Il mio blog preferito

giovedì 29 gennaio 2015

Consiglio di Classe col botto

(non lo sapevo, ma il Muro del Suono ha una sua apparenza fisica)

Prescrutini paciosi per la Prima Effervescente.
"Come vanno le programmazioni?".
"Tutto bene".
"E come funziona la classe?". 
"Funziona bene, a parte la Poverella".
"Eh, ma la Poverella, si sa".
"Vabbe', allora passiamo alle proposte per il voto di condotta".
"Massì, passiamo alle proposte del voto di condotta".
E stavamo appunto paciosamente questionando se a Ermengarda andava messo otto o nove (per la cronaca, stava prevalendo il nove).
Poi un tremito, un forte tremito. Le finestre si scuotono bruscamente. I vetri sembrano voler schizzare verso l'alto. E un boato. Forte.
"Il terremoto?!?"
"Accidenti che scossa!"
"Scappiamo?"
"SCAPPIAMO!".

Otto anguille guizzano a tutta velocità fuori dalla scuola. Il tragitto è molto breve, ma lo compiamo davvero a tempo di primato.
Fuori però non trema niente, tranne Inglese che ha lasciato dentro la giacca.
La Custode, che è scappata perfino più in fretta di noi, ha già raccolto informazioni.
"Prof, sembra un esplosione, più che un terremoto".
L'unica esplosione che ho sentito in vita mia è stata quella della notte dei Georgofili, nel 1993, ma era molto diversa. Comunque per me esplosione = attentato, e un attentato a St. Mary Mead mi suona abbastanza improbabile.
"Sarà stata la caldaia?" suggerisce Fisica guardando con sospetto il fumo bianco-grigio che esce dal comignolo della scuola.
"Mah, non si direbbe".
"Veniva da giù" osserva la Custode "Dove c'è la ferrovia".
Le fa eco un treno che, poco più sotto, si snoda tranquillo.
La Palmina armeggia col cellulare. Da qualche tempo controlla spesso le scosse di terremoto, perché giura di sentirne moltissime anche se leggere (dopo le scosse di Dicembre tutti abbiamo imparato che esistono siti internet che segnalano tutte le scosse di tutta Italia).
"Qui non dice niente" assicura "Segnala solo una piccola scossa stamani, ma da tutt'altra parte".
Qualcuno chiama qualcun altro che lavora in non so quale ufficio per la sicurezza: siamo a St. Mary Mead, dove tutti hanno cognati o amici carissimi che lavorano proprio lì, dovunque sia il che ti serve.
Dall'alto vediamo i bambini delle elementari, prontamente fatti uscire, che scorazzano giocosi. Più che un terremoto o un attentato sembra un idillio, di quelli di Teocrito.
"Se ci dicessero che non è un terremoto io rientrerei a fare i Consigli" osserva Inglese leggermente livida per il freddo "Tanto, se non li facciamo oggi ci tocca farli in un altro giorno".
"Vai a prendere la giacca, intanto, altrimenti non farai più nessun Consiglio!".
Inglese prova a seguire il suggerimento ma si ferma ben prima della soglia "Non ce la faccio" confessa.
Qualcuno va a prenderle la giacca e ne approfitta anche per recuperare due cellulari e una borsa.
Infine Tecnologia smette di parlare al telefono. 
"All'Ufficio dicono che non è stato né un terremoto né un esplosione, ma un aereo che ha rotto il muro del suono*".
"Un CHE?".
"Un aereo che ha rotto il muro del suono".
Ci guardiamo straniti.
"Si, sembra che faccia proprio così quando un aereo rompe il muro del suono".
"Beh, questo non ha rotto soltanto il muro del suono" stabilisce Inglese irritata.
Tutti ne conveniamo.

Per farla breve rientriamo, un po' infreddoliti, e proponiamo rapidamente voti di condotta per tutti. Inizia poi il Consiglio successivo, mentre scrivo un rapido verbale: "Intorno alle ore 15.30 la seduta è bruscamente interrotta per una violenta scossa dovuta a un aereo che ha rotto il muro del suono. La seduta è ripresa dopo un quarto d'ora".
Sono sempre molto precisa, quando scrivo i verbali.

*L'aereo, o forse gli aerei, stavano inseguendo un aereo sospetto che sembra essersi poi rivelato per niente sospetto. Una piccola ricerca mi ha permesso di scoprire che negli anni 40 del secolo scorso la rottura del muro del suono da parte di un aereo era evento relativamente comune, mentre poi è andato scomparendo. Questo spiega anche perché nessuno di noi lo ha minimamente riconosciuto.

venerdì 23 gennaio 2015

Maus - Art Spiegelman


Il romanzo (a fumetti) che presento per questo Venerdì del Libro è un grande classico, praticamente un totem, carico di tutti i premi e le onoreficenze che un libro può raccogliere. Giustamente, perché è molto bello, oltre che molto angosciante.

