro contorsioni mentali. D'altra parte è pur vero che, quando rispondo ai questionari per i giochini su Facebook, la struttura delle cosiddette "domande" è appunto questa - e infatti li trovo piuttosto contorti.
La sesta e la settima facciata sono piene per 4/5 e contengono affermazioni sullo studio e sullo svolgimento delle prove Invalsi.
L'ottava facciata contiene qualcosa che, in cotal questionario, non si era ancora vista, ovvero una domanda. Una sola, però.
"Quanti libri ci sono a casa tua (esclusi i libri di scuola)?"
Sotto c'è il disegno di un piccolo quadratino che equivarrebbe a cinque libri, poi una serie di ben cinque possibilità di risposta: fino a 10 libri (ovvero due quadratini), una mensola (qui equivalente a 25 libri, ovvero cinque quadratini), uno scaffale (in questo caso formato da quattro mensole, quindi 100 libri, ogni scaffale con i suoi bravi cinque quadratini per un totale di venti quadratini) oppure due mensole o tre mensole e più. Per goni possibilità c'è il suo bel disegnino.
Ora, per quanto corra voce che gli studenti italiani spesso mostrino di non avere un buon rapporto con la matematica, tuttavia credo che la gran parte di loro, arrivata in prima media, abbia assorbito il concetto  di decina, di centinaio e financo di migliaio, senza dover più ricorrere ai cubetti e parallelogrammi che hanno allietato il loro primo approccio con i numeri.
Comunque, l'intera facciata se ne va con questi disegnini. Confesso che la domanda mi sembra un po' fine a sé stessa: che gli italiani leggono poco è cosa abbastanza nota, e tuttavia mi sembra che il numero di libri non sia un indicatore molto attendibile per il livello culturale di una famiglia - almeno informarsi sulla presenza di riviste, CD,DVD, e-book,  riproduttori di musica?
La nona facciata è piena. Non solo, ma contiene due serie di domande dall'apparenza sensata sulle attività extrascolastiche dello studente (senza alcun riferimento alla musica, ma immagino che non si possa avere tutto dalla vita).
La decima facciata è piena per 3/4 e contiene domande dall'apparenza parimenti sensata sulla situazione logistica in cui lo studente studia e sulla lingua principale parlata in casa.

L'undicesima facciata è piena per 4/5 e meriterebbe da sola ai cornutissimi funzionari Invalsi una bella visita da parte di una schiera di ucorni** particolarmente di malumore.
Contiene tre domande, e tutte perfettamente inutili:
"In che mese sei nato/a?" con dodici possibilità di risposta;
"In che anno sei nato/a?" con sei possibilità di risposta;
"Sei femmina o maschio?" con due sole possibilità di risposta e la raccomandazione "Metti la crocetta su un solo quadratino" - che mi sembra un po' limitativo. Cosa dovrebbe fare Ranma, per esempio? 
Il punto è che, quando apriamo la schermata legata al codice di un alunno, troviamo già compilati i campi del sesso e della data di nascita. Perché glieli devono compilare di nuovo, e in questo modo farraginoso? Perché incomodano dei bravi ragazzi che (purtroppo) non gli hanno mai fatto nulla di male per chiedere dati già in loro possesso?

La dodicesima facciata contiene una domanda su chi aiuta lo studente nei compiti (che tutto sommato può avere un suo perché) più una domanda dall'apparenza piuttosto peregrina sul numero di fratelli o sorelle dello studente.
Ora, a parte il fatto che, volendo, in Italia abbiamo l'anagrafe dai tempi delle invasioni napoleoniche, e non funziona nemmeno male; ma si può sapere che accidente gliene frega all'Invalsi di quanti fratelli e sorelle hanno gli sventurati alunni sottoposti alle loro prove?
Senza contare che, con le famiglie allargate, è diventato abbastanza consueto che un giovinetto abiti con giovinetti che non sono suoi fratelli ma che lui percepisce e vive come tali, e/o abbia fratelli con cui non vive.
Vabbe', sempre meglio dell'anno scorso quando si chiedeva con chi viveva l'alunno - anche lì, come se l'Anagrafe non esistesse.
La facciata è piena per 3/4 compreso un cordiale "GRAZIE per aver risposto al questionario".

