Il mio blog preferito

giovedì 26 novembre 2015

La sganascevole e ridicolissima farsa del Registro Elettronico - 2


Verso la fine dell'ora controllo l'agenda personale per quel  che riguarda la Seconda Elettrica.
"La prossima volta interrogo, ci sono alcuni di voi con cui non ho nemmeno un voto, a parte la correzione degli esercizi".
"Ci mette i voti anche per gli esercizi?" si informa Perceval.
"Sì, ma non sono voti veri" spiego "E' solo per avere una traccia di come avete risposto, sono nascosti. Voi non potete vederli".
Mi guardano.
Li guardo.
Sorridiamo tutti con profondo compatimento.
"Come se poteste vedere qualcosa, nel registro elettronico".
"Già".

Siamo ormai nel pieno del terzo mese dell'anno scolastico 2015-2016. Il collegamento arriva quasi sempre in tutte le classi e talvolta perfino nei laboratori e in palestra, ma a tutt'oggi il nostro Grandioso Registro Elettronico continua ad essere noto solo a pochi eletti, ovvero noi insegnanti che ogni giorno lo aggiorniamo coscienziosamente.
A vantaggio di chi, non è dato sapere.

Il paese è piccolo e i genitori (e gli alunni) mormorano.
A dirla tutta, ci stanno prendendo per il culo.
E davvero non so come dargli torto.

lunedì 23 novembre 2015

Lunedì Film - Ladyhawke (Film per le medie)


Uscito nel 1985 per la regia di Richard Donner, Ladyhawke gode tuttora di ottima reputazione e conserva intatto il suo fascino anche agli occhi dei giovanissimi ("Ma non sembra un film vecchio" ha commentato un alunno quando ha saputo la data di produzione). 
I ragazzi che lo guardano oggi godono anzi di un vantaggio rispetto agli spettatori che l'hanno visto in sala a suo tempo: non conoscono la storia.
La quale storia racconta di due amanti sventurati, costretti da una maledizione a vivere in sembianze semiumane: lui è un lupo di notte, lei un falco di giorno. Di giorno lui è un cavaliere che gira col suo falco al braccio (bellissimo falco, tra l'altro)



e di notte è un lupo che veglia sul riposo della sua dama, ma i due non possono mai stare insieme in forma umana e solo per un brevissimo istante riescono a intravedersi, all'alba e al tramonto, senza nemmeno potersi sfiorare. All'epoca ricordo benissimo che non c'era recensione che non segnalasse questo snodo essenziale della trama nelle prime cinque righe, ma nel film la cosa si scopre lentamente, un pezzetto per volta, e solo oltre la metà la vicenda viene narrata completamente. Di tendenza non sono contraria agli  spoiler, ma mi sono accorta che guardare il film senza sapere già in partenza cos'hanno di particolare quel falco e quel lupo permette di apprezzare meglio l'insieme.

Siamo in Francia, una Francia girata completamente in Italia (in zona L'Aquila, tanto per restare in tema ornitologico, e non è un caso che la città dove si svolgono sia la scena iniziale che quella finale si chiami Aguillon), tra luoghi e personaggi inventati, in un qualche punto del XIII secolo; più che un fantasy o una fiaba, Ladyhawke è la trasposizione cinematografica di un romanzo cavalleresco che solo per un curioso disguido della sorte non è mai stato scritto e che Chretien de Troyes non avrebbe disdegnato - anche se non so quanto la bella colonna sonora, scritta da Andrew Powell in perfetto Alan Parson style ed eseguita con i sintetizzatori, lo avrebbe davvero convinto (e tuttavia, anche se non è molto filologica, ci accompagna molto bene al film).
Per il resto i costumi, gli usi e le circostanze sono storicamente assai fedeli, anche se la vicenda non è tra le più realistiche. Nessuno però, quando scriveva letteratura cavalleresca, si interessava minimamente di essere realistico e dunque va bene così.

