Il mio blog preferito

lunedì 31 ottobre 2016

Un sereno Halloween a tutti



E lo so che suona un controsenso, 
ma quest’anno le porte del regno dei morti 
si sono aperte con troppa forza 
e siano ancora tutti un po’ scossi.
Dolcetti e scherzetti per tutti, 
con la speranza 
che la richiusa sia più dolce.

sabato 29 ottobre 2016

E' il genitore un agrume succoso / ed ognuno ne brama uno spicchio

Una fresca e dissetante riunione di genitori, pronti per essere spremuti

Quest'anno #ioleggoperché, la campagna promossa dall'Associazione Italiana Editori per diffondere la lettura, è indirizzata (anche) alle biblioteche scolastiche.
Siccome l'iniziativa godeva dell'appoggio delle Alte Sfere della scuola la nostra disastrata segreteria, in un poderoso sforzo di efficienza,  è riuscita a mettermene al corrente  con un rispettabile anticipo invece di avvisarmi due giorni dopo la scadenza definitiva come è solita fare; e il fatto che una volta tanto fossi già informatissima sulla faccenda per vie private è un dettaglio del tutto secondario. 
In effetti mi ha fatto piacere vedere che, lentamente ma in modo continuativo, nelle viscere della scuola si va diffondendo la consapevolezza che nella scuola media di St. Mary Mead esiste una biblioteca che vive e lotta insieme a noi.

In verità la biblioteca esiste, ma l'anno per lei è iniziato proprio male: solo poche, fortunate classi sono riuscite a farci almeno una visita per prendere libri, perché la poverina era perennemente invasa da tecnici che cercavano di far funzionare una rete che a tutt'oggi si rifiuta ostinatamente di fare il suo dovere per tempi più lunghi di due giorni. 
E assolutamente nessuno tranne me ha potuto vedere le due scatole di nuovi libri che la scuola ha alfine acquistato dopo lunghe insistenze, più qualche regalo sparso arrivato alla spicciolata più la nuova serie del Giralibro, perché ancora non sono riuscita a catalogarli.
E tutto ciò è assai irritante, ma non cancella il fatto che la biblioteca stia effettivamente prendendo forma e garbo: addirittura, quest'anno, una volta conclusa definitivamente  l'invasione dei tecnici, dovrebbe partire un pingue orario di apertura di ben due ore a settimana, in virtù del mio indefesso stakanovismo e soprattutto di un ora del mitico potenziamento della Buona Scuola, che si è infine degnata di fornirci almeno un ritaglio di ore di Lettere (oltre alla cattedra aggiuntiva di Arte che è stata subito fagocitata da un Grandioso Progetto assai artistico).

Ma torniamo a #ioleggoperché.
L'iniziativa si presenta con l'assai eroico titolo di Pronti a tutto per donare un libro ed ha anche il suo bravo banner:
che ha se non altro il pregio di descrivere con una certa chiarezza il procedimento.

Prima di tutto la scuola si iscrive all'iniziativa. 
Poi, sempre la scuola, sceglie tre librerie con cui gemellarsi, dall'elenco di quelle che hanno accettato di partecipare. 
E qui cominciano i problemi, per le piccole scuole di paese. 
Mi rendo conto che in città tutto è più semplice, specie se la città è Firenze, dove notoriamente le librerie non mancano (anche se, ahimé, sono meno di un tempo e quelle più belle e storiche sono quasi tutte scomparse). Ma, per l'appunto, St. Mary Mead è un paesello, e librerie non ne ha. Ci sono sì un paio di cartolibrerie, una delle quali tiene sempre in vetrina una mezza dozzina di titoli che rivelano un certo gusto nella scelta - ma, naturalmente, a gemellarsi non ci avevano nemmeno pensato, anche perché probabilmente del tutto ignare dell'evento in corso.
A Lungacque, il paese dove abito e che dista pochi chilometri da St. Mary Mead, di librerie ce ne sono invece ben tre, piuttosto fornite, e all'apparenza sembrano godere di una discreta salute. Una sola di loro però era gemellabile. Nei due grandi paesi più vicini le librerie non erano gemellabili, e insomma, per le altre due toccava rivolgersi a Firenze.
Così ne ho scelte un paio vicino alla stazione ferroviaria, con molti dubbi; i quali dubbi, sia chiaro, non erano rivolti alla qualità delle librerie, entrambe assai note e degne di ogni stima,  bensì alla effettiva possibilità che qualche genitore fosse disposto a farsi il viaggio necessario al solo scopo di andare a comprare  libri da regalare alla nostra biblioteca scolastica.
Perché, in sintesi, l'iniziativa consisteva appunto in questo: si potevano comprare libri da regalare alla biblioteca scolastica, in un arco di tempo di circa dieci giorni, con il vantaggio che gli editori, per ogni libro acquistato dai munifici genitori, ne avrebbero donato un altro alla biblioteca.
Ho cercato invano indicazioni su come sarebbero stati questi ipotetici libri in omaggio: scelti dalla scuola? Dai librai? Dall'Associazione Italiana Editori? Proporzionati al prezzo dei libri acquistati? Non è specificato in nessun modo.

#ioleggoperché ha messo a disposizione in rete un certo numero di banner, e una locandina in A3 - e già lì si andava oltre alle modeste possibilità della nostra scuola, che non ha una stampante per fogli A3. In A4 comunque sia i banner che il volantino rifiutavano ostinatamente di farsi stampare. 
Forse perché consapevoli di non essere un granché?