E' una storia di topi, gatti, cani e altri animali. I gatti, ahimé, sono i nazisti - e non sono certo i gatti più simpatici della storia del fumetto; e immagino sia inutile spiegare chi sono i topi, visto che la parte centrale della storia si svolge negli anni 30 e 40.
Si tratta di un romanzo che è autobiografico, storico, di formazione, di contrasto generazionale e pure esistenziale, il tutto in meno di 300 tavole - un vero affare per chi lo compra, perché si porta a casa un libro dove c'è sempre qualcosa di nuovo da trovare per quante volte sia stato letto e riletto, e che può accompagnarti in tante diverse stagioni della vita. Ora che ci penso la parte autobiografica è addirittura doppia, perché riguarda la vita sia del padre che del figlio: il padre narra la sua vita fino alla fine della guerra, il figlio racconta il suo rapporto col padre - che segna con molta forza la sua vita.

Ed eccolo qui, il figlio, genialmente ritratto nella quarta di copertina:
tutto carino e azzimato, la lunga coda che schiocca elegantemente nell'aria, mentre ascolta con gli occhi sgranati e le orecchie bel dritte i racconti del padre. Un padre, Vladek, che sanguina storia, come ci ricorda il titolo della prima parte.

Si comincia in Polonia, quando il padre era il giovane e fascinoso rampollo di una ricca famiglia, rincorso e conteso da tutte le topoline del suo ricco ambiente, che facevano follie per lui. Arriva poi l'amore vero, quello di una vita: sarà Anja, topolina di famiglia ancor più ricca della sua ma con una certa tendenza alla depressione che certo non le sarà di aiuto negli anni a venire. Il loro matrimonio è felice, le casse di casa ben piene - grazie anche alle vaste proprietà della fortunata coppia, il loro amore profondo e sincero...
E arriva la guerra, che per la Polonia non andò affatto bene; e arrivano le persecuzioni dei nazisti occupanti, insieme a una paura onnipresente, a difficoltà di tutti i tipi, alle fughe continue e non sempre riuscite. Il ricco patrimonio se ne va giorno per giorno per sopravvivere, ma alla fine arriva anche la deportazione: il viaggio sui treni della morte, il freddo, la fame e la fatica ad Auschwitz, le umiliazioni, la perdita dell'identità, l'infinita angoscia:
Nonostante tutto i due ce la faranno e, dopo la fine della guerra, abbandoneranno l'ingrata Europa per emigrare negli Stati Uniti - dove il colto e raffinato Vladek non imparerà mai la lingua a perfezione, e infatti il suo racconto al figlio sarà in un inglese corretto ma "da straniero".

Ma non è una storia a lieto fine: non può esserci un vero lieto fine per chi ha passato un esperienza di quel tipo: i fantasmi degli anni neri della guerra e soprattutto dei campi di sterminio continuano a perseguitare non solo i pochi sopravvissuti, ma anche i loro figli: restano la diffidenza, gli incubi, la paura - ricordi e paura con cui si continua a fare i conti per tutta la vita, e che spesso dalla vita ti allontanano. Alla fine della narrazione Art-topo rimane con molti interrogativi e una maggior consapevolezza del carico che si è portato addosso tutta la vita e che i genitori gli hanno involontariamente trasmesso - qualcosa che nemmeno la sua compagna, la simpatica e comprensiva topolina Françoise, riesce a capire davvero, nonostante la forza del suo legame con Art.

Visto che è un fumetto, dovrei parlare dei disegni; peccato però che di disegno io non capisca nulla. Perciò mi limiterò a dire che trovo sbalorditiva la quantità di cose che Spiegelman riesca a raccontare attraverso l'uso del bianco, del nero e dell'infinità di sfumature di grigio che adopera; e che la sceneggiatura è superlativa:


Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, con la speranza di un mondo migliore per i nostri figli.

lunedì 19 gennaio 2015

Vibratori e senatori a vita: un insolita accoppiata

Char Aznable è un pilota tre volte più veloce degli altri; è ragionevole quindi presumere che un vibratore da lui sponsorizzato vibri tre volte più degli altri 