La vicenda è filtrata attraverso il protagonista apparente, un giovanissimo ladro assai abile nelle fughe che incontriamo appunto durante una prodigiosa fuga attraverso le fogne con cui riesce a scampare un esecuzione capitale, e mentre fugge incrocia un cavaliere solitario, che gira seguito sempre dal suo fedele falco. 




Un pezzo per volta riuscirà a ricostruire la vicenda, a salvare il falco quando viene ferito e a trovare il modo per sciogliere la maledizione. Il cavaliere saprà poi come far vendetta del torto che gli è stato fatto e proteggere la sua signora.



Il film è avventuroso, ricco di azione e finisce bene. Il protagonista apparente è  simpatico e costituisce un buon contrappunto ai due protagonisti effettivi, molto belli e solenni e di nobile animo e dalle assai drammatiche vicende. Navarre è un cavaliere indimenticabile, Isabeau è una perfetta e bellissima dama di nobilissimo animo e di indomito coraggio, falco e lupo recitano benissimo, i paesaggi italiani pure, il Cattivo ha una sua perfida grandezza e le numerose guardie che esistono solo per essere malmenate dai protagonisti svolgono egregiamente la loro funzione. La scena degli amanti che si ritrovano è commovente ma non troppo lunga per una giovane scolaresca. Non c'è l'ombra di una scena inadeguata al contesto scolastico e le frequenti trasformazioni dei due amanti non ne alterano mai la perfetta dignità (anche questo un tratto molto tipico della letteratura cavalleresca). 
Perfetto sia per una prima verso la fine dell'anno che per una seconda agli inizi, e anche l'insegnante lo rivede sempre volentieri.
Durata: leggermente inferiore alle due ore.

martedì 17 novembre 2015

17 Novembre 2015 - Festa del Gatto Nero (o dei GattI NerI, potendo)

Oggi si festeggia quella cara e dolce creatura che va sotto l'etichetta di "gatto nero" ma che naturalmente può essere anche femmina, e quindi gatta nera.

I gatti neri sono belli, simpatici, coccolosi, provvisti di grande humor - insomma hanno tutte quelle belle doti che caratterizzano i gatti.

E dunque: esiste qualcosa di meglio di un gatto nero, o di una gatta nera? La bella Ninphadora, per esempio, qui un po' chiara perché fotografata in un giorno molto luminoso:
Ebbene sì, esiste qualcosa di meglio: DUE gatte nere.
Così quest'anno, essenso la bella Artemis partita verso il ponte dell'Arcobaleno, ai primi di Novembre mi sono regalata una gattina nuova, e dopo attento studio l'ho chiamata Alice RAF Astrifiammante*:
E' una bella pozzangherina nera con gli occhi, e si distingue da Ninphadora soprattutto per le dimensioni. Tra un anno però, quando sarà cresciuta, l'unico indizio per aiutarmi sarà probabilmente la forma delle orecchie, più rotonda nella nuova arrivata.

Dunque auguri a tutti i gatti neri, e anche ai gatti diversamente neri e a tutte le creature care a chi passa di qua, senza discriminare in base al numero delle zampe o alla forma delle orecchie.

*Alice come Alice Ford del Falstaff, oltre che come Alice del Paese delle Meraviglie; Astrifiammante come la Regina della Notte, e RAF... avete presente i gloriosi bombardieri della Royal Air Force? Quando è contrariata fa esattamente quel rumore.

sabato 14 novembre 2015

La notte fra il 13 e il 14 Novembre


La Tour Eiffel spenta fa la sua impressione, sì.

Ma poi la riaccendono.

(fonti autorevoli in effetti assicurano che viene spenta ogni notte all'una, ma, ahimé, ho fatto la sciocchezza di fidarmi della Stampa, che un tempo passava per un giornale piuttosto attendibile. Non posso che deplorare la mia ingenuità e promettere di essere più attenta e più diffidente in futuro)

venerdì 13 novembre 2015

La pietra di luna - Wilkie Collins

                     