Magari un giorno qualcuno mi spiegherà perché nelle campagne pubblicitarie pro-lettura il lettore debba sempre apparire come un perfetto deficiente, ma se lo farà gli serviranno un bel po' di argomenti per convincermi che questo sia materiale pubblicitario valido.
Bello o brutto che sia (e a me pare decisamente brutto) non si capisce comunque perché fosse così complicato da stampare. Non sono una grafica né un fulmine di guerra informatico, ma non sono nemmeno più imbranata della media: quel che non riesce a me lascia a piedi anche molti altri, senza contare che al momento nelle scuole quasi tutti si arrangiano con il personale che hanno, il che obbliga a limitare molto le pretese sui requisiti necessari (e anche sulle attrezzature necessarie).

La propaganda vera e propria comunque dovevano farla le scuole, col passaparola e simili. E solo le scuole potevano farla, perché l'iniziativa non ha fatto molto parlare di sé in giro. 
Giusto perché ormai ero in ballo e per onor di bandiera ho stampato uno dei banner orizzontali, a prezzo di eroici sforzi e di molte imprecazioni, e l'ho usato come intestazione per un volantino che ho fatto fotocopiare e distribuire nelle classi, giusto perché a quel punto tanto valeva provarci e se l'esperimento avrà un futuro (cosa di cui personalmente dubito) in questo modo ho aperto il solco di una tradizione.
E poi è tutta esperienza, immagino.

Tuttavia secondo me l'iniziativa ha un problema di base: poggia sul consueto assunto dei genitori visti come agrumi da spremere.
Vediamola dal punto di vista dell'agrume, voglio dire del genitore.
E supponiamo, per amor di dialettica, che l'agrume in questione sia un genitore, o anche un alunno, molto amante della lettura: grazie a questa grandiosa iniziativa egli, o ella, gode del  mirabile privilegio di comprare dei libri per regalarli a una biblioteca scolastica - una cosa, peraltro, che può fare esattamente allo stesso prezzo ogni mese dell'anno e ogni qual volta gliene punga vaghezza.
In cambio cosa ne ricava?
Il piacere di fare un regalo alla biblioteca in questione, e nient'altro - niente sconti, o facilitazioni su futuri acquisti, o punti su eventuali tessere fedeltà legate all'iniziativa, o omaggi di un qualsiasi tipo. Niente di niente di niente.
Quindi la scuola di turno, dopo avere sfinito il genitore con gli acquisti dei libri di scuola, di attrezzature varie e pure del famoso contributo volontario (che da qualche tempo, mi dicono, i genitori stanno prendendo l'abitudine di scegliere volontariamente di non pagare) ad anno scolastico appena iniziato, richiedere altri soldi per i libri della biblioteca.
Lasciamo perdere il fatto che in Italia la maggior parte delle famiglie legge poco; ma anche quelle famiglie dove si legge molto e che in libreria ci vanno spesso e volentieri, se devono spendere soldi per dei libri, non preferiranno forse spenderli per comprare qualcosa per la libreria dei loro figli invece che per la biblioteca scolastica che, infine, è la biblioteca di una scuola pubblica e dunque dovrebbe essere sovvenzionata dallo Stato, come tutto ciò che riguarda la scuola pubblica?
Oso dire che è possibile. Sì, ritengo possibile ciò. 
Aggiungo che io stessa, se fossi un genitore, probabilmente mi comporterei così.
Per questo di solito le Mostre del Libro a scuola funzionano bene: i ragazzi si scelgono per proprio diporto dei libri che li ispirano (e che i genitori pagano) e una parte dell'incasso si trasforma in omaggi per la biblioteca della scuola. E' un meccanismo virtuoso, dove tutti ricavano qualcosa e nessuno ci rimette. Le famiglie, ad esempio, ci mettono dei soldi ma ne ricavano un po' di libri e un figlio almeno temporaneamente di buon umore - una cosa, quest'ultima, che corre voce i genitori apprezzino moltissimo e per la quale spendono sempre volentieri avendone la possibilità.
Non so se un acquisto per la biblioteca di scuola innescherebbe lo stesso circolo psicologico virtuoso, anche perché la biblioteca della scuola è costruita con criteri diversi dalla libreria di casa - e in effetti serve anche scopi che vanno oltre al "prendiamo un buon libro per rilassarci o smaltire questa giornata che è andata proprio storta". La famiglia compra un libri a tastoni, su indicazione della scuola o dei librai, non ha nessuna certezza che il figlio ne beneficerà in qualche modo e l'unica, modesta soddisfazione che ne ricava è di aver tappato una falla dello stato.
Mah.

Naturalmente una scuola con grossi numeri, uno zoccolo duro di studenti abituati ad andare per librerie e una biblioteca ben organizzata e perfettamente funzionante potrebbe ricavarne qualcosa, o anche più di qualcosa, con un accorta opera di propaganda; in effetti dalla classifica dei risultati risulta che una manciata di queste scuole c'è, e ha tratto buon frutto da questa campagna acquisti. 
Tuttavia la gran parte delle biblioteche scolastiche non se la passa molto meglio di quella di St. Mary Mead ed è parimenti gestita in modo assai acrobatico da insegnanti che se ne occupano nei ritagli di tempo e con gran sfoggio di volontariato, spesso senza tempo o competenza da dedicare ad operazioni di marketing e con bacini di utenza decisamente ridotti.
E infatti a un giorno dalla scadenza la classifica nazionale comprende 108 biblioteche scolastiche, di cui le ultime 8 hanno nel carniere un libro, e le ultime 21 hanno ottenuto dai cinque libri in giù. Non mi sembrano esattamente grandi numeri. E sospetto che di questa iniziativa abbiano beneficato le biblioteche che già funzionano, più che quelle che si arrangiano alla meno peggio.