Con le dimissioni di Napolitano ho colto l'occasione per avviare le lezioni sulle istituzioni italiane. 
"Il Senato è composto da 315 senatori, che devono avere almeno 40 anni, più un gruppo di senatori a vita. Ogni presidente della repubblica ne può nominare fino a cinque, scegliendoli tra le personalità che hanno dato lustro all'Italia".
"Cioè?" chiede il Noce.
"Per esempio premi Nobel, oppure direttori d'orchestra di chiara fama, artisti, scienziati,  politici... anche grandi personalità dell'industria, per esempio..."
"Cioè se uno produce vibratori può diventare senatore a vita?" salta su Wasp.
Resto interdetta. Ma da qualche tempo Wasp ha una specie di fissazione per i vibratori e li tira in ballo nelle circostanze più strane (del resto, non so immaginare una circostanza pertinente per parlare di vibratori in una classe delle medie, salvo le lezioni di Educazione all'Affettività).
"Ma... veramente... non sono prodotti che muovano grosse quote nel prodotto interno...".
"Mettiamo che io faccio vibratori e ne vendo una quantità enorme, in tutto il mondo".
Rifletto. "Nel mondo ci sono circa quattro miliardi di potenziale utenza per i vibratori... sì, in teoria sarebbe possibile ma...".
"Ma insomma, io vendo vibratori e preservativi e divento senatore a vita? Bella roba!".
Sono sempre più sconcertata "Ma, scusa, cosa c'è di male a vendere vibratori e preservativi? I vibratori apportano piacere, i preservativi salvaguardano la salute... a parte che di solito non li fa la stessa ditta...". Almeno credo. Al massimo, li venderà lo stesso negozio.
"Ma non va bene!" grida Wasp indignato. 
Guardandolo, chiunque sarebbe portato a credere che i vibratori li abbia tirati in ballo io, auspicando la nomina a senatori a vita per i loro produttori.
"Perché no? Uno dei nostri senatori a vita produceva automobili, che inquinano e possono causare gravi incidenti...".
Wasp vibra di indignazione all'idea di questo fantomatico senatore a vita che ha risollevato le sorti dell'economia italiana vendendo vibratori (e preservativi) in tutto il mondo, nemmeno costui fosse stato nominato senatore a vita ieri mattina. La classe lo guarda piuttosto stranita.
"Vi ricordo che una buona parte del nostro prodotto interno viene dalle fabbriche di armi, le quali armi vengono vendute a tutti i paesi in guerra i quali si indebitano gravemente per pagarle e trascurano i raccolti perché sono troppo impegnati a picchiarsi e così la gente muore di fame. Ti sembra un modo più rispettabile per guadagnarsi da vivere?".
"Sì, ma i vibratori...".
Il Noce prova a spiegargli "Le armi uccidono e feriscono, con i vibratori invece la gente è contenta"; ma Wasp non è convinto e continua a protestare contro l'improbabile magnate diventato senatore a vita grazie al monopolio internazionale sui vibratori.
Decido di riprendere in mano la situazione "Inoltre tutti gli ex-Presidenti della Repubblica diventano senatori a vita...".
La classe accetta di buon grado il cambio di argomento, e il Noce dà una gomitata a Wasp perché ricominci a scrivere.

In questo periodo Wasp è ancora più strano del solito. E non è l'unico, là dentro.
(Tra l'altro non so nemmeno se esistono ditte italiane che producono vibratori).

sabato 17 gennaio 2015

Attila va in vacanza (il racconto del mese di Ottobre)

Ritratti di Attila non ce ne sono rimasti - ma niente ci impedisce di pensarlo come un giovine prestante

Una mattina la prof. Quadrella (Funzione Strumentale Inserimento) mi annunciò che presto avrei avuto un nuovo alunno per la Terza Casinista, fresco fresco dalle pianure dell'Europa dell'Est: "Appena arrivato, e non sa una parola di italiano".
"Glielo insegneranno i compagni" dissi fiduciosa "E poi farà il corso di alfabetizzazione, no?"
"No, perché a causa dei tagli eccetera eccetera adesso gli spettano solo dieci ore di alfabetizzazione, e cinque con il mediatore culturale".
Sgranai gli occhioni.
"Cos'è, uno scherzo? Non è possibile alfabetizzare nessuno con dieci ore!".
"Sembra che potrai chiedere i soldi del Fondo di Istituto, presentando un progetto".
Entusiasmante, considerato quanto la DS piangesse miseria ormai da mesi.
In cuor mio ero terrorizzata: non avevo (e tuttora non ho) la minima idea di come si fa ad alfabetizzare qualcuno.
"Immagino che anche i suoi genitori non conoscano l'italiano..." azzardai.
"Abita con gli zii, che lo parlano benissimo. I suoi genitori sono rimasti a casa".
Tutto ciò era abbastanza insolito: per quel che ne sapevo di solito i genitori stranieri arrivano per primi, poi mandano a chiamare i figli quando si sono sistemati. Oppure arrivano tutti insieme, genitori e figli. Il figlio mandato in avanscoperta mi giungeva nuovo.
"Dice che in genitori hanno un ristorante, che non va molto bene.  Così l'hanno mandato qui a studiare" spiegò la Quadrella con la sua migliore aria da "Non me la contano giusta neanche un po' ."