La copertina a sinistra è quella dell'edizione del 1972, uscita a seguito al successo dello sceneggiato televisivo di Anton Giulio Majani. A destra invece c'è la copertina dell'unica edizione in commercio al momento, da me comprata in questi giorni per rimpiazzare quella del 1972 andata distrutta per le numerose letture cui io, mia madre e almeno due care amiche la abbiamo sottoposta. Molte altre edizioni erano venute prima, molte ne arrivarono negli anni che separano queste due e immagino che molte ne verranno anche in futuro: La pietra di luna infatti è un sempreverde e, dopo il successo iniziale al suo primo apparire, nel 1868, ha continuato ad essere apprezzata da critici e lettori.
Le due copertine comunque hanno in comune il fatto di non avere niente a che fare con il contenuto del romanzo: il libro infatti non parla di belle signore svestite né di medaglioni incrostati di rubini e decorati con perla a goccia, bensì di un diamante giallo di notevole grandezza e valore e con una bella luce dorata all'interno. Niente a che vedere dunque nemmeno con quella che viene chiamata "pietra di luna" o aulularia, una pietra biancoperlacea traslucida e opalescente assai apprezzata nella cristalloterapia (da non confondersi con la labradorite bianca che vale molto meno, mi raccomando!).

Nel corso delle cinquecento e passa pagine di ottima prosa che compongono questo lungo e pregevole romanzo comunque il diamante lo vediamo ben poco, giusto una rapida comparsa per frasi rubare - ma in compenso ne sentiamo parlare più che abbastanza per convenire senz'altro che il titolo scelto dall'autore è assai pertinente.
Questo diamante un tempo ornava una divinità indiana e venne preso, in modo più che disonorevole, da un ufficiale inglese di assai discutibile reputazione. Com'è noto, derubare divinità indiane non è mai stata attività particolarmente salutare, e infatti il diamante è maledetto e porta sventura, o almeno così si dice, senza contare che gli indiani cui è stato rubato l'hanno presa malissimo e hanno fatto voto di riprenderselo.
L'indegno ladro comunque muore di vecchiaia e il diamante viene trasmesso in eredità e indossato una sera a cena dalla legittima proprietaria. La mattina dopo del diamante non c'è più traccia e le quattrocento pagine successive sono dedicate a cercare di capire cos'è successo a quella maledetta pietra.

Il romanzo è considerato uno dei primi esempi di letteratura poliziesca - onore  che condivide con molte altre opere del periodo, equamente distribuite in Inghilterra, Francia e Stati Uniti. Senza dubbio al centro c'è un enigma, e uno dei protagonisti è uno dei primi esempi di investigatori (anche se, al contrario di qualche critico letterario, io non tirerei in ballo Nero Wolfe e tutto sommato nemmeno Sherlock Holmes); tuttavia non sarà l'investigatore, per quanto bravissimo, a risolvere il caso, perché sarà ingannato dai suoi pregiudizi, dalle apparenze, dall'abitudine di generalizzare indispensabile nel suo lavoro ma che in quel caso specifico lo allontanerà dalla verità... e da due delle protagoniste. Solo quando un medico (non di puro sangue inglese) avrà compreso il  meccanismo principale della trama l'investigatore, tornato sul luogo del delitto, riuscirà infine a sbrogliare la matassa.
Si tratta insomma di un eccellente polpettone vittoriano dove la soluzione della trama arriva lentamente ma il lettore non corre alcun rischio di annoiarsi perché la sua attenzione sarà concentrata soprattutto sui personaggi, una splendida galleria di personaggi davvero interessanti. In ordine di comparsa abbiamo: un impeccabile maggiordomo, un bravo giovane con un passato un po' scapestrato alle spalle, una tipica fanciulla vittoriana che - come spesso avviene nei romanzi vittoriani - non è affatto convenzionale né tipica, una fedele cameriera, una peccatrice redenta che nella sua redenzione un po' si annoia, un impeccabile filantropo che risulta antipatico quanto il mal di denti, una parente povera che usa la religione come droga per dimenticare i suoi molti mali, un povero medico assai perseguitato dalla sorte e dalla cattiveria del mondo (e che si droga con l'oppio), un coro di servitori assai suscettibile che sembra uscito dalla penna di Agatha Christie, un avvocato esperto del viver del mondo, una adorabile e affettuosa madre, un poliziotto singolarmente imbranato, un secondo poliziotto molto più accorto del primo ma che si fa ingannare esattamente come il suo collega imbranato e infine un celebre esploratore che è l'unico che sembra in possesso di qualche nozione almeno vagamente attendibile sull'India (luogo all'epoca assai misterioso e infido per i suoi colonizzatori). Abbiamo poi due storie d'amore, l'ombra delle sabbie mobili, il fantasma di Robinson Crosue che aleggia su tutto il romanzo (pur in totale assenza di naufragi ed isole deserte), un diamante maledetto e tre improbabilissimi bramini che compaiono e scompaiono nei momenti più impensati e che per gran parte del tempo si mostrano imbranati peggio dei due poliziotti, una quantità di fidanzamenti fatti e disfatti e un profluvio di opuscoli edificanti e di lettere che si incrociano, si sperdono o vengono distrutte, il tutto mescolato con grandi accortezza nel calderone e cucinato nel più gustoso dei modi.