Come usa dire in questi casi, l'idea di fondo ha delle potenzialità ma presenta notevoli margini di miglioramento.

venerdì 28 ottobre 2016

Kristina Ohlsson - I bambini di cristallo


In prossimità di Halloween voglio partecipare al Venerdì del Libro di Homemademamma con una bella storia di fantasmi, o meglio qualcosa che ci assomiglia davvero molto. 
Ufficialmente questo romanzo (breve) appartiene al filone di letteratura per ragazzi, ma io me lo sono letto con gran piacere e mi sento di raccomandarlo a tutti gli amanti del genere. E' una bella storia, ben costruita e ben raccontata, e contiene buona parte degli elementi più classici della storia di fantasmi - trasportati senza problemi ai giorni nostri, perché i topi letterari più classici viaggiano nel tempo senza problemi.
Siamo all'inizio dell'estate, in una qualche parte della Svezia, ai giorni nostri o quasi (scarseggiano i cellulari e Internet contiene solo le notizie più recenti, mentre le riviste sono solo archiviate su microfilm) in un paese situato molto vicino ad una cittadina; e giusto da quella cittadina arrivano una coppia composta di madre e figlia in cerca di una casa da acquistare.
Veramente la figlia non cercherebbe un bel nulla, perché stava comodissima a casa sua; ma la madre, dopo la morte piuttosto improvvisa del marito per malattia, ha deciso di cambiare casa e zona per lasciarsi indietro un po' di ricordi. Entrambi i punti di vista sono perfettamente comprensibili, ma noi seguiamo soprattutto quello di Billie, la figlia.
La casa è piccola e piuttosto carina, ma viene venduta ammobiliata e i mobili sono vecchiotti; per giunta chi si occupa della vendita - non un vero agente immobiliare, piuttosto una persona che fa un favore ai vecchi proprietari, andati via abbastanza all'improvviso - si contraddice più di una volta, imbastendo un racconto che a Billie suona sospetto. 
La madre non nota niente di insolito e acquista la casa - che, si capisce, ha un prezzo molto, molto conveniente...

Una volta trasferite, Billie comincia a notare diverse cose strane: non solo il grande zampettare degli uccelli sul tetto (di cui erano state avvisate) ma anche fenomeni piuttosto inspiegabili, come il misterioso battere alla finestra di notte, un lampadario che oscilla anche quando non c'è vento eccetera. La madre attribuisce il tutto a una certa malafede di Billie, dovuta al fatto che ha lasciato malvolentieri la vecchia casa nella cittadina, ma il lettore sa che Billie è assolutamente sincera.
Inoltre, dovunque vada la ragazzina trova gente che, appena saputo dove abita, cambia espressione, mostra grande stupore e inizia discorsi che poi non conclude; tra questi, immancabile, la classica vecchia vestita di nero che profetizza grandi disgrazie per chi abita in quella casa, che ha cambiato davvero parecchi proprietari.
Aiutata da due amici Billie comincia a cercare informazioni sulla misteriosa casa, fino ad approdare in biblioteca, dove un meraviglioso bibliotecario si prende a cuore la loro causa e gli spiega come procurarsi notizie.
Arriva la prima soluzione, che sarà poi ribaltata da un colpo di scena finale. I fantasmi ci sono, no, non sono fantasmi... o forse sì? Il libro si chiude lasciando nuovamente insospettiti sia il lettore sia Billie.

Consigliato dai nove anni in su. La protagonista passa dei momenti piuttosto inquieti, ma l'atmosfera, seppure carica di mistero, non è torbida e il racconto evita con cura di spaventare il lettore, se proprio il lettore non è decisissimo a farsi almeno un po' spaventare.
Buon Halloween a tutti e possano le vostre zucche ghignare sinistramente nella notte!

martedì 25 ottobre 2016

Cuori spezzati (post didattico-letterario)

Questo bel quadro di Botticelli è ispirato alla novella di Boccaccio su Nastagio degli Onesti, che seppe utilizzare una caccia infernale per convincere  una nobile fanciulla ad amarlo

Ci tengo a precisare che questo non è un post dedicato alle traversine sentimentali dei miei amati alunni (di cui al momento non so nulla) bensì agli imprevisti che talvolta sovvengono a causa di una programmazione didattica non adeguatamente curata.

Ordunque in seconda media è tradizione dedicarsi ad alcuni particolari argomenti: fantasmi e horror, avventura, storie di amicizia eccetera.
Ho così esordito con un bel racconto di fantasmi: Cuori strappati, di M.R. James, che si trova spesso anche nelle antologie. La storia, come indica il titolo, parla appunto dei cuori che sono stati strappati a due ragazzini da un pazzo che cercava di guadagnarsi con ciò l'immortalità, mentre un terzo ragazzino si salva soprattutto grazie all'intervento dei fantasmi dei primi due. 
La lettura scorre bene ma, dopo la fine, i ragazzi si lanciano in una serie di commenti piuttosto rabbrividiti.
"Io stanotte non dormo!"
"Io non dormirò per una settimana!"
"Io vado a dormire nel letto dei miei!"
"Mah, a me ha fatto proprio paura".
"...non vi è piaciuto?" chiedo perplessa. Di solito le classi intascano le più orripilanti storie di horror e fantasmi senza batter ciglio.
"Sì che ci è piaciuto" assicurano tutti "Ce ne fa leggere un altro?".
"Vedremo" dico cautamente.
Il giorno dopo, a fianco di alcuni che assicurano di aver goduto di un sonno tranquillo e sereno, altri descrivono una notte inquieta e costellata da sogni di vasche vuote e strani esseri unghiuti e graffianti.
D'accordo, il pubblico ha sempre ragione; però, se la classe è così impressionabile, conviene lasciar perdere il filone horror e dedicarsi ad altro, almeno per il momento.
Perché non cominciare Boccaccio? Una bella storia d'amore va sempre bene.