La storia era abbastanza insolita - ma del resto tutto quel che riguardava Attila è sempre stato abbastanza insolito. Alle prove di matematica e inglese, richiesto dal mediatore sul perché fosse venuto in Italia, era seguito una pausa di silenzio e poi un discorso molto vago sulle maggiori opportunità che offriva l'Italia. Peraltro sembrava sapere poco inglese e pochissima matematica - che nemmeno gli piaceva.
Come contava di coglierle, le grandiose opportunità offerte dall'italica economia, viaggiando raso sulla sufficienza o anche sotto?

Passarono i giorni.
"Ma Attila quando arriva?".
"Quando lo iscrivono. Dice che aspettano i documenti da casa".

I documenti arrivarono a dorso di tartaruga, con calma. Nel frattempo cercai una grammatica elementare per stranieri e avvisai la Terza Casinista della novità.
La classe entrò in fibrillazione, e già prima non è che scherzasse. Decisi di cercare di cavare il meglio dalle circostanze, quali che fossero, e visto che Blackie supplicava per avere vicino il nuovo arrivato la accontentai disponendo i posti in maniera che Attila avesse vicino il Calciatore, che un po' conosceva la sua lingua parlandone una simile, Wasp, che parla inglese assai bene e il maggior numero possibile di belle fanciulle. Credo molto nell'apprendimento tra pari (o peer education, come si dice tra persone fini e colte). 
Poi aspettai, tremando in cuor mio ma ostentando grande ottimismo con i colleghi, seguendo l'adagio "chi schivare non può la propria noia, l'accetti di buon grado".
Tentai anche di convincermi che un nuovo elemento in quella classe sarebbe stato prezioso, per rompere l'incantesimo negativo in cui era bloccata. Con scarsa convinzione, ma tentai.

Infine una mattina Attila arrivò. Era un bel ragazzo, alto e assai ben fatto, con bellissimi occhi azzurri, sorriso sarcastico e gran copia di tatuaggi ben visibili grazie alla canottiera attillata che indossava. Piuttosto borchiato, anche. Gli feci un cortese discorsetto di benvenuto in inglese, esortandolo a rivolgersi con fiducia a me come a qualsiasi altro insegnante e ai suoi compagni per qualsiasi necessità, e lui mi rispose con qualche vago monosillabo e nemmeno l'ombra di un sorriso; poi attaccai la lezione. 
La classe era già notevolmente incasinata, ma con l'arrivo di Attila perse completamente la bussola: le ragazze gli ronzavano intorno come api all'alveare, i ragazzi (tranne Wasp e il Calciatore) si struggevano nella più nera gelosia e insomma portare avanti il programma si rivelò una vera impresa. 
Dal canto suo Attila sembrava singolarmente disinteressato a tutto - tranne alle ragazze che lo corteggiavano. Al primo intervallo scese al piano di sotto senza chiedere alcuna autorizzazione (poverino, non lo sapeva che doveva chiedere il permesso per scendere) e cercò di uscire per andare al bar (poverino, non sapeva che in Italia non puoi uscire da scuola durante le lezioni). Le custodi lo fermarono appena in tempo. Scoprimmo così che non aveva colazione ma solo i soldi per comprarla. A quel punto estrasse il cellulare e chiamò la zia che gli portasse del cibo (poverino, non sapeva che a scuola non si può usare il cellulare).
Una volta nutrito, chiese a Wasp se si poteva fumare in classe. Lì cominciai a dubitare della sua buona fede: eccheccazzo, nessuno in classe ha tirato fuori una singola sigaretta, nessuno sta fumando in corridoio, non c'è in giro l'ombra di un portacenere; come fai a pensare che si possa fumare in classe, per quanto straniero e perciò sprovveduto?

Al terzo giorno la classe era sull'orlo della fusione atomica, mentre noi insegnanti navigavamo nella più totale perplessità: Attila non faceva gli esercizi di matematica assegnati, non filava né tanto né poco la professoressa di inglese, girava per la classe durante la lezione di scienze offrendo in giro patatine e, ragazze a parte, sembrava sommamente scocciato di essere lì. Quel giorno, comprensibilmente, arrivò il primo rapporto, e non lo incassò di buon grado.
Gli zii ci spiegarono che anche a casa si comportava malissimo, e che voleva assolutamente tornare nel suo paese. In cuor mio disapprovai, pensando che le belle ragazze della Terza Casinista avrebbero meritato ben altro entusiasmo da parte sua, ma mi limitai a esternare la domanda che ci stavamo facendo tutti: se non voleva stare in Italia, perché mai era venuto qui?
A questo gli zii non diedero risposta rifugiandosi in un discorso dei più vaghi. Ma perfino il mio assoluto candore era ormai venato dal fiero sospetto che dal suo paese natale lui fosse scappato, né più né meno, in quanto coinvolto in qualche pasticcio assai poco commendevole.
Lo zio comunque assicurò che di Attila ne avevano entrambi fin sopra i capelli, e se non si fosse dato al più presto una regolata lo avrebbero rimandato là donde era venuto.