Questo eccellente romanzo, che mi accompagna da quando avevo dodici anni, ha purtroppo un difetto: termina, ahimé, troppo presto. Non che la trama venga lasciata in sospeso o conclusa in modo insoddisfacente; ma dopo averlo finito resta il rimpianto di non poter continuare a leggero la sera successiva.
Adatto a tutte le età dai dodici anni in su e a tutte le stagioni non richiede né una particolare concentrazione né lettori particolarmente raffinati, ma riesce a  intrattenere tutti nel migliore dei modi con una scrittura e un intreccio mai banali prestandosi a gustose riletture, come quella che ho appena concluso questa settimana col preciso scopo di segnalarlo per i Venerdì del Libro di Homemademamma.
Già che ci sono, ricordo che nel Venerdì del Libro è stato già presentato due volte La donna in bianco, altro romanzo sempreverde di Collins: dalla povna 
e da HappyMummy.

lunedì 9 novembre 2015

Lunedì Film - Il destino di un cavaliere (Film per le medie)


Trovare dei buoni film storici sul medioevo adatti ad essere visti alle scuole medie non è impresa facile per l'insegnante, specie quando l'insegnante è piantagrane e pure medievista come nel mio caso, senza contare che il medioevo si fa in prima, massimo inizi della seconda, quando i ragazzi hanno talvolta difficoltà a seguire una trama storica troppo complessa. Il nome della rosa per esempio è fatto piuttosto bene ma un dodicenne può avere i suoi problemi a seguirlo in tutte le sue implicazioni. Inoltre è un po' lugubre. 
Ecco, la maggior parte dei film moderni sul medioevo è lugubre e ama indulgere con morboso compiacimento in scene di bieca miseria e ferocia e prepotenza. Due palle da non dirsi.

Il destino di un cavaliere (uscito nel 2001 per la regia di Brian Helgeland) non ha niente di lugubre, e permette di approfondire un argomento assai gradito: la cavalleria, con relativi tornei. Ci sono un sacco di armature che recitano benissimo, molte scene di combattimento spettacolare, poco sangue e una trama molto chiara. Inoltre c'è un protagonista bellissimo (il compianto Heath Ledger) che sta d'incanto sia con l'armatura che senza ed è molto bravo




più un bel gruppo di ottimi attori e una bella storia d'amore che si richiama molto bene all'amor cortese - dove la dama, come ogni medievista sa, non veniva idealizzata bensì assai corteggiata e considerata, in nome di un amore assai concreto e terreno ma che non presenta l'ombra di una scena inadeguata al contesto scolastico. Maschi e femmine possono dunque seguirlo con pari godimento e senza troppo impegno, divertendosi insieme in perfetta sintonia. Infine, a completare i suoi molti pregi, questo bel film è allietato da una colonna sonora decisamente rock (in effetti purissimo rock anni '70) che inizia con una canzone apprezzatissima dalle giovani generazioni nonostante i suoi quarant'anni e che illustra a meraviglia l'atmosfera di un torneo



e termina con un altra canzone assai famosa sui titoli di coda:



La storia, dicevo, è piuttosto lineare ma non piatta: nell'Inghilterra del tardo XIV secolo un giovane scudiero sostituisce in un torneo all'ultimo momento utile il suo padrone, morto all'improvviso, per il duello finale, e in qualche modo riesce a vincere. A quel punto decide di continuare l'avventura, aiutato dagli altri due scudieri, e con i soldi vinti al torneo si compra il necessario per un po' di addestramento. 
Al gruppo si uniscono poi Geoffrey Chaucer, scrittore di belle speranze e di grande cultura ma con una deplorevole inclinazione per il gioco d'azzardo che lo ha assai spogliato dei suoi beni terreni quando incontra l'aspirante cavaliere



e che lo provvederà di documenti e patenti false per iscriversi ai tornei; e infine una giovane vedova che ha rilevato l'attività del marito, fabbricante di armature di grande talento e maestria.
Provvisto di patenti false, di armatura vera (e molto resistente), di talento naturale e di molta fortuna il falso Ulrich von Liechtenstein vince molti tornei e il cuore di una damigella di alto lignaggio e naturalmente si fa un Grande Nemico che nel corso del film si rivela sempre più odioso (oltre che molto deciso ad ottenere la mano della damigella amata da Ulrich). Verso la fine l'inganno viene scoperto e Ulrich si ritrova letteralmente messo alla gogna per aver rifiutato di fuggire (dimostrando così di avere completamente assorbito il codice cavalleresco o, a scelta, di essere comunque un vero cavaliere nell'animo) ma a salvarlo e a restituirgli onore e patenti di nobiltà più un titolo vero interverrà niente meno che il Principe Nero, erede del trono d'Inghilterra; e tutto finisce molto, molto bene.

Il film dura due ore e un quarto ed è perfettamente calibrato per tenere sempre desta l'attenzione dello spettatore senza stordirlo. I personaggi sono tutti simpatici (tranne il rivale infido, naturalmente) e Ulrich anche più degli altri. La sceneggiatura è brillante, con momenti di pathos accortamente distribuiti. I combattimenti sono brevi ma significativi e non manca il tempo di descrivere sia il funzionamento dei tornei che l'etica cavalleresca. Ottima anche la fotografia.
Proiettarlo su uno schermo grande come una LIM gli rende maggior giustizia. 



L'insegnante non corre alcun rischio di annoiarsi né alla prima né alla terza visione (e se l'insegnante sono io sarà disponibile anche per una quarta, una quinta e pure una settima). In effetti si tratta di un film molto apprezzato.
I più rigorosi possono precisare che il film è ambientato a cavallo tra gli anni sessanta e settanta del XIV secolo ma le armature sono in prevalenza un po' successive. La scheda del film su Wikipedia fornisce tutti gli elementi storici necessari che l'insegnante deciderà come e in che misura ammanire alla scolaresca.

domenica 8 novembre 2015

Sugli incomparabilissimi vantaggi di avere in classe un computer tutto per noi, talvolta anche collegato a Internet

Esiste forse, in questo capriccioso universo, qualcosa di più illogico dei computer della nostra scuola? Sì.

L'anno scorso il computer di quella che impropriamente chiamo "la mia classe" non si era rivelato di grande utilità: si accendeva di rado, spesso con un cupo rumore di sottofondo, spesso si spengeva da solo e regolarmente lamentava i soliti errori irreversibili, definitivi e catastrofici di cui Windows è così prodigo. D'altra parte in quella classe il collegamento in rete non arrivava quasi mai, quindi il problema era soprattutto di Matematica, che con fiduciosa ostinazione ogni mattina ci provava. A fine anno perciò tale computer fu classificato come inservibile e mandato al macero.
Non dico che quello che abbiamo trovato quest'anno sia un modello aggiornatissimo; tuttavia se non altro si accendeva regolarmente e ogni giorno provavamo tramite lui ad aggiornare il nostro amato registro elettronico (ritornato in grande spolvero sui nostri schermi a inizio Ottobre) riuscendo nell'impresa non meno di due volte su tre.
Tutti però eravamo ancora ricolmi di pregiudizi, così quando il computer in questione si è spento all'improvviso mentre ADSL stava felicemente inserendo la quinta riga del suo testo (e naturalmente non aveva ancora salvato niente) tutti, come un solo alunno e professore, abbiamo dato la colpa al computer. Una rapida ispezione mi ha fatto trovare uno spinotto non ben saldo al suo posto. Ho rinfilato tutto con attenzione e ADSL si è rimesso pazientemente al lavoro e da allora, quando scriveva là sopra, è stato ben attento a salvare ogni due righe - e faceva bene, perché il computer continuava a spengersi senza preavviso.