Da sempre, la prima storia di Boccaccio che faccio leggere è quella di Guiglielmo di Rossiglione che dà da mangiare alla moglie il cuore del di lei amante, Guiglielmo di Guardastagno: è breve, concisa e introduce una bella serie di temi legati a un medioevo che nei libri scolastici compare piuttosto raramente, almeno alle medie. Il brusco finale a sorpresa li lascia sempre piuttosto interdetti e, regolarmente, affiora la domanda "Ma non poteva semplicemente lasciare sua moglie?".
Stavolta però il primo commento è stato "Un altro cuore strappato, e pure fatto a pezzi e cucinato? Ma GULP!".
Solo in quel momento mi sono resa conto che sì, in effetti i due racconti avevano almeno un tema in comune, se pure in contesti assai diversi.

"D'accordo, con i cuori, cucinati o strappati che siano, abbiamo decisamente già dato" mi dico. A quel punto di solito faccio leggere la novella dei tre anelli, ma per vari motivi la vorrei fare più avanti.
"Voglio una storia d'amore a lieto fine" decido. Scorro l'indice del Decameron e infine scelgo la novella di Nastagio degli Onesti e della caccia infernale. Magari potremmo anche leggere il passo di Dante da cui prende spunto, più avanti (ma anche no).
Comunque non rileggo la novella. Dopotutto, la conosco già, giusto?

Prima di iniziare la lettura decido che è tempo di cambiare il desktop della LIM, profittando del fatto che da ben 36 ore godiamo di una efficace connessione a Internet. Basta col Trionfo della Morte, messo ai tempi della Peste del Trecento, è il momento di un bel quadro rinascimentale.
"Vedete? Qui ci sono tante belle signore e tanti bei signori che siedono in pineta per un ricco banchetto. Questo è un liuto, perché durante i ricchi banchetti c'erano i musicisti, queste sono navi che lasciano il porto e vanno a commerciare, questo è lo stemma dei Medici, ammirate la bellezza dei vestiti..." e bla e bla.
Il quadro viene doverosamente apprezzato.

E si passa alla lettura. Arrivati alla caccia infernale si discute su come mai nel quadro ci siano un cane bianco e uno nero oltre a un cavallo bianco, mentre nella novella cani e cavalli sono tutti rigorosamente neri.
"Uno dei cani è bianco perché viene da dio mentre l'altro è nero perché viene dal diavolo?" suggerisce qualcuno.
"No, non credo. In effetti sono entrambi al servizio del diavolo per ordine di dio. Non saprei dire perché hanno colori diversi". 
"Secondo me è un fatto di colori. Un cavallo nero in quel punto del quadro avrebbe appesantito il dipinto".
Ho un sospetto del genere anch'io, ma data la mia totale ignoranza in materia di pittura mi guardo bene dall'esprimere un parere in merito.
La caccia va avanti, e finalmente il cavaliere raggiunge la povera fanciulla, la apre... e tira fuori il cuore con quel che vi sta intorno per darlo in pasto ai feroci mastini.
"Un altro cuore strappato!"
"Quest'anno è una costante"
"Cuori strappati, fatti a pezzetti, sbranati, cucinati... ne abbiamo viste di tutte!".
"Ehm... confesso che mi ero completamente dimenticata di questo particolare" ammetto assai contrita.
"E ci sono anche i fantasmi!"
"Sì, decisamente ci sono anche i fantasmi".
"Anche i cani sono fantasmi?"
"Credo di no. Secondo la cultura del medioevo gli animali non hanno un anima e dunque..."
La classe insorge "Come sarebbe che non hanno un anima?!?"
"Ho detto 'secondo la cultura del medioevo'. Credo che i cani siano spiriti infernali, come il cavallo. Poi, per conto mio, sono convintissima che gli animali abbiano un anima..."
"Certo che sì!"
"...ma per la teologia cattolica dell'epoca non era così. Sapete, può capitare che ci siano delle differenze culturali...".

La classe bofonchia.

Ma credo sia arrivato il momento di proporre una storia rigorosamente senza cuori strappati e senza fantasmi, di Boccaccio o di chiunque altro.


mercoledì 19 ottobre 2016

Quel che gli insegnanti non dicono

Noi insegnanti siamo così, dolcemente complicati. E' difficile spiegare...

Ora libera in Sala Insegnanti con i due nuovi colleghi di Arte, Artemisia e Velazquez.
"Certo, questo registro elettronico..." osserva Velazquez con aria vagamente schifata "Mi disturba poter mettere solo i voti e i mezzi voti".
"Ma no, ci sono anche i più e i meno" spiego, disponibile a illustrare come qualmente il registro elettronico li accetti senza protestare.
Velazquez mi rivolge quello sguardo di coraggiosa sofferenza ben espresso dal Gufatto in basso a sinistra "Ma non c'è il 7/8".
Abbasso gli occhi e sospiro "Manca tanto anche a me" confesso.
Artemisia ammette che anche lei soffre per cotal lacuna del registro elettronico.
Rafforzata dalla comprensione altrui mi azzardo a confidare "A me manca tanto anche 7 meno meno".
"Oh sì!" convengono i colleghi "Il 7 meno meno era magnifico".
"Riempiva l'occhio in un altro modo"
"Parlava così bene..."
"Quella sequenza: 7 e mezzo, 7/8, 8 meno meno. Era così eloquente..."
"Pur nelle sue minime sfumature di differenza..."
"E adesso c'è soltanto il 7 e mezzo..."
"Del tutto inadeguato".
"Davvero!"