Le ultime quattro facciate sono completamente vuote.

Riassumendo: abbiamo sedici facciate, cinque delle quali completamente bianche, più la facciata inutile delle informazioni che all'Invalsi hanno già, più la pagina con i disegnini dei libri, due pagine riempite solo per 3/5 e due riempite per 3/4.
Togliendo quattro delle pagine bianche si poteva fare un fascicolo di tre fogli in A3 e dodici facciate, invece che di quattro fogli e sedici facciate.
Togliendo le domande inutili si poteva fare un sobrio gruppetto di 5 fogli in A4 con dieci facciate.
Compattando un po' le domande (ad esempio accettando di sottoporre gli studenti all'intollerabile sopruso di vedere un gruppo di affermazioni o di domande spezzato tra due facciate) si poteva facilmente chiudere il tutto in due fogli in A3 per otto facciate in A4.
Qualche albero si risparmiava di sicuro.

Desidero tuttavia osservare che, rispetto all'anno scorso, qualche miglioramento c'è stato. Infatti il questionario dell'anno scolastico 2011/2012 era composto da ben 6 fogli in A4, per complessive 24 facciate. Sono stati eliminati alcuni gruppi di domande, tra cui quelle sul gradimento da parte dell'alunno delle strutture e arredi della scuola (forse per paura delle risposte?) e sulle molestie subite a scuola.
In compenso, anche l'anno scorso le ultime quattro facciate del questionario erano bianche.

Questo post ha ottenuto l'approvazione del WWF, di Greenpeace, e della LIPU e partecipa al progetto "Adotta un albero per migliorare l'ambiente"
Nessun albero è stato abbattuto per scrivere questo post!

*ovvero un gruppo composto esclusivamente da grandissimi cornuti, come ho avuto più volte occasione di osservare
**Per chi non ha mai letto o visto Il Signore degli Anelli: gli ucorni sono alberi dal carattere piuttosto ombroso, dalla grande mobilità e dalla spiccata sensibilità ecologica. Dispongono inoltre di un eccellente sistema di smaltimento rifiuti (di cui non si conoscono però i dettagli) perché dopo la battaglia del Fosso di Helm ingoiano 10.000 orchetti, eliminandoli senza lasciarne la minima traccia in giro.

domenica 14 luglio 2013

Commovente (il racconto del mese di Giugno)

Come Eowyn, anche Marfisa è una ragazza di animo intrepido


Dopo i primi tre incontri a base di giochini e considerazioni sul Bene, il Male, il Rapporto Con gli Altri, i Ricordi, i Sentimenti e il Viaggio, il Progetto Multiculturale entra infine nel vivo; e il vivo consiste nell'intervistare sotto l'occhio spietato delle telecamere tre adulti nati in terre lontane ma, ad un certo punto della loro vita, approdati in Italia e ivi stabilitisi.
Dove trovare cotali adulti? Per la Prima d'Ogni Grazia Adorna, dove sei alunni su diciotto non hanno solo italiani tra i loro ascendenti più prossimi, è stato facile: ben presto infatti è stato stabilito che i nostri intervistati sarebbero stati tre dei loro multiculturalissimi genitori, nella fattispecie una svedese e due albanesi.
Divisa la classe in tre gruppi, dove ognuno aveva il suo bravo incarico, e preparate con cura le domande, giunge anche il Gran Giorno. Un po' emozionati ma pronti al cimento i ragazzi si dispongono ai posti di combattimento, i cameraman pure, e le riprese hanno inizio.

A rompere il ghiaccio è la madre svedese, che ci racconta di come sia arrivata a Firenze per specializzarsi in restauro e di come nei primi mesi si sia sentita sola e isolata*. In qualche modo, comunque, a un certo punto deve avere allacciato qualche contatto umano al di fuori della pensione dove alloggiava, perché ha finito per sposarsi un indigeno e scodellarci una bella bambina bionda con gli occhi azzurri ormai saldamente avviata verso l'adolescenza.