Martedì scorso, dopo l'ennesimo incidente, sono rientrata in classe finite le lezioni per una nuova, capillare verifica prima di iniziare la caccia grossa a Jorge perché ci scucisse infine un computer affidabile, dal momento che, a parte il registro elettronico, abbiamo tre dislessici tre in classe e prima o poi dovrò metterli a fare un vero tema. Così, esaminando con cura la situazione*, mi sono accorta che il computer si spengeva quando muovevo il tavolino... e che dalla presa partivano scintille. 
Ho tolto cautamente la spina e ho così scoperto che la presa era rotta ed evidentemente faceva contatto. 
A seguito di tutto ciò ho avvisato le custodi e due giorni dopo è arrivato l'elettricista dal Comune; casualmente ero proprio nel gabbiotto delle custodi quando è arrivato col responso, perciò ho avuto il privilegio di ascoltarlo in diretta.
"La presa è rotta".
Sì, ha confermato la custode, la presa era rotta. In effetti lo avevano chiamato proprio perché la presa era rotta. 
"Ma dovete far attenzione. E' pericoloso! Nella presa ci passa la corrente elettrica. Qualcuno si può far male!"
Sì, ha confermato la custode. Appunto perché nessuno rischiasse più di farsi male avevano chiamato in Comune chiedendo un elettricista.
"Ce l'avete del nastro isolante? Perché quella presa non va usata fin quando la ripariamo!".
Sssì, ha detto la custode, forse un po' di nastro isolante lo avevano.
E lo avevano davvero, di color grigio scuro.
Adesso la nostra presa è sigillata col nastro isolante in attesa che dal Comune facciano qualcos'altro oltre a tappare la presa - che comunque nessuno ha la benché minima intenzione di utilizzare finché non sia stata riparata a puntino.

Il computer, vecchiotto ma funzionante, dorme di un sonno profondo in attesa di tempi migliori, mentre il Grandioso Registro Elettronico della classe viene aggiornato a fine mattinata in Sala Professori, proprio come l'anno scorso.
Quanto a me, mi piacerebbe capire se Jorge ha guardato quella presa, che oggi ha l'aria così disastrata, prima di inserirci la spina quando a Settembre ha allestito le postazioni, e ho delle teorie in proposito.
E insomma tutto ciò è seccante. Parecchio.
E non sempre è tutta colpa delle Nuove Tecnologie.

*che poi non è che richiedesse chissà quale minuzioso lavoro di ricognizione o competenza speciale: a vedere le scintille siamo buoni tutti, purché la vista ci assista

giovedì 5 novembre 2015

Life Skills Strikes Back - La gestione delle emozioni - 1

Terzo anno di Life Skills, e prima puntata della nuova serie.
La Life Skill gettonata stavolta è stata la "Gestione delle Emozioni". Un po' pilotata, sospetto, perché la tenutaria del corso è arrivata con un mazzo di emoticon e ne ha distribuita una a testa e dovevamo spiegare perché ci rappresentava o non ci rappresentava in quel momento.
In realtà parecchie volevano l'empatia. Così ho improvvisato un collegamento sul fatto che  un insegnante sa gestire bene le emozioni in classe quando è in empatia con gli alunni, e lo stesso vale per gli alunni quando sono in empatia tra loro. La prima parte di questo funambolismo verbale è stata apprezzata, la seconda, non so perché, è stata ritenuta improbabile.
Suppongo che molti vedano la classe come qualcosa di cui l'insegnante ha il timone, mentre io non ci ho mai creduto molto - o meglio, la mia teoria è che l'insegnante tiene il timone se i ragazzi sono convinti che è bene così e glielo lasciano tenere - il che non sempre avviene, soprattutto alle medie dove l'utenza è un filino capricciosetta.