Nota Bene: non dico che tutti gli insegnanti si strappino i capelli perché sui registri elettronici (ragionevolmente, mi tocca dire) non ci sono più né il 7/8 né l'8 meno meno, e tanto meno "l'otto meno ma qualcosa di più" di una mia antica insegnante. Dico solo che alcuni insegnanti, tra i quali io, soffrono profondamente di questa mancanza.
Siamo fatti così, che ci volete fare.

venerdì 14 ottobre 2016

Il Vicolo della Polvere Rossa - Qiu Xiaolong

La moderna Cina è ai miei occhi quanto di più sconosciuto possa esserci, nonostante i molti scolari cinesi da me incrociati nei miei primi anni di insegnamento, quando abitavo ancora a Firenze, e la mia abituale frequentazione di ristoranti e rosticcerie cinesi. Non che conosca qualcosa nemmeno della Cina antica, intendiamoci.

Così, desiderosa di farmi una pur minima idea di che pianeta sia adesso la Cina ho colto il suggerimento di Acquaforte di provare con i gialli di tal Qiu Xiaolong; e siccome non c'era nessunissima speranza che riuscissi a ricordarmi il suo nome me lo sono appuntato sul mio fedele taccuino-da-libri, insieme ad un po' di titoli e a un appunto sulla biblioteca dov'era reperibile.
Proprio nei giorni in cui sono andata a cercarlo, nella biblioteca stavano facendo grandi lavori di riordino a scaffali aperti, così mi sono dovuta arrangiare da sola, e ho preso il primo che sono riuscita a trovare, piuttosto corto e con un titolo attraente: un giallo ambientato in un vicolo, con tutti gli intrighi relativi, poteva perfino avere un tono un po' inglese.

Arrivata a casa ho scoperto che non si trattava affatto di un giallo: ad un certo punto della sua vita, nel 2005, l'autore, riparato negli USA dopo l'affaire di Tiennanmen, ha deciso di scrivere una serie di brevi racconti che seguivano la storia della Cina dal 1949 al 2003, tutti ambientati appunto in questo vicolo detto della Polvere Rossa, situato in un angolo di Shangai molto vicino alla zona centrale ma anche molto ben riparato.
A sera gli abitanti si ritrovano fuori di casa, nel vicolo, per raccontarsi storie, spettegolare e parlare del più e del meno. Su una grossa lavagna regolarmente aggiornata vengono scritti gli avvenimenti principali degli ultimi tempi, sempre con le formule che il Partito chiede.
Com'è noto perfino a me, negli ultimi 60 anni la Cina ha subito una bella serie di cambiamenti di indirizzo politico, e più volte quello che era fino a quel momento giusto e ortodosso diventava all'improvviso antiquato e rigorosamente contrario a quanto il Partito stabiliva che si dovesse pensare. La cosa ha creato più volte notevoli grattacapi ai poveri cinesi, che non sempre venivano avvisati per tempo del cambiamento di rotta.
Ogni racconto si apre appunto con il notiziario della lavagna, ed è molto divertente (specie per noi che non ci siamo passati in mezzo) osservare come, nel giro di pochi anni, quel che era bianco diventasse improvvisamente nero e viceversa, e la naturalezza con cui questi notiziari cambiavano di tono, mentre l'indirizzo comunista del partito rivestiva di sfumature assai comuniste anche ciò che di comunista, ai nostri occhi occidentali, aveva ben poco - e del resto nessuno può negare che il glorioso Partito Comunista Italiano non si è mai distinto per la sua spaventosa velocità di evoluzione e quindi le nostre idee sul comunismo hanno avuto tutto il tempo di solidificarsi, cristallizzarsi e anche un po' di fossilizzarsi.

Dopo il notiziario della lavagna arriva il racconto, che solo occasionalmente sfiora davvero la politica: e si narra di come i comuni mortali si arrangiassero nella loro vita di tutti i giorni per scansare i molti guai che potevano venire loro dal non osservare con sufficiente fervore la linea prescritta dal Partito, il tutto mentre si ingegnavano a viverla, la loro vita, secondo le tappe consuete: nascita, studi, lavoro, matrimonio, morte eccetera.
Certe storie sono autoconclusive, altre sembrano concludersi ma anni dopo vengono osservate in una luce diversa (alcune hanno anche tre o quattro tappe). Alcune sono garbate, altre divertenti, qualcuna è profondamente drammatica - perché la vita è così.
Tutti i protagonisti abitano o hanno abitato nel vicolo della Polvere Rossa, naturalmente, e tutti sono stati osservati dall'implacabile occhio dei vicini; e anche le case hanno le loro storie da raccontare - perché uno dei passaggi chiave è il modo in cui le casette del vicolo finiscono per ospitare una popolazione sempre più numerosa fino a somigliare parecchio ad un formicaio - e questo spiega anche perché in tanti siano più che disponibili, la sera, a stare fuori a chiacchierare, allentando così la densità demografica dei vari appartamenti.
Non c'è un personaggio principale, salvo forse quello del narratore che però spesso si limita a riferire quel che si diceva nel vicolo, o a raccontare le vicende dei suoi vicini - alla fine del libro comunque di lui sappiamo ancora molto poco.