Quando entrano in scena Europa e Ulisse, i due albanesi, il tono cambia drasticamente. 
Europa arrivò con un barcone, per curarsi da qualcosa che la stava uccidendo e di cui laggiù non venivano a capo** - ed era il secondo barcone, perché il primo tornò indietro, con gli elicotteri della polizia che ruotavano minacciosi su di loro,  riuscendo ancora a galleggiare più per caso che per altro, tanta era l'acqua che imbarcava. Il secondo barcone invece approdò sulle coste italiane e i migranti vennero sbarcati ancora vivi, per quanto piuttosto provati, e prontamente abbandonati dagli scafisti senza nemmeno un panino o un'aranciata per fargli compagnia. Dopo diverse ore e parecchi chilometri raggiunsero in ordine sparso una strada e fecero l'autostop. Quelli che scarrozzarono Europa e suo marito fino alla più vicina stazione ferroviaria erano anche disposti a offrirgli la colazione, ma Europa era terrorizzata e non conosceva la lingua, così rispose di no. Gli erano comunque rimasti un po' di soldi. Fecero il biglietto, salirono sul treno e all'altra stazione erano attesi. Tramite la Caritas e il tanto vituperato Sistema Sanitario Nazionale Europa venne curata, e anche se in Albania le avevano assicurato che non avrebbe mai potuto avere figli ce ne ha scodellati due, sani e robusti,  uno dei quali sta seduto in silenzio, con gli occhi grandi come ruote di carro, ad ascoltare il racconto.
"Non la conoscevi, questa storia?" gli chiedo, a bassa voce. Scuote la testa. E' tutto nuovo, per lui come per noi.

Per Ulisse fu ancora più complicato: di barconi all'epoca non c'era neanche da parlarne così lui e il suo gruppo vennero a piedi passando per l'ex-Iugoslavia, allora in guerra. Ogni tanto qualcuno gli prendeva dei soldi e gli indicava un punto dove avrebbero trovato qualcuno che li avrebbe accolti, e regolarmente non trovavano nessuno. I giorni di digiuno non si contano, la paura mentre i soldati intorno a loro sparavano nemmeno. Con l'accendino scaldavano la batteria dei cellulari quel minimo che bastava per mandare un SMS a casa per avvisare che erano ancora vivi. Arrivare in Italia non fu la fine dell'incubo, perché per molto tempo rimasero in assoluta clandestinità e anche chi gli dava lavoro rischiava***. La sposa Penelope e la piccola Marfisa passarono tre anni senza vederlo, e qualche altro anno prima di ricongiungersi con lui in Italia. E anche Marfisa, che ai tempi dell'epico viaggio aveva pochi mesi, ascolta con grandi occhi spalancati una storia che nessuno le aveva mai raccontato.

Finita l'intervista i tecnici raccolgono l'attrezzatura e se ne vanno, insieme alla madre svedese che deve entrare al lavoro. Europa e Ulisse restano, e i ragazzi continuano a fare domande. Anch'io comincio a farne. Per un'ora i due epici viaggi e il drammatico tempo dell'ambientazione vengono sviscerati e dettagliati, e ogni dettaglio è più epico del precedente. 
I compagni conoscono questi genitori e sono cresciuti con i loro figli: giocano a calcio nella giovanile del paese, hanno condiviso gare, compleanni, passaggi in macchina, merende, pranzi e cene collettive. Improvvisamente, queste figure umane consuete del loro paesaggio si sono trasformati in eroici viaggiatori, rivelando una parte della loro storia del tutto inimmaginabile. L'impatto della rivelazione è forte e ha scosso tutti. Nonostante il Progetto sia piaciuto nel complesso, le relazioni dei ragazzi parlano quasi soltanto delle interviste (con l'unica eccezione, si capisce, dei figli degli intervistati).