Sono tornata a casa navigando in un piacevole fiume di considerazioni, pensieri sparsi, embrioni di idee e brandelli di pensieri che fluttuavano cercando di combinarsi tra loro.
Stamani, mentre provavo a collegarli un po' mentre sorseggiavo il caffè e cazzeggiavo piacevolmente nella mia sessione mattutina di caccia al tesoro, una considerazione si è affacciata:
d'accordo, la gestione delle emozioni degli alunni. Insegnargli a gestirle. Provare a fargliele analizzare. Un lavoro da sciamano, insomma. 
Ma non ci sono solo gli alunni, in classe. 
L'insegnante sa gestire le sue emozioni?
Forse potremmo partire da questo. 

Scartiamo le emozioni esterne: la mia amica del cuore si sta separando, ho trovato mio marito a letto con mia cugina, mia figlia ha dieci giorni di ritardo, mia madre si è rotta il femore, il mio gatto ha una grave infezione e non sanno come curargliela. Quasi sempre tutto questo resta fuori dalla classe, almeno a livello cosciente, per poi ripiombarti addosso appena lasci l'aula.
Ma ci sono le emozioni strettamente legate alla classe. Le sappiamo gestire?
Mmmmhhhh. 
Con gli anni si impara, naturalmente, ma questo lavoro, nel bene e nel male, è nuovo ogni giorno.
Direi però che un elenchino si può provare a farlo. Strettamente personale, perché so una sega io delle emozioni degli altri.
Penso a una candida classe che mi aspetta fiduciosa per conoscermi e la prima emozione che mi viene in mente, limpida e forte è
LA PAURA.

Le nuove classi mi fanno paura. Tanta. Il mio stato d'animo al primo ingresso in aula non teme confronti nemmeno con quello di un tenore dell'Aida la sera della prima della Scala (Se quel guerrier io fossi, avete presente?)



quando l'incubo della stecca a voce ancor fredda inquieta anche le ugole più virtuose.

Seguono, a distanza abbastanza ravvicinata
L'ESASPERAZIONE sapientemente frammista alla FRUSTRAZIONE quando la classe ha fermamente deciso che quel giorno non ne vuol sapere della lezione che vuoi propinargli, o quando risulta chiaro che la lezione che gli hai propinato la volta scorsa è scivolata sulle loro penne come acqua sul più liscio dei marmi, oppure quando ha stabilito, senza consultarti, che oggi non si fa lezione, si perde tempo e basta.

E non ci sono emozioni positive?
Sì che ce ne sono, ma possono essere molto ingannevoli e dietro di loro si affaccia spesso lo spettro del pericolosissimo AUTOCOMPIACIMENTO, emozione infida quant'altre mai in questo lavoro, e foriera di grandissima DISILLUSIONE con conseguente pericolo di CROLLO DELL'AUTOSTIMA, che è un emozione con cui ogni insegnante fa i conti una trentina di volte al giorno come minimo - e quello, il crollo dell'autostima, non lo sa gestire nessuno, perché di per sé stessa l'autostima che crolla è il chiaro segnale di emozioni non accortamente gestite, e insomma l'unica cosa che si può fare nei casi gravi è aspettare pazientemente che passi - un po' come si fa con il raffreddore (comunque non è sempre colpa dell'autocompiacimento, oh no: si possono avere crolli micidiali nell'autostima anche e soprattutto in presenza di esasperazione, frustrazione e, naturalmente, anche della paura).

Pòle l'insegnante imparare a gestire le sue emozioni attraverso piccoli comportamenti virtuosi che migliorino il clima nella classe?
E' quello che vedremo, se mi viene un idea.