Il libro non è lungo - poco più di duecento pagine per 23 racconti. Naturalmente tutti i personaggi hanno degli incomprensibili nomi cinesi, ma l'accorto autore sa come riportarci alla mente quelli che abbiamo già conosciuto, e dunque non rischiamo mai di fare confusione.
I racconti scorrono bene e sono costruiti con grande arte, permettendoci di seguire i tanti gesti della vita quotidiana insieme ai grandi cambiamenti che attraversano il paese. E' una lettura gradevole e istruttiva, adattissima per chi, come me, vuole avvicinarsi un po' a quel grande pianeta sconosciuto che sembra destinato ad avere un gran peso nella nostra vita negli anni che verranno.
Di recente Qiu Xiaolong ha anche pubblicato una nuova serie di storie del Vicolo della Polvere Rossa, che coprono gli anni dal 1953 al 2008, intitolata appunto Nuove storie dal Vicolo della Polvere Rossa, e me le procurerò al più presto - non prima, però, di avere assaggiato almeno uno dei suoi gialli, di cui continuo a sentir dire meraviglie.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici letture e buon fine settimana a chiunque passi di qua. Quanto a me, visto che nella nuova casa non dispongo di un impianto di riscaldamento singolo, conto di passare questi due giorni a letto o in poltrona, ben avvolta in molti strati di pile, a leggere con grande intensità.

mercoledì 12 ottobre 2016

Un racconto per Halloween

Guest star la Morte di Mondo Disco

Ora di Geografia, nella Terza Effervescente, e stavo spiegando le regioni polari col relativo clima, con l'aiuto delle mie belle slide*: e l'Artide qua, e l'Antartide là, e questi sono gli igloo, e queste sono le tigri bianche...
"Mi scusi prof, volevo fare una domanda, ma non c'entra molto con i poli..." chiede Lydia.
Visto che, in via del tutto eccezionale, ha anche alzato la mano sospiro e acconsento "Sentiamo".
"Ecco, che cosa si prova prima di morire?".
Spalanco gli occhi grandi come tazze da tè, respingo una serie di rispostacce del tutto inadeguate al contesto scolastico e infine dico "Non ti preoccupare, avrai senz'altro occasione di saperlo in futuro".
"Ma io lo voglio sapere! Lo domando sempre e nessuno mi risponde!".
La classe rumoreggia, e non posso darle torto.
"Lydia, non puoi sperare che qualcuno ti risponda finché lo chiedi a persone che non sono ancora morte".
"Ma io... ma lei...".
"Lydia, secondo te quante volte sono morta, in vita mia?".
Lydia si cheta e io ritorno alle delizie della banchisa e del krill.
In Sala Professori mi sfogo "Ma insomma, va bene domande impossibili, ma c'è un limite a tutto!".
"Ma lei lo vuol sapere perché è morto suo padre" mi spiega una collega.
Resto di sale. So benissimo che suo padre è morto un anno fa, dopo lunga e crudele malattia, e che lei ne è rimasta comprensibilmente assai scossa, ma non avevo minimamente pensato a collegare a questo la sua domanda. 
In effetti la collega ha ragione, almeno a livello inconscio il motivo per cui lo domanda è questo. E mi sento un po' in colpa per avere liquidato così la domanda dell'orfanella ma, onestamente, rimane il fatto che io non sono mai morta né conosco alcuno che lo sia stato, e dunque, anche se avessi collegato sul momento la domanda al triste lutto che ha funestato i suoi verdi anni, cosa mai le avrei potuto rispondere?

Tuttavia nel corso della serata mi viene in mente una possibilità.
La mattina dopo, entrando in classe, riprendo l'argomento.
"Riguardo alla tua domanda di ieri, Lydia, mi è venuta in mente una risposta. In realtà ci sono casi di persone che sono quasi morte, o forse morte davvero temporaneamente, per un arresto cardiaco, e quando sono ritornate coscienti hanno raccontato quel che hanno provato. Dicevano di essersi viste dall'alto, con tutte le persone intorno che cercavano di rianimarle e i parenti che si disperavano per la loro morte, mentre loro si sentivano serene e felici e si dispiacevano solo per tutte quelle persone che si preoccupavano e piangevano, e avrebbero voluto dir loro che andava tutto bene così ed erano contente. Qualcuno addirittura dopo essere stato rianimato dal massaggio cardiaco si è detto dispiaciuto perché là dov'era stava benissimo."
La classe mi guarda perplessa. Tuttavia questi racconti esistono, e tutti ne abbiamo sentito parlare qualche volta.
"Ma io avevo anche sentito dire che chi muore di malattia un mese prima vede una bandiera...".
"No, non so nulla di bandiere. E adesso aprite i vostri libri, e vediamo di finire la Prima Guerra di Indipendenza".

Vabbe', sono solo un insegnante di Lettere. E non sono mai morta. 
Ho fatto del mio meglio e di più non son capace.

*e meno male che ci ho quelle, frutto di lunghe ore di paziente ricerca, perché il collegamento in rete continua a latitare.

martedì 11 ottobre 2016

Piccolo vademecum per i genitori sui compiti a casa (ma questa volta il post è di Galatea)

Così innocenti, e così ingannevoli...