Passano le settimane e arriva la festa di paese in cui il filmato (che è venuto molto bene) viene proiettato. Ai ragazzi viene chiesto di leggere, prima della proiezione, passi scelti delle interviste. A sorpresa Marfisa, la figlia di Ulisse, si offre per leggere gli stralci del racconto di suo padre. E' una ragazzina quieta e introversa che non alza mai la voce, ma legge il racconto con voce forte e chiara, mentre i due genitori si sciolgono in lacrime cercando di non farsi notare.
Mentre li guardo e la ascolto ho l'impressione di partecipare a qualcosa di particolarmente solenne, una specie di rito magico. Forse di riconciliazione. Ma riconciliazione con che? I rapporti in famiglia sono buoni, per quanto mi risulta, i rapporti con l'Italia anche: Marfisa è qui da pochi anni ma ha una vita sociale assolutamente nella norma ed è apprezzata da tutti. Straniera, ma tutt'altro che estranea o emarginata.
Forse è qualcosa di diverso: la figlia ha voluto affermare in pubblico il suo orgoglio per quel che il padre ha fatto e sopportato per lei, rivendicando quel terrificante viaggio fra le glorie  della sua famiglia. 
In tutti i casi è stata una scena molto commovente e sono convinta che parteciparci ha fatto di me una persona migliore.

I rapporti con i tre Viaggiatori sono cambiati: adesso, quando ci incontriamo, ci facciamo grandi feste e ci salutiamo come vecchi amici che hanno condiviso, poniamo, l'assedio di Minas Tirith - un'altra cosa che non mi era mai successa.

*infatti noi fiorentini godiamo dell'immotivata reputazione di non essere accoglienti ; ma si tratta solo di biechi pregiudizi, perché una volta che ci siamo abituati agli estranei (il che avviene immancabilmente entro  dieci-quindici, massimo venti anni) poi smettiamo di far finta che siano trasparenti e arriviamo perfino a invitarli a casa nostra a cena o per il tè.
**Come mai ha viaggiato da clandestina, se veniva per cause mediche? Non ne ho la minima idea e mi sono ben guardata dal fare domande in proposito.
***Traendone comunque il suo bravo tornaconto. Ma questa è un'altra storia.

venerdì 12 luglio 2013

Il castello errante di Howl - Diana Wynne Jones



Ebbene sì, prima di essere un meraviglioso film di Miyazaki, Il castello errante di Howl è stato un romanzo della scrittrice inglese Diana Wynne Jones, pubblicato nel 1986 nonché cospicuamente insignito di premi letterari per la letteratura fantastica e per ragazzi (e, soprattutto, per la letteratura fantastica per ragazzi). 
All'epoca in Italia l'autrice era ancora sconosciuta; più avanti, a partire dai primi anni 90, Salani la mise in catalogo. Il castello venne ignorato fin quando, nel 2004, uscì il film di Miyazaki (come sempre pubblicizzato poco e male in Italia). A quel punto si mosse la Kappa  Edizioni, una piccola casa editrice nata come costola di una ben più grande casa editrice specializzata in fumetti e con un grosso settore dedicato ai manga*(che è il nome spocchioso con cui noi appassionati chiamiamo i fumetti giapponesi che, di  fatto, sono fumetti come tutti gli altri), che nel 2005 decise di offrire a tutti coloro che veneravano Miyazaki come un dio sull'altare** il romanzo da cui il film era stato tratto, e poi i suoi due seguiti. 