Dopo un paio di giorni di malattia Attila rientrò a scuola, ancor meno desideroso di prima di inserirsi nell'italico sistema di istruzione. Trattava le ragazze con blanda superiorità e i ragazzi con aperto menefreghismo, e non parliamo degli insegnanti; non mostrava alcun interesse per la lingua italiana e non parliamo della matematica e a metà della seconda settimana si addormentò platealmente per più di un ora, lasciandomi interdetta perché mai avrei creduto possibile dormire in mezzo alla bolgia che era ormai diventata la Terza Casinista, nemmeno per un povero ragazzino cinese stremato dal turno di notte. 
Lui invece dormì per più di un ora, si svegliò di malumore lamentando un forte mal di testa e andò prima a misurarsi la febbre e poi a telefonare alla zia, che venne a prenderlo. Il giorno dopo era assente.

Mancò anche nei giorni seguenti. Chiesi ai ragazzi se ne avevano notizie ma assicurarono che no, anche se avevano provato a chiamarlo. Infine la segreteria della scuola ci avvisò che si era disiscritto ed era tornato nel suo paese. Senza mandare a dire nemmeno "Crepa!" alla  sua ex-classe.
Lo trovai piuttosto scortese da parte sua - ma, in effetti, sin dall'inizio era stato piuttosto scortese con tutti noi.

Da allora non ne abbiamo più saputo niente. E, naturalmente, nessuno ci ha spiegato né perché era venuto né, tanto meno, perché se n'era andato o cosa ne sia stato di lui.
Resterà uno dei misteri irrisolti di St. Mary Mead (forse).
La Terza, comunque, continua ad essere Casinista.

mercoledì 14 gennaio 2015

L'Arte del Rinvio (sulla correzione dei compiti, ma non solo)


Sono stata una scolara assai ritardataria (e forse pure ritardata, ma questa è un altra storia): studiavo in modo irregolare, facevo le tirate per recuperare - e non sempre ci riuscivo - ma là dove veramente la mia ritardarietà brillava nel suo massimo splendore era con i compiti a casa, perennemente rimandati, perennemente fatti all'ultimo momento (e qualche volta proprio non fatti) ma mai dimenticati: l'ottima memoria che mi è arrivata in dote col corredo cromosomico materno assai raramente mi ha permesso di dimenticare qualcosa che avevo da fare; anzi tal ricordo mi seguiva e perseguitava onde permettermi di cullarmi voluttuosamente nei più assurdi sensi di colpa e avvelenarmi sottilmente le più pure e belle gioie dell'esistenza. 
Di fatto, sotto quell'aspetto, ero e sono sempre stata talmente ridicola che  già in seconda media avevo completamente smesso di prendermi sul serio e mi guardavo dall'esterno con un misto di compatimento e di autoindulgenza in cui si mescolava una certa dose di schifo; e d'altra parte quello di fare le cose all'ultimo momento è un tratto che fa talmente parte di me e della mia natura che ho dovuto forzatamente imparare a farlo convivere con un esistenza apparentemente normale - più che un difetto ho finito per considerarlo alla stregua di un handicap, come l'eccessiva vulnerabilità ai raffreddori o il mal d'auto - tutti ne abbiamo qualcuno, si sa.

Questo mi consente una certa dose di comprensione per chi occasionalmente non fa i compiti, mi aiuta a immedesimarmi in loro e occasionalmente facilita un tocco di indulgenza: io so che a volte proprio non si ha voglia di fare gli esercizi o di studiare e giustifico senza difficoltà qualche occasionale defaillance (purché mi venga detta prima dell'inizio della lezione) e accetto un rinvio nella consegna dei compiti scritti per casa: ed è anche a causa di questo mio specifico tratto caratteriale che non do mai compiti per i ponti, le settimane bianche o le gite con la famiglia e le vacanze di Natale e Pasqua - il che accresce notevolmente la mia popolarità essendo in questo una mosca bianca nella mia scuola.

Una volta passata dall'altra parte della barricata, il fatto di essere diversamente solerte si è in parte risvegliato: molte sono le lezioni che ho preparato dopo cena, e non sempre perché inderogabili impedimenti mi avevano ostacolato durante il pomeriggio - ma in fondo le lezioni preparate la sera tardi sono più facili da ricordare la mattina dopo, almeno per me.
Tuttavia con la correzione dei compiti scritti sono abbastanza brava: quasi sempre li riporto nell'arco di una settimana, talvolta anche il giorno dopo. 
Ecco, ho scritto quasi sempre.