Così parlò Galatea con encomiabile saggezza in Piccolo vademecum per i genitori sui compiti a casa:


Visto che l’argomento compiti a casa suscita vespai di polemiche, e pare che noi insegnanti siamo insensibili al grido di dolore dei genitori, ecco a loro uso e consumo un piccolo elenco di consigli per affrontare i compiti a casa aiutando i figli a farli e non sostituendosi a loro.
  1. Vostro figlio è intelligente. Piantatela di trattarlo come se fosse ancora un lattante con il pannolino. Se il compito è stato assegnato dall’insegnante, vuol dire che è pensato per un ragazzino di intelligenza normale della stessa età del vostro. Se è preso da un libro di testo, vuol dire che è stato scritto da un team di esperti che si occupano di editoria scolastica da decenni. Se è un compito pensato dall’insegnante, vuol dire che è stato pensato da un tizio che conosce la classe di vostro figlio, vostro figlio e sa cosa ha spiegato in classe. Quindi è altamente probabile che il ragazzino lo sappia e lo possa fare senza aiuto. Fidatevi.
  2. «Non ho capito l’esercizio, non ci riesco!.» Prima di correre in aiuto al povero bimbo vessato da insegnanti crudeli fate qualche domanda più precisa. Lo so, sono le otto di sera, voi siete stressati e il bimbo vi guarda con occhioni da cucciolo come Bambi guardava la mamma prima di vederla morire. Lo fanno sempre. Anche con noi in classe. E sanno benissimo che funziona. Sono abituati che con questa tecnica un adulto pietoso si sente in dovere di fare l’esercizio al posto loro. No. Prima di tutto, circoscrivere il problema con alcune domande: «Cosa non hai capito?» Se risponde, come capita nel 90% dei casi, «Niente!» campanello di allarme che suona nella testa. Quasi sempre non ha letto la consegna o l’ha letta di corsa e di malavoglia. Rileggetela con lui e domandando cosa esattamente non ha capito, chiedendogli di spiegare la consegna con parole sue. Se non sa il significato di una o due parole si guarda sul vocabolario. Nella stragrande maggioranza dei casi, magicamente questo risolve tutto. Quando il ragazzino capisce che non ve la fa, si rassegna a fare l’esercizio. Se invece attacca con: «Ci ho provato, ma non ci riesco!» con un gran sorriso dite: «Ok, fammi vedere come hai provato e vediamo assieme qual è il problema.» Anche qua, nel 90% dei casi scoprirete che non ha mai nemmeno provato a risolvere la cosa, certo che l’avreste fatto voi.
  3. «Ci ha dato gli esercizi su cose che non ha spiegato!» Improbabile. Anche qua gran sorriso e domandare: «Ma hai degli appunti presi in classe? degli schemi? » Se comincia a bofonchiare, probabilmente la spiegazione da qualche parte c’è, ma è stata ingoiata da qual mare nero che è lo zaino, o giace scribacchiata su foglietti volanti persi chissà dove. Se invece l’argomento è spiegato sul libro, anche qua prima di fare gli esercizi gli si dice di leggere bene le pagine del libro e ripeterle usando parole sue. Nel 90% dei casi, magicamente, questo risolve i problemi. Non è che l’insegnante non spiega, è che il ragazzino cerca di fare i compiti senza aver prima studiato o ripassato quanto era stato detto in classe. Ci abbiamo provato tutti, da ragazzini.
  4. «Non ho i compiti/ ero assente/non l’ho scritto sul diario/non ho capito cosa si deve fare!» E subito i genitori si lanciano nella chat di classe su Whatsapp per tormentare tutti gli altri genitori ed avere consegne. No. Caspita, segnarsi i compiti è una cosa che deve fare il ragazzino. Se è stato assente, è lui e non voi che dovete arrabattarvi per scoprire cosa c’è da fare. Quindi lui chiama il compagno e si fa dare i compiti, gli appunti, le fotocopie. Non voi. Se era assente, telefona ad un compagno. Se era a scuola e non li ha segnati, si arrangia a recuperarli da solo. Se non ha capito cosa deve fare, si ricade nel caso sopra: si chiede di preciso qual è il problema, non si rompono le scatole a tutti gli altri genitori per tutto il pomeriggio.
  5. «Non so fare l’esercizio.» Se nonostante tutto il ragazzino non ce la fa comunque a farlo da solo, bene, l’esercizio non si fa. Il ragazzino la mattina seguente andrà immediatamente dall’insegnante appena entra in classe e gli dirà che non ha proprio capito come andava fatto. Gli insegnanti servono a questo ed è importante per loro avere questi riscontri, perché aiuta anche a calibrare in futuro gli esercizi da dare al ragazzino o all’intera classe. Quindi se non capisce, chiede. Deve abituarsi ad affrontare questa situazione, perché è chiedendo spiegazioni che si impara. E deve farlo lui, non voi. Non scrivete sul libretto all’insegnante giustificazioni. Se per caso l’insegnante dovesse dare una nota, allora e solo allora scrivete due righe sul libretto spiegando che aveva provato a risolvere l’esercizio e non era riuscito. Ma prima verificate che il ragazzo sia andato subito dall’insegnante a spiegare che non aveva fatto l’esercizio, e non abbia cercato invece di fare il furbo stando zitto, perché nel qual caso la nota è più che giustificata.
  6. Se poi vi rendete conto che proprio il ragazzino non ce la fa, non riesce a capire le consegne più semplici, non segna i compiti sul diario, è disorganizzato, i compiti sono una vera e propria agonia e non ha nessuna autonomia nel farli da solo ma abbisogna della vostra costante presenza per risolverli, eh allora c’è davvero qualcosa che non va. Ma non nella quantità di compiti. Potrebbe essere un disagio del bambino. Parlatene con gli insegnanti e considerate a quel punto di concerto con loro di rivolgervi ad uno specialista. Ma, credetemi, sono casi rari. Quasi sempre le grandi difficoltà dei ragazzini si risolvono immediatamente appena si rendono conto che non possono delegare a voi le cose e devono fare da soli. Imparano ad organizzarsi e a studiare. Diventano grandi. Il che vuol dire che voi siete un po’ meno necessari, e questo può far male, perché finché dipendono da noi noi ci sentiamo utili e giovani. Ma anche questo è essere genitori: stare un po’ male perché loro stiano meglio.