Il romanzo non è all'altezza del film (sarebbe quasi impossibile) ma è un ottimo romanzo di genere fantastico scritto in modo assai piacevole e divertente, con un bell'intreccio che si sdipana in modo graduale, chiaro ma complesso - in particolare il personaggio di Howl si svela molto lentamente nei suoi vari strati - e un tema di fondo che è l'importanza di guardare al di là delle apparenze.
Ma veniamo a spiegare il titolo: il castello errante è, per l'appunto, un castello che viaggia, non solo nello spazio ma anche tra universi paralleli. Appartiene al bellissimo mago Howl ed è mosso da un demone del fuoco, tale Calcifer - entrambi piuttosto ospitali, nonostante la nera reputazione che si portano dietro.
Il castello ha quattro aperture, o meglio la maniglia dell'unica porta ha quattro possibilità di aprirsi: su tre luoghi diversi del paese di Ingary (in un mondo abbastanza simile all'Europa di fine Ottocento ma dove la magia è conosciuta, studiata e applicata) e, quarta possibilità quasi mai utilizzata, sul mondo dei nostri giorni. Nonostante l'apparenza imponente, il castello all'interno contiene poche stanze e un cortile ed è presente contemporaneamente nei quattro luoghi fisici.
Al castello sulle colline davanti alla città approda una sera una povera vecchietta stanca, dolorante e infreddolita, tale Sophie, che fino a quel mattino era una giovane e stimatissima fabbricante di cappelli con tanto di negozio. Howl non la manda via - non manda mai via nessuno che bussi alla sua porta ed è anche molto flessibile per quel che riguarda prezzi e pagamenti per le sue magie. Tra Sophie, Howl, l'apprendista mago Michael e il demone del fuoco Calcifer si instaura presto una tranquilla convivenza. 
Su Howl però incombe una maledizione, talmente complicata che per molto tempo si fatica a identificarla come tale...

Consigliato dagli undici anni in su e a tutti gli amanti del genere. Più che per l'ombrellone, direi che è particolarmente indicato per i pomeriggi sotto gli alberi al fresco, o per le ore del dopopranzo prima di tornare in spiaggia.

Con questo post partecipo ai Venerdì del Libro di Homemademamma e, come sempre, auguro felici letture a chiunque passi da queste parti.

*
ovvero la Star Comics
**ovvero qualsiasi persona amante del cinema di animazione e provvista di un minimo di buon gusto

mercoledì 10 luglio 2013

Come trasformare un back up di dati in una sfida verso l'impossibile (post surreale ma divertente, a modo suo)

Com'è noto, la leggendaria nave Enterprise è stata costruita per "arrivare là, dove nessuno è mai giunto finora"

Col tempo e la pazienza è anche cominciata la catalogazione al computer dei libri della biblioteca scolastica di St. Mary Mead, grazie a un programmino mignon costruito in Excel dal prof. Jorge. Per adesso i libri inseriti non sono tantissimi, ma insomma qualosa abbiamo fatto.
Un bel mattino di Giugno mi telefona la Responsabile delle Biblioteche dell'Istituto Comprensivo. Adesso che la fine dell'anno si avvicina, vorrei gentilmente fare una copia dei dati, così la conservano insieme alle copie dei dati degli altri plessi nel loro ufficio?
La richiesta ha tutti gli estremi della ragionevolezza, MA io so che c'è un problema. E provo a spiegarglielo: il prof. Jorge infatti ha montato sull'arcaico computer della biblioteca un vecchio Windows 98, e a suo tempo mi spiegò che fare un salvataggio dei dati su chiavetta sarebbe stato un problema. Sempre a suo tempo, avevo registrato in cuor mio la cosa con preoccupazione, ma poi avevo accantonato la questione perché in quel momento  l'inserimento dei dati sembrava ancora una questione remota; ma poi i mesi erano passati, i lavori erano andati avanti e il tempo dell'inserimento dati era in effetti arrivato.
Prometto comunque che farò il possibile, e vado a parlare con Jorge.