Ma andiamo per ordine.
Da sempre ho l'abitudine di correggere qualsiasi cosa esca dalla penna delle mie classi in ambito letterar-storico-geografico - talvolta perfino i bigliettini che occasionalmente sequestro, i compiti scritti male sui diari e le frasi con cui decorano le cartelline di tecnica. Solo un barlume della più elementare discrezione mi impedisce di correggere anche quel che scrivono su Facebook (anche se quando scrivono direttamente a me cercano di stare attenti). Quasi ogni settimana gran copia di carte e cartacce transita sulla mia scrivania per poi tornare rapidamente a scuola.
Siccome la regola generale è "più scrivi e meglio scrivi", ne consegue che "più correggo, e più velocemente posso correggere, perché da correggere non c'è poi granché". 
Tuttavia, essendo io una sola persona e avendo la giornata solo ventiquattro ore, basta un piccolo intralcio (un raffreddore, una settimana con tre riunioni, un inciampo nella vita privata) perché le carte da correggere si accumulino a velocità esponenziale sommergendomi senza speranza. Il tutto si rimedia infine con qualche tirata notturna che mi vede approdare a scuola con ricche occhiaie ma la borsa piena di piccoli pacchetti di compiti più una colossale batteria di esercizi aggiuntivi di ortografia da fare per loro e da correggere per me (ma niente è più facile e veloce da correggere degli esercizi di ortografia, quindi li assegno senza esitazione), oltre a una lezione ben strutturata per gli errori più ricorrenti - anche se poi di solito, in quelle mattine, salta fuori un contrattempo per cui non ho tempo né modo di fare niente, ma questi son dettagli: prima o poi il momento arriva e gli esercizi verranno assegnati - e naturalmente anche corretti.

Poi ci sono strani e misteriosi compiti che, per strani e misteriosi motivi, rimando sempre di correggere: oggi non ci ho voglia, oggi voglio finire quel romanzo, oggi sono scossa emotivamente per quel che è successo ai miei amici, oppure decido di occuparmi di qualche grana che aspetta con pazienza da intere settimane di essere considerata, stasera devo addestrare il mio circo di pulci a fare il salto carpiato, domani pomeriggio voglio andare a fare una passeggiata con giro di shopping incluso, stasera trasmettono il Falstaff alla radio, che l'ho sentito solo 350 volte di cui almeno venti diretta da quel direttore, domani devo preparare con cura la lezione sugli oceani che devo spiegargli tra dieci giorni...
I Poveri Compiti Abbandonati stazionano sul tavolo a settimane intere, coprendosi lentamente di polvere, sorpassati dall'ennnesima batteria di frasi sul complemento di argomento o dai testi in cui i ragazzi mi raccontano di quando hanno incontrato un drago.
Ma nel mio inconscio non dimentico (e nel mio conscio nemmeno): quei compiti mi guardano, inseguendomi per tutta la casa, tampinandomi anche quando sono fuori, infelicitandomi i dormiveglia. E ogni mattina, quando entro in classe, con sadico accanimento nascosto sotto la più pura specie di innocenza, la classe chiede compatta "Prof, ci ha riportato i compiti?".
"Ehm, sì, avete fatto dei buoni dettati".
"No, prof, i compiti: quelli di due settimane fa".
Farfuglio una frase di scuse, invocando un impegno imprevisto non meglio definito. Vivaddio, un barlume di dignità mi ha sempre impedito di rispondergli male ricordandogli quel che loro non hanno fatto o studiato: in me il senso di colpa rimane senso di colpa, senza tentativi di rivoltare la frittata.

E viene infine il giorno in cui qualcosa dentro di me stabilisce che è stato ormai varcato il confine della più elementare decenza e alfine mi siedo a quel tavolo ignorando amici in crisi, balocchi e profumi in offerta speciale, la discussione in corso in rete sulla statua d'oro del secondo film dello Hobbit e i nuovi libri freschi di biblioteca - insomma compio il Grande Passo e prendo in mano quei poveri compiti tanto trascurati.
E scopro, già dal secondo, qual è stato il problema.
Fanno schifo.
Sono fatti in maniera orripilante.
Farebbero vomitare una pantegana durante l'assedio della Rochelle.
Inorridirebbero Sauron in persona (beh, persona...).
(E io, come potevo saperlo se i compiti non li avevo ancora guardati? Ma forse, distrattamente e in modo inconscio, qualcosa avevo in realtà guardato?)
Ogni tanto succede, anche alle classi più integerrime. Chi sta in cattedra si è spiegato male, oppure c'era una congiuntura lunare sfavorevole, o il compito era oggettivamente stato impostato male o quel giorno tutti quanti han deciso di lavorare coi piedi... ma insomma, anche i migliori della classe hanno clamorosamente toppato e di tutto il pacco non si salva niente. O quasi niente, che è ancora peggio perché non puoi nemmeno annullare il tutto.