martedì 4 ottobre 2016

Lunedì Film - Il marchese del Grillo (Film per le medie)

Nel 1981 mai e poi mai mi sarebbe passato per la testa di andare a vedere qualcosa di sì ordinario come un film con Alberto Sordi. Così ho visto Il marchese del Grillo trent'anni dopo, in televisione, in una tranquilla serata in famiglia, con gli occhi dell'insegnante. Oltre ad apprezzarlo molto (è un film davvero divertente) lo trovai perfetto per introdurre il Risorgimento con una classe adeguatamente giocosa, e i fatti mi hanno dato ragione.
Se a qualcuno che passa di qui venisse in mente di domandarsi "Che mai ci azzecca il Marchese del Grillo con il Risorgimento?", la risposta è che il nostro Risorgimento è uno dei moltissimi figli che Napoleone seminò in giro nei brevi ma intensi anni in cui scorazzò da un capo all'altro dell'Europa.
Com'era l'Italia prima del Risorgimento?
Era un paese (più esattamente, un insieme di paesi) decisamente addormentato. Vennero i francesi e ci svegliarono, portando aria nuova e la vaga sensazione che, dandosi un po' da fare, le cose potessero cambiare.
E com'era lo Stato Pontificio prima del Risorgimento?
Un paese decisamente sprofondato nel più profondo dei sonni, praticamente in catalessi.

In una Roma più che addormentata il marchese del Grillo è un ricco aristocratico che si annoia a morte. Decisamente adagiato in una famiglia della nobiltà nera, si ricava dei piccoli spazi di libertà organizzando scherzi a volte decisamente perfidi, osservando il mondo intorno a lui come se fosse un teatrino e rimettendo le cose a posto dopo ogni perfido scherzo a suon di quattrini. Per il resto dorme anche lui, ma di un sonno inquieto, e la presenza francese (con cui lega volentieri, con grande sdegno della famiglia che possiamo senz'altro definire "conservatrice") gli insinua nel cuore un fondo di speranza, tanto da fargli persino venire in mente un viaggio a Parigi per vedere un po' di mondo - naturalmente giusto quando Napoleone è stato appena sconfitto in Russia e ormai sta concludendo la sua parabola*; così il viaggio non si farà, e il marchese ritornerà in gabbia - con un certo sollievo, sospetta lo spettatore, perché in fondo a fare l'uccello in gabbia c'è abituato, e forse fare il gentiluomo in viaggio di formazione per l'Europa gli richiederebbe un energia che non è convinto di avere.
Ne viene fuori comunque un personaggio interessante che, fin quando è lasciato nel suo piccolo regno, sa sempre come gestire e sistemare le cose nel migliore dei modi, ma che è profondamente consapevole di vivere in un microcosmo sull'orlo del collasso.
Il film si snoda in vari episodi, accortamente cuciti, e Alberto Sordi si toglie anche la soddisfazione di fare un pezzo di bravura impersonando oltre al marchese anche un suo sosia, carbonaro 


(no, non un patriota rivoluzionario: proprio un rivenditore di carbone) in un classico scambio di ruoli. 
Altro gran bel pezzo di bravura è la scena dove la scandalosa cantante francese (donne in palcoscenico! Signora mia, ma dove andremo a finire, io mi domando) cerca di tenere testa a un castrato - senza riuscirci perché il castrato vola più in alto di lei e con più forza nella voce. Non la fa Sordi, ma insomma non può fare proprio tutto.
Non c'è una vera trama che collega i vari pezzi, ma tutto l'insieme compone un quadro della società prerivoluzionaria: mendicanti, osti, soldati, vescovi, servitori, attori, cantanti, giovanissime mantenute, madri mezzane, carbonai, amministratori ladri (quasi un must), aristocratiche intransigenti, parenti povere che intransigenti non lo sarebbero per niente, ebrei maltrattati, briganti filosofi, giocatori d'azzardo alquanto bari, avvocati disponibilissimi a vendersi e un meraviglioso papa, interpretato da Paolo Stoppa, che a tratti sembra un marchese del Grillo troppo imbrigliato e che solo in circostanze speciali si concede qualche scherzo da prete.



Si ride molto, costumi, edifici e fondali recitano a meraviglia e le due ore e mezzo scorrono senza colpo ferire nel divertimento collettivo. L'insegnante si diverte un po' meno, ma solo perché due ore e mezzo di film, ahimé, corrispondono a tre ore di lezione bruciate e qua c'è ancora l'Italia da unificare - e di questo passo, signora mia, davvero non so dove andremo a finire.

Oh sì, ci sono ben due brevissime scene di nudo e una discreta serie di parole non del tutto adeguate al contesto scolastico - il che ha fatto ridere vieppiù i ragazzi. Salvo vederli piuttosto meditabondi dopo la frase più celebre del film, il famoso "Io so' io e voi nun zete un cazzo"



(in realtà citazione colta di Gioacchino Belli)  che a tutt'oggi, ahimé, resta piuttosto attuale. 

*anche se introdurre i soldati francesi di ritorno dalla Russia che passano da Roma richiede agli autori qualche forzatura cronologica e pure logistica. Ma son dettagli.