Dopo aver mostrato un certo stupore davanti alla stravagante idea di fare il salvataggio dati di un archivio informatico, Jorge mi spiega che Windows 98 non registra i dati sulle moderne chiavette perché non le riconosce. Guarda caso, la chiavetta che avevo ottenuto* a tal scopo dalla Segreteria era proprio di tipo moderno, e invece ci voleva una chiavetta degli anni intorno al 2000. Se io avessi avuto una chiavetta di quegli anni... Altrimenti si poteva fare con un floppy. Avevo per caso dei floppy?
Nego risolutamente. In realtà a casa mia ho un gruppetto di floppy, bei ricordi del tempo andato, e anche la scuola ne possiede qualcuno, sparpagliato qua e là. Purtroppo, guarda tu i casi della vita, ormai da parecchi anni i computer non hanno più i lettori da floppy, il che è molto crudele da parte loro, ma è così che va il mondo, e del resto anche Jorge ormai avvia l'automobile con l'accensione elettronica, invece che girando la manovella, per quel che mi risulta. Il progresso incalza, non è più il tempo che Berta filava e qui la smetto con la sagra del luogo comune.
"Non si potrebbe montare un Windows più recente?" provo a suggerire. Come prevedevo, mi spiega che si può ma è un lavoro lungo e lui in questo momento non ha tempo.
In cuor mio mi rallegro assai che la nostra biblioteca risulti gerarchicamente subordinata a quella della scuola elementare e che quindi siano loro a dare gli ordini a noi e non viceversa - perché so benissimo che se fossi stata solo io ad impuntarmi per fare copia periodica dei dati il prof. Jorge non si sarebbe facilmente preoccupato della questione. Invece, davanti agli Ordini dall'Alto, qualcosa deve pur fare.
E infatti a casa sua scova una chiavetta di prima dell'unità d'Italia, e con quella riesce a salvare i dati e financo a trasferirli al computer in Sala Professori. Lì non posso aprire il file dei dati per controllarlo perché il computer di Sala Professori non ha Excel** ma preparo una bella mail per la Bibliotecaria in Capo e metto in allegato sia l'archivio in Excel che la relazione di fine anno sulla biblioteca.
Spedisco. O meglio, provo a spedire. Perché la casella postale di Libero non ci riesce, in quanto l'allegato è troppo pesante. 170 libri con sei campi a libro, vi renderete conto, sono un file assai pesante, e come se la cavino alla Biblioteca Nazionale Centrale davvero non so. A quanto sembra, i programmi per compattare i dati aspettano ancora di essere inventati (e anzi sarebbe ora che qualcuno si sbrigasse a farlo).
Così copio il tutto sulla Chiavetta Troppo Moderna e decido di improvvisarmi piccione viaggiatore andando di persona alla Scuola Elementare (trenta metri di strada).

Lì la Bibliotecaria in Capo mi aspetta festosa. Le consegno la chiavetta borbottando qualcosa sulle pelli di orsi non ancora catturati che non è prudente vendere - e infatti, alla prova del computer, risulta esserci la cornice del programma ma senza dati. Invano la Bibliotecaria in Capo prova ad aprire il back up prima su un computer più moderno del primo e poi su una specie di relitto geologico di epoca villanoviana: l'archivio si apre senza problemi sia sull'uno che sull'altro, ma è desolatamente vuoto in entrambi i casi.
Come ultima possibilità viene chiamata Sua Maestà la Maestra Tina, una sorta di nume tutelare della scuola. Costei arriva, esamina la situazione, poi ricorda che a suo tempo il prof. Jorge le aveva spiegato che, aprendo un dato menù, impostando una data funzione e facendo tre saltelli in avanti e altri tre all'indietro, alla fine l'archivio sarebbe apparso.
Il tutto viene eseguito e l'archivio appare, in tutti i suoi ben 170 volumi catalogati.
Grandi festeggiamenti, stappiamo lo champagne, poi Maestra Tina se ne va promettendo che chiamerà il prof. Jorge per vedere se si può semplificare un tantino la procedura.
E' una donna di notevoli risorse, e ci sta pure che riesca nel suo intento.

*sì, perché il problema me lo ero posto. Ero al corrente che esiste una procedura chiamata "salvataggio dati", piuttosto comoda quando si gestiscono archivi informatici.
**C'è Open Office ma non c'è Excel. Non saprei dire il motivo, ma stante che chiunque voglia infilare tre dati in croce oggigiorno "apre una tabella in Excel", tutto questo ci complica non poco la vita, perché il chiunque in questione deve andare a fare o aprire la sua tabella in qualche computer del laboratorio di informatica, detto e non concesso che ne trovi uno funzionante (il che non è poi così scontato).