Un po' schifata correggo (niente di minuzioso: gran sfoggio di crocioni e punti esclamativi, note a lato "NON ERA QUESTO che chiedeva la traccia" e simili). Via via che correggo affiora spontaneamente lo schema del compito che andrà fatto per rimediare a quello, nonché la dettagliatissima scaletta della spazzolata che la classe tutta prenderà per avere lavorato così male.

Regolarmente, terminato e impacchettato il lavoro, mi chiedo come mai nelle ultime settimane mi sono complicata tanto la vita.
E può darsi che in tutto ciò ci sia per me una lezione per me, ma è troppo profonda per le mie deboli forze.

venerdì 9 gennaio 2015

L'oca selvatica - Mori Ogai


Il romanzo giapponese ha una sua tradizione millenaria ma è molto differente da quello occidentale. Per noi comuni mortali europei addentrarcisi ha sempre il sapore di un avventura: c'è tutto quello che siamo abituati a trovare in un romanzo, ma disposto con altra maniera e raccontato con angolature e ritmi diversi. 

Qui, per esempio: l'oca selvatica che dà il titolo compare nelle ultime dieci pagine; forse è altamente simbolica e forse solo strutturale alla narrazione. Quanto ai protagonisti... già, quali  sono i protagonisti?

Abbiamo un narratore, che ricostruisce la vicenda in base a racconti che gli sono stati fatti in epoche diverse oltre ad avere una sua piccola ma consistente parte nella trama.
Poi un giovane studente, bello e simpatico, che compare e scompare dalla narrazione. 
E la protagonista: una cara ragazza che entra in scena molto timidamente e all'inizio viene descritta attraverso la sua casa vista dall'esterno: siamo informatissimi sulle finestre di casa sua, e una in particolare potremmo anche provare a disegnarla con una certa probabilità di successo.
Più avanti impariamo a conoscerla meglio (la ragazza, non la finestra) e le sue vicende sono avvincenti e riccamente narrate. Conosciamo anche le persone che ha intorno e il complesso gioco per cui queste persone la portano a determinate scelte, e come queste scelte a loro volta la portino a cambiare i suoi rapporti con queste persone - insomma quel tessuto di azioni e reazioni che forma la trama della vita per tutti noi.
E' un bel romanzo, narrato bene. A modo suo è anche un avvincente storia d'amore.   
Sono stata molto contenta di leggerlo e di seguire il percorso dei vari personaggi. Me lo  sono gustato con grande piacere e soddisfazione.  
Ma non mi azzardo a raccontare la trama - non solo perché mi sembra che ogni lettore abbia diritto a scoprirla da solo, ma anche perché la trama qui è più importante che in un romanzo de noantri e nello stesso tempo non conta poi molto e a ben guardare di trame ce n'è più di una - dipende da come decidi di leggerlo.

Comunque sia: abbiamo dei bei personaggi e una bella storia (a tratti un po' evanescente); il tutto ambientato nel Giappone di inizio Novecento, che è sempre un periodo interessante.

Non prende molto tempo: si potrebbe leggere in un mezzo pomeriggio o una serata, ma secondo me è meglio dividerlo in tre-quattro giorni, perché si riesce meglio ad assorbirlo.
E l'autore è proprio bravo.
Consigliato per i pomeriggi autunnali: non necessariamente quelli piovosi, vanno benissimo anche quelli ancora caldi e ricchi di sfumature rosso-dorate, o quelli limpidi, freschi e azzurri che si stemperano presto nel crepuscolo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti felici letture invernali.

mercoledì 7 gennaio 2015

Charlie Hebdo


Puoi arrestare gli attentatori 
ma non ridare la vita ai morti.
E tuttavia i morti hanno un loro modo di vendicarsi, sottile ma profondo.
Specialmente i morti che da vivi disegnavano satira.

lunedì 5 gennaio 2015

I miei secondi dieci libri-cardine


Passati i miei primi dieci libri-cardine ero ormai al primo anno del liceo - e siccome il liceo in questione era un liceo classico, quella che veniva spacciata per "prima liceo" era in realtà il terzo anno delle superiori - dove, nel giro di tre mesi incontrai altri tre cardini delle mie numerose porte.

11) Corso di storia: il medioevo di Giorgio Cracco. Per l'appunto il mio manuale di storia, scelto chissà per quale strano caso dal prof. Ruf. Era un signor manuale, aggiornatissimo per l'epoca, pieno di fatti, di fonti e con un sacco di sfondo, oltre a un infinità disperante di re, di papi, di imperatori e pure di regine. Niente sintesi abborracciate, per Giorgio Cracco, niente salti a canguro, niente buchi nella trama. Quando arrivai all'università, del medioevo sapevo quanto bastava ad orizzontarmi senza difficoltà - ed era tutto merito di quel meraviglioso manuale.

12) I romanzi di Chretien de TroyesDevo il suggerimento al prof. BlasioAll'epoca questi romanzi erano merce rara - c'era solo una poderosa traduzione di Sansoni in un unico volume, e guarda caso una copia di quel volume era nella biblioteca del mio liceo.  Dopo averli divorati l'amor cortese non ebbe più segreti per me. All'epoca il mio preferito fu Yvain, o il cavaliere del leone, ma mi piacquero alla follia tutti e cinque.

13) La grotta di cristallo di Mary Stewart, racconto dell'infanzia di Merlino che si ferma alla notte del concepimento di Artù - una bella via di mezzo tra romanzo storico e leggendario, dove Artù è posto nel VI secolo. Diciamo che per me fu il primo romanzo "simile a Tolkien" su cui fossi riuscita a mettere le mani, anche se già all'epoca mi rendevo conto che non c'entrava niente con Tolkien né voleva minimamente entrarci.

14) Fonti francescane - un ampio tomo che comprende i pochi scritti di Francesco d'Assisi, Testamento e Regole incluse, e le prime e più famose biografie. Furono il testo su cui preparai il mio primo esame (Storia della Chiesa, su Francesco d'Assisi) - o meglio uno dei testi, perché ce ne fornirono anche altri. Per me rappresentano la scoperta di un personaggio affascinante come Francesco, ma furono anche un introduzione al mondo dell'agiografia e della revisione storica. Spulciandole amorosamente preparai la mia prima relazione (all'epoca non usava parlare di "tesine", almeno a Firenze) sulla  simplicitas francescana.

15) Pietro Abelardo Storia delle mie disgrazie - e naturalmente anche le lettere tra Abelardo e Eloisa. Leggendo non ebbi alcuna difficoltà a capire come mai Eloisa si fosse innamorata pazzamente di costui: il fascino di quell'uomo trapassava le pagine a distanza di nove secoli. Tuttavia, ritengo imperdonabile da parte sua e di Eloisa aver chiamato il loro figlio Astrolabio - povera creatura.
Ai due sventurati amanti devo un trenta e lode all'esame di filosofia medievale - e mai e poi mai avrei sognato di riuscire a prendere il massimo dei voti in una qualsivoglia interrogazione che recasse attaccata la parola filosofia.

16) Pierre de Brantome Le dame galanti il mio primo trattato sull'amore galante del Cinquecento. Purtroppo è rimasto anche l'unico, ma ha lasciato un bel segno. A questo libro devo tra l'altro una delle mie massime preferite "Ve ne sono alcuni che, pur di non stare senza sparlare di qualcuno, sparlerebbero di sé stessi" - senza alcun dubbio una grande verità.

17) Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln Il santo graal libro di storia assai liberamente interpretata, ma che mi schiarì molto le idee non solo sulla questione, invero misteriosa, dell'improvvisa comparsa del Graal nella letteratura medievale, ma anche e soprattutto sui problemi di interpretazione delle fonti storiche.

18) Ivan Morris Il mondo del principe splendente. Il saggio descrive l'epoca hejan giapponese (XI-XII secolo) compresa la grande fioritura di scrittrici specializzate in diari e monogatari. Il monogatari più famoso l'ha scritto tale Murasaki Shikibu e si intitola Storia di Genji, il principe splendente. Non è quel che si dice un racconto breve. 

19) Anne McCaffrey La cerca del weyr, ovvero il primo racconto del ciclo dei dragonieri di Pern. E' stata la mia prima storia di draghi dove i draghi erano buoni e saggi e sviluppavano un profondo legame emotivo con il loro dragoniere... o la loro dragoniera. Perché l'altra particolarità di questo racconto è che la protagonista è una ragazza. Da lì ho preso coscienza di uno dei miei più grandi desideri: cavalcare un drago in combattimento. Nel caso specifico, una draghessa, o meglio una Regina. Secondo l'autrice non è fantasy, bensì fantascienza - c'è di mezzo un pianeta, anzi più di un pianeta, e dei tentativi di invasione... comunque io alla divisione in generi non ci ho mai creduto granché.

20) Rumiko Takahashi Ranma 1/2 avvincente storia di un ragazzo che, a seguito di un incidente in allenamento, si trasforma in ragazza se bagnato dall'acqua fredda e torna ragazzo se bagnato con acqua calda, raccontata a fumetti su svariate migliaia di tavole per complessivi 33 volumetti, è stata per almeno quattro anni la mia lettura preferita.

giovedì 1 gennaio 2015

2015!



AUGURI 

PER UN FELICE